Capita d’estate di avere fra le mani libri che attraggano l’ interesse più di altri. E’ il caso di un libro da poco uscito che ha sollecitato l’attenzione già dal titolo: “Il mercato dei valani a Benevento – La compravendita del lavoro infantile nel Sud Italia tra il 1940 e il 1960” (ed. Ediesse, 10€).
L’autrice è Elisabetta Landi, ricercatrice di canto e di storia orale, cui va ascritto il merito di aver portato alla luce una storia negletta e forse volutamente ignorata. Si tratta di fatti che oggi sembrerebbero vergognosi, ai limiti dell’umana sopportazione: ragazzini fra i sette e i tredici anni, appartenenti a famiglie di braccianti o contadini poverissimi, venivano venduti, mediante pubblica esposizione, per il periodo di un anno in cambio di grano e di un pasto (spesso solo un pezzo di pane e formaggio) e di un giaciglio, per servire quasi come schiavi nei lavori più umili e duri delle campagne, o per pascolare animali.
La tenace ricerca di Elisabetta Landi si sofferma in particolare sulla città di Benevento, con la consuetudine della vendita dei ragazzini da parte dei genitori proprio il giorno dell’Assunta, il 15 agosto, in piazza Duomo, davanti al Vescovado e, dopo l’istituzione degli uffici di collocamento (1949) persino nelle immediate vicinanze. I contratti venivano pattuiti oralmente e l’8 settembre avveniva la consegna dei piccoli sfruttati. La tratta e la pubblica esposizione dei garzoni, ingaggiati anche in età più adulta come salariati fissi nelle campagne al servizio degli agricoltori più abbienti, riporta alla memoria scene di compravendita di schiavi nelle piantagioni di cotone.
Scrive infatti lo scrittore calabrese Corrado Alvaro nell’introduzione del testo: “ …i compratori di schiavi esaminavano la dentatura, le gambe, il petto del gualano e se le sue mani fossero ancora troppo tenere, e non munite di promettenti calli…». Alvaro fu nel secolo scorso un attento osservatore del fenomeno della messa in vendita dei ragazzini in diverse aree del Sud, specie in Campania e in Calabria. Un’usanza ancora viva alla fine degli anni ‘50. Naturalmente il fenomeno andrebbe contestualizzato all’immediato dopoguerra, in tempi di miseria più nera, sebbene l’usanza avrà avuto radici secolari, a causa dell’indigenza atavica delle classi contadine. Il termine “valano”, insieme ai rispettivi sinonimi “gualano” e “ualano”, indica lo stalliere, il bifolco, l’addetto al bestiame. Ed il termine potrebbe provenire etimologicamente dal tedesco wald che vuol dire bosco. La trasposizione verso il latino galum appare come il tentativo di romanizzare il fonema germanico. Una radice antica, longobarda addirittura.
A rimettere in luce il fenomeno dei valani furono i sindacati come CGIL e CISL, le ACLI, ed alcuni intellettuali e scrittori: da Gaetano Salvemini a Guido Piovene, a Paolo Sylos Labini, ad Alvaro con articoli sul celeberrimo “Il Mondo” di Pannunzio; anche le Teche Rai conservano documentari di quelle scene raccapriccianti.
E grazie alle testimonianze così toccanti che l’autrice è riuscita a recuperare, sfidando la legittima resistenza dei protagonisti, si tocca da vicino (bella la scelta di trascriverle in dialetto sannita) quanto dolore è stato comunque procurato. Quella vergognosa tratta di fanciulli, di valani, di carne da lavoro, testimonia come il lavoro sia stato subordinato ai bisogni di sopravvivenza delle classi meno abbienti, sfruttate senza scrupoli. Elisabetta Landi restituisce la parola a quei valani, oggi ottantenni, figli di un Sud povero e talvolta crudele, per qualche verso vicino a quello di oggi fatto di nuovi caporali e nuovi sfruttati, specie di colore.
Chiara Lostaglio
- Corrediamo l’articolo con un portofolio di immagini che ci ha cortesemente concesse il fotografo Flavio Brunetti.
Esse non si riferiscono espressamente allo sfruttamento dei fanciulli e al mercato dei valani di Benevento, ma raccontano comunque la loro condizione di emarginazione e povertà.Foto: © Flavio Brunetti (contatto: flaviobrunetti(at)virgilio.it)
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