25 novembre. Quando penso al futuro delle donne penso che BASTA.

Per il 25 novembre, Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne, un contributo di Giulia Del Grande.

25 novembre

Quando sento parlare i media di violenza sulle donne ho la pelle d’oca, mi viene voglia di girare pagina, come quando si ha già capito il passaggio successivo di un libro, non si ha voglia di leggerlo ma si ha paura di perderne i contenuti.

Quando sento parlare un uomo di violenza sulle donne, mi viene in mente quella fisica, verbale e psicologica. Quindi le loro giustificazioni: « mi ha fatto perdere la pazienza», « aveva superato il limite », « adesso capirà » oppure, « quando è troppo è troppo ». Le minacce dirette : « te la chiudo per sempre quella bocca », « te la spacco quella testa », « un giorno te le taglio quelle mani ». E gli insulti : « se non sei capace di fare niente, allora ammazzati ». Non sono frasi della tv o lette su qualche giornale, sono parole sentite in casa, a scuola, al supermercato, per la strada.

Quando sento parlare una donna della violenza sulle donne, percepisco la vergogna di doversi farsi carico di tale denuncia, la vergogna di un essere umano responsabile che si vergogna di come gli uomini che ama, ancora, non abbiano capito come comportarsi. Vedo la paura e la mancanza di fiducia, vedo un atto d’amore tradito. Quando il padre di mio figlio alza la voce mi viene in mente quando mio padre alzava la voce con mia madre e non solo quello, quando mio zio alza la voce con mia cugina, quando mio nonno alzava la voce con mia nonna, e così via. Ricordo distintamente quella volta in cui il mio adorato fratellone ha detto alla mia adorata mamma « allora prenditi questo e questo » gettandole addosso a più riprese del vino rosso sul grembiule; ricordo anche la mano sanguinante della mia amica, piena di microscopici pezzetti di vetro perché il suo ragazzo, così per scherzare, l’aveva spinta in bicicletta contro la campana di vetro lungo il bordo della strada. Ricordo il pianto della mia vicina di casa, perché il figlio, stanco di dover mangiare la solita minestra, aveva scaraventato il piatto a terra e se n’era andato al ristorante, minacciandola di non tornare mai più. Infine, ricordo la mia insegnante con un occhio nero, che diceva di esserselo fatto battendo contro uno sportello dell’armadio, quando entrambi gli occhi erano spesso rossi di pianto.

Quando penso all’emancipazione femminile, penso alla mia prima grande ribellione, quando durante un pranzo domenicale avevo detto a mio padre che era un violento e nel dirlo avevo guardato lui e suo padre (mio nonno) dritti negli occhi per evitare qualsiasi malinteso. Ma penso anche alle volte in cui avrei voluto dire « NO » e non l’ho detto per paura di scatenare una reazione violenta o ingiustificata ; penso alle volte che ho provato a tenere la barca pari, ad abbassare la testa e la voce, fino a che non faceva troppo male.

Quando rifletto sull’autorità esercitata sulle donne, penso che sì è una storia millenaria ma sopratutto presente ; penso che è una piaga sociale e non una questione familiare. Penso che non capirò mai il gusto di sopraffare l´altro, di averlo in pugno, di privarlo della propria libertà, di non concedergli di essere felice a modo suo.

Quando penso al futuro delle donne penso che BASTA, che Noi Donne non ne possiamo più di dover vivere sulla difensiva, di dover saper chiudere la bocca, di dover sapersi comportare perché che vuoi, « se loro non lo fanno è pur bene che qualcuno lo faccia ». Penso che la vita con le mestruazioni sia già abbastanza complicata, che la consapevolezza di poter mettere alla luce una nuova vita sia un dono e un fardello, e che quindi anche la paura di amare, NO, non debba aver ragione di esistere.

Quando penso a me come donna, mi rendo conto che queste storie di violenza (di qualsiasi tipo di violenza) contro le donne, mi hanno resa disillusa e piena di pregiudizi verso gli uomini e me ne rammarico, perché so bene che non dovrei avere motivo di dubitare prima dell’azione accompiuta.

Infine, quando penso a me come madre, mi chiedo: cosa insegnerò a mio figlio? Di portare rispetto, sempre, a tutti. E cosa insegnerò a mia figlia? Non sono sicura che insegnare sia la parola giusta, credo piuttosto che le suggerirò di diffidare degli uomini, perché purtroppo, di quel rispetto sua madre, per il momento, ancora non si fida.

Giulia Del Grande

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Giulia Del Grande
Giulia Del Grande, toscana di origini, dopo una lunga permanenza in Francia, dal 2018 risiede stabilmente a Copenhagen. Dopo aver ottenuto la laurea in Relazioni Internazionali ha specializzato la sua formazione nelle relazioni culturali fra Italia e Francia in epoca moderna e contemporanea lavorando a Bordeaux come lettrice e presso varie associazioni e istituti del settore, svolgendo, in ultimo, un dottorato in co-tutela con l'Università per Stranieri di Perugia e quella di Toulouse 2 Jean Jaurès. Collabora con Altritaliani dal 2016.

2 Commentaires

  1. Tutto detto molto bene. Investiamoci tutti perché le cose cambino anche se è difficile farle cambiare perché a questo mondo, ed è terribile, chi si sente in posizione di forza abusa spesso del più debole.

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