Rimane l’attore fra i più grandi della commedia italiana, un viso drammatico che sapeva infondere tenerezza e ilarità. All’articolo di Armando Lostaglio segue “A Nino Manfredi”, un piccolo omaggio in versi che gli ha dedicato il poeta irpino Gabriele De Masi.
Si chiamava Saturnino, ma per tutti era solo Nino, il vicino di casa dal volto bonario, pure se talvolta assumeva un aspetto drammatico: Nino Manfredi, ovvero l’arte di commuovere sorridendo.
Ciociaro di Castro dei Volsci, era nato il 22 marzo 1921, centenario, come altri della sua brillantissima generazione, cui la cultura italiana (e cinematografica e televisiva) deve tantissimo. Si spense a Roma, nel 2004, eppure come se fosse ieri, quando in uno spot beveva con garbo quel suo caffè. E che vendeva (da abusivo) su un treno del Sud in “Café Express”, diretto (nel 1980) da Nanni Loy. C’è spesso un treno nella memoria di Nino: “L’avventura di un soldato” con la seducente vedova (suo primo eccellente film del ’62 diretto e interpretato, tratto da un racconto di Italo Calvino) con un gioco di muti sguardi e di ellissi nei chiaroscuri delle gallerie; e il treno del non ritorno dall’emigrazione svizzera in “Pane e cioccolata” di Franco Brusati (del ‘74).
Manfredi fa parte di quell’olimpo di attori ineguagliabili che hanno interpretato il Cinema italiano, e la Commedia come drammaturgia del quotidiano: Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni. E a dirigerli immensi registi (Scola, Risi, Monicelli, Magni, De Sica, Lattuada, Zampa, Emmer) che lasciano tutt’ora un segno di struggente bellezza. Un cinema che continua a raccontarci il secolo scorso come meglio non si potrebbe: l’effige di Nino Manfredi rimane scolpita in un distillato di immagini, popolari ed erudite ad un tempo, ma sempre colorite da una gioia contagiosa.
Manfredi attore, regista, sceneggiatore, comico, cantante e doppiatore: pura versatilità di scena. Durante la sua straordinaria carriera ha alternato ruoli comici e drammatici con notevole efficacia, ottenendo numerosi riconoscimenti. Grazie a un’esibizione della compagnia teatrale di De Sica, si innamora della recitazione. Trova in Orazio Costa il suo mentore e debutta in teatro con Tino Buazzelli nella compagnia Maltagliati-Gassman. Passa poi alla scuola del Piccolo Teatro di Milano con Giorgio Strehler e infine, di nuovo a Roma, con Eduardo De Filippo. All’inizio degli anni ’50 la svolta, con gli amici Paolo Ferrari e Gianni Bonagura si impone alla radio. Qui trova altri maestri come Vittorio Metz, Dino Verde, Marcello Marchesi che ne intuiscono il talento. Alla fine del decennio conquista il Teatro Sistina con “Un trapezio per Lisistrata” (partner di Delia Scala) e poi trionfa nel ’62 con “Rugantino”, sempre grazie a Garinei e Giovannini.
Con il cinema sarà la sua consacrazione: “dalla fine degli anni ’40 con commediole senza pretese, mentre a Cinecittà tempera le doti verso un cinema che sta lasciandosi alle spalle il neorealismo e porta un tono più leggero nella descrizione della gente comune. E’ un progetto che gli calza a pennello e saprà qui sviluppare una serie di caratteri immediatamente familiari allo spettatore: il provinciale timido, il contadino astuto, il piccolo borghese in cerca di fortuna, il giovane e impacciato spasimante.”
Negli anni ’50 lo scopre anche la televisione con la mitica “Canzonissima” di Antonello Falqui, con la mitica Delia Scala e Paolo Panelli; (qui portò per una sera anche l’ex compagno in Accademia, Marcello Mastroianni). Dalla Tv al sequel celebre come Audace colpo dei soli ignoti (di Nanni Loy, 1959). Da Anni ruggenti (capolavoro del 1962 girato in luoghi straordinari come Matera e Ostuni) a Nell’anno del Signore (1969) è un costante crescendo che va di pari passo con l’affermazione dei suoi registi preferiti, da Dino Risi (Straziami, ma di baci saziami e Operazione San Gennaro) a Ettore Scola (Riusciranno i nostri eroi…).
È però legato agli anni ’70 il momento d’oro dell’attore che diventerà anche regista e sceglie in piena libertà le sue maschere: il mostro Girolimoni di Damiano Damiani; l’emigrante di Pane e cioccolata di Franco Brusati, il baraccato di Brutti, sporchi e cattivi ancora con Scola; è Pasquino Nell’anno del Signore e il prete di In nome del Papa Re diretto dal suo amico più caro, Luigi Magni. Dietro la macchina da presa si afferma subito con l’autobiografico Per grazia ricevuta nel 1971, con cui è premiato a Cannes. Sempre negli anni ’70 partecipa a due delle avventure cinematografiche più belle della sua carriera: con Luigi Comencini crea un indimenticabile Geppetto per la versione televisiva di Pinocchio (1972) e due anni dopo con Ettore Scola dà vita a quel ritratto corale di una generazione che chiude un’epoca della commedia all’italiana grazie al prodigioso incontro fra lui, Vittorio Gassman, Stefania Sandrelli e Stefano Satta Flores in C’eravamo tanto amati. Grazie al successo in tv accetta adesso di frequentarla più spesso e si impone anche come cantante portando nella Hit parade (di Lelio Luttazzi) Tanto pe’ cantà, un classico di Ettore Petrolini.
Ancora in teatro con un paio di testi da lui stesso scritti e diretti, abbraccia la pubblicità diventando un’icona grazie al talento di Luciano Emmer. Anche altri giovani registi lo dirigeranno, come Rosario Errico nel suo “Apri gli occhi e…sogna” (2002). Il suo crepuscolo si materializza nel 2003 con La fine di un mistero diretto dallo spagnolo Miguel Hermoso, premiato con il Premio Bianchi alla Mostra di Venezia. Dopo questo film Nino avrà un ictus, e dopo un rapido succedersi di miglioramenti e ricadute, morirà 83enne nel 2004. La Rai, con la regia del figlio Luca, gli ha dedicato un film per la tv con Elio Germano: In arte Nino che lo segue negli anni della formazione, tra il 1939 e il 1959.
Il personale ricordo di Nino Manfredi va al venticinquesimo anniversario dall’uscita del capolavoro Pane e cioccolata che il CineClub “De Sica” – Cinit in Basilicata aveva inserito nella mostra CinEtica del 1999 sul tema della emigrazione. Il contatto con l’attore lo fornì il compianto Tony De Bonis (regista di Pietragalla, attivo a Roma e in Ciociaria), per invitarlo a Rionero, come si faceva anche con altri registi ed attori, da Magni a Brass a Maselli a Placido e altri. Telefonammo a casa di Nino e ci rispose la sua adorata moglie, Erminia. Con gentilezza ci passò Nino, che si dichiarò onorato di averlo invitato per ricordare quel film capolavoro di Brusati. Ci parlò bene della Basilicata che un po’ gli ricordava la sua Ciociaria. Ci era stato per il film Anni ruggenti di Luigi Zampa nel 1962, mirabile la sua interpretazione a Matera. Ebbene, accettò di venire da noi. Per l’organizzazione del viaggio ci passò di nuovo sua moglie, la quale garbatamente ci rispose che l’attore aveva ricevuto contestualmente altro invito in televisione, al quale non poteva rinunciare. Qualche anno dopo, Nino uscì di scena, definitivamente. Lo ricorderemo sempre con affetto.
Armando Lostaglio
P.S. In occasione del centenario della nascita di Manfredi, per ricordarlo e festeggiarlo sono in programma in tv una carrellata di capolavori tra film, sceneggiati, fiction e documentari, ma anche interviste, materiali di repertorio, spezzoni di vita e di grande cinema.
A Nino Manfredi
Non erano i tuoi, quegli occhi
stanchi, dietro lenti ampie
che ne svilivano lo sguardo
e ben vedevano più in là,
convinto che attore si è,
comunque, anche se
il passo è lento e la voce
guadagna fiato nel parlare;
potevi farlo perché la maschera
non vinceva sull’uomo, tu
interprete di mezzo sguardo, più
verso il basso che per l’alto,
e il sorriso giusto e triste,
arcuato sotto accurati
baffi di quinta, drappi
a chiudere presto la scena
divertita delle labbra, anche
perché sapevi che la vita
richiama sempre realtà più amare,
e nei semitoni misurati e franchi
d’una postura ingobbita
o nell’espressione appena mimata,
c’è tutto lo spazio d’autenticità
d’istante, che ricerca l’uomo
e, ben facendo teatro, lo ricrea
trovandolo acquietato ad aspettare
in un recondito angolo dell’anima;
e sempre lì lo trova, sapendo
di non commettere plagio.
Di Gabriele De Masi