Anche quest’anno Elisabetta Siggia non ha resistito alla tentazione di offrirci la descrizione d’un delitto compiuto con le sostanze velenose di prodotti naturali, e dopo quelli con gli elementi tossici dei colori e delle piante (nei suoi precedenti libri Giallo orpimento e L’enigma dei fiori), nel Delitto alla Biennale (Viola Editrice, 2023) ora ci descrive quelli delle spezie.
I cui trattamenti a Venezia hanno un’importanza conseguente a quella che la città ha avuto nel commercio marittimo con l’Oriente vicino e lontano, anche per esempio dello zafferano, diffuso dall’ex Magna Grecia in altri parti del Mediterraneo e del mondo. Diffuso a tal punto da perderne l’origine del nome (zafaran dall’Armenia per il finale an, o dalla Persia o dall’arabo in seguito alle coltivazioni nei rispettivi posti), e da essere dappertutto richiesto sia per il giallo arancione che la crocina – a contatto con il bagnato – lascia sia per gli altri suoi pigmenti che danno aroma alla pietanza. E tanto diffuso da essere particolarmente trattato nella bottega che la protagonista del romanzo, Veronica, possiede al Campo San Bartolomeo vicino al Ponte di Rialto, insieme ad altre varietà di fragranze lì lavorate come è d’uso nel loro storico commercio marittimo e nella propria tradizione familiare. Ma il pericolo è che lo zafferano può essere confuso con il colchicum (definito perciò falso zafferano), la cui colchicina in sovradosaggio (come Siggia ci ricorda per questa e altre sostanze simili) è mortale anziché terapeutica (sia per il contenuto che come assuefazione, per esempio per la gotta o altre terapie di alleviamento)!
Ecco allora che Veronica si ritrova nel carcere della Giudecca con l’accusa d’aver venduto la spezia velenosa in grande quantità a un emiro a cui piace secondo le tradizioni orientali aromatizzare con lo zafferano e altre spezie simili anche i caffè e altri spuntini che offre agli ospiti nel proprio padiglione della Biennale, dove espone un pittore trovato morto su una panchina negli antistanti Giardini proprio per essere stato così avvelenato.
I dialoghi di Veronica con la sua compagna di cella, con la luce di Venezia tramite le sbarre della finestra in contrasto con il buio delle accuse; e poi quelli di quando è in libertà vigilata con i condòmini in Campo Santa Margherita e gli avvocati sono d’una chiarezza tanto evidente quanto non lo è, invece, l’individuazione dell’omicida; che è tanto meno sospettabile quantopiù la registrazione delle telecamere di sorveglianza di lei vicina a quella panchina ai Giardini e dei suoi continui passaggi di lì per portare le spezie all’emiro al suo padiglione costituiscono le migliori prove per concludere presto le indagini.
In attesa del processo, Veronica continua a trattare le spezie nella sua bottega, ma assiste pure ad avvenimenti che la stupiscono: la maga condomina che è consultata dall’emiro; una coppia di condòmini che acquista un quadro del pittore assassinato; un altro condomino, musicista, visto insieme a facce losche per le calli; il suo giovane avvocato pestato in Rio delle Ostreghe e, per non esserlo ulteriormente, rifugiato a Burano; il che la spinge ad andare a riconfidarsi con l’ex compagna di cella, quasi come sua unica certezza; oppure a distrarsi passeggiando per Cannaregio, dove il passaggio per il Campo dei Mori, con le statue di Palazzo Mastelli dei fratelli commercianti di spezie fino agli imbrogli, e la casa di Tintoretto con la leggenda della statua di Ercole con la clava per colpire le streghe che s’introducono nelle case con le proprie fandonie, sembrano quasi rispecchiare la sua situazione!
Finché al processo l’assassino è riconosciuto quale tale mentre l’avvocato più anziano ammonisce Veronica con una frase di Pirandello: «Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti».
Il ché servirà a Veronica per il suo avvenire: «la sincerità non vi è oro che lo paghi», aveva detto Goldoni.
Dunque, anche le spezie (insieme ai colori e i fiori) mascherano quelle insidie che possono essere fatali quando non le si conoscono, e l’autrice proprio perciò ce ne offre alla fine una descrizione nel tempo altrettanto fluida di quella di Venezia.
Lodovico Luciolli
Presentazione del libro sul sito dell’editrice:
“Delitto alla Biennale” è un romanzo che si svolge nel cuore pulsante di Venezia durante la surreale atmosfera della Biennale in cui l’arte e il mistero si intrecciano con i profumi avvolgenti di un’antica bottega di spezie. Mentre gli aromi esotici si diffondono nella città, un assassino spietato si cela tra le sue mura, emergendo e svanendo come un fantasma tra le strette calli e i pittoreschi canali. Ogni suo passo può rivelare la verità e condurre a una fine fatale attraverso un insolito intreccio di eventi che porterà alla luce inconfessabili segreti.
L’AUTRICE: Elisabetta Siggia si è laureata all’Accademia di Belle Arti di Roma. In seguito ha frequentato un prestigioso corso di restauro presso l’ICCROM. Ha lavorato per più di venticinque anni al Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma come Direttore storico dell’Arte. Ha pubblicato libri di storia per l’infanzia sul mondo etrusco e romano. Ha pubblicato inoltre, varie guide di noti siti archeologici e libri di fiabe, illustrati da lei stessa. Amante della cucina ha pubblicato alcuni libri di storia della cucina e ricette della tradizione italiana. Ha vissuto lunghi periodi all’estero insieme al marito diplomatico di carriera. Con Viola Editrice ha pubblicato “Il mistero della Dama al Virginale” (2017), “Giallo Orpimento” (2021) “L’Enigma dei fiori (2022).
LINK INTERNO: I libri d’Elisabetta Siggia in occasione della Settimana della cucina italiana nel mondo