Numerose le proiezioni tra film in concorso e le altre rassegne. A Lido non mancano
occasioni per i cinefili. Ecco una breve sintesi dei film presentati in queste ore, in
questa olimpiade cinematografica, che ci permette di guardare nei diversi angoli del
mondo.
99 HOMES di Ramin Bahrani (Usa, 112′, v.o. inglese s/t italiano) in concorso,
con Andrew Garfield, Michael Shannon, Laura Dern, Noah Lomax
L’ingordigia umana è il motore del nostro mondo, potrebbe essere il sottotitolo di questo film. Che illustra il dramma delle tante famiglie americane che non sono riuscite a pagare le rate dei mutui delle case e che vengono sfrattate a seguito di una udienza dal giudice che non dura più di sessanta secondi e con l’intervento della forza pubblica che concede “ben” due minuti agli occupanti di prendere le cose di valore e poi li fanno uscire e una squadra di operai gli smonta tutti i mobili e glieli mettono sul marciapiede. Agghiacciante.
Tutta la filosofia è racchiusa in una frase lapidaria che lo squalo immobiliare Michael Shannon dice al giovane rampante Andrew Garfield : “L’America non fa credito ai perdenti!”. Il film è forte e diretto. Entra benissimo nei meccanismi della ingordigia umana. Che travolge e corrompe tutto e tutti. O quasi…
GHESSEHA (TALES) di Rakhshān Banietemad (Iran, 88′, v.o. persiano s/t inglese/italiano) in concorso
con Fatemeh Motamedaria, Peiman Moadi, Baran Kosari, Farhad Aslani,
Mohammadreza Forootan, Golab Adineh, Mehdi Hashemi, Atefeh Razavi, Habib Rezaei, Hassan Majooni, Mehraveh Sharifinia, Shahrokh Forootanian, Rima Raminfar, Babak Hamidian, Negar Javaherian
“Crash” in salsa iraniana, si potrebbe definire questo film della regista Rakhshān Banietemad. Perché del fortunato film di Paul Haggis (tre Oscar alla sua opera prima!), ha la stessa struttura. Storie che si sfiorano, si danno il testimone, si incrociano, si lasciano e si riprendono. Le storie vanno così in mirabile sinergia tra loro. E stanno a comporre l’allegoria della vita umana, con le tante sfaccettature che la contraddistinguono.
Gran lavoro di montaggio. Ed eccellente scrittura. Molto bravi tutti gli interpreti. A testimonianza di una eccellente scuola iraniana. Il film offre uno straordinario spaccato della società iraniana di oggi. Con le sue disfunzioni, le sue contraddizioni. Le sue arretratezze. Ma anche con la grande capacità di resistenza dele donne di quel popolo. Che ne costituiscono la vera speranza.
HEAVEN KNOWS WHAT di Josh Safdie, Ben Safdie (Usa, Francia, 94′, v.o. inglese s/t italiano) in Orizzonti
con Arielle Holmes, Caleb Landry Jones, Buddy Duress
Può uno spettatore modificare il modo di girare dei suoi registi preferiti? Questo film, apparentemente, risponderebbe di si. Uno dei fratelli Safdie, ha infatti rivelato oggi in conferenza stampa al Lido di aver ricevuto da un suo fan una fotografia con un cavalletto dove appoggiare la camera da presa. Con un commento : questa invenzione potrebbe consentirvi di fare film che possiamo vedere senza avere il mal di mare…!
I mitici Safdie Brothers sono infatti famosi per aver sempre usato nei loro film la camera a mano. Sempre alla ricerca del reale. Inseguendo i loro attori. E le immagini ne risultavano sempre sgradevolmente mosse. Per la prima vota in questo film hanno deciso di usare il cavalletto. E questo film si può (quasi) vedere come un film normale. Non hanno però cambiato il loro modo di fare cinema. Il film è nato per caso. I due stavano girando un altro film e con un loro collaboratore stavano per prendere la metro e questi ha detto loro che lì vicino abitava la più bella ragazza del mondo. Josh l’ha quindi chiamata e poi l’ha invitata a cena.
Mettendo il vestito elegante e portandola in un ristorante importante. E’ stato subito affascinato da Arielle Holmes, per la sua viva intelligenza. La quale, alla fine della cena ha rivelato di essere senza un tetto sotto il quale dormire. Allora le ha procurato un lavoro in un video. Al quale però non si è presentata, non rispondendo più al cellulare per 3 settimane. Dopo di che Arielle ha richiamato Josh, confessandole di essere stata ricoverata per 3 settimane in un ospedale psichiatrico per tentato suicidio. Josh le ha chiesto se voleva scrivere qualcosa sulla sua storia.
Ed ecco che il film parte. Sul testo autobiografico scritto da Arielle e da lei stessa interpretato come protagonista assoluta. Il cinema dei fratelli Safdie è tipo da “festival” : sperimentale, autoriale, non convenzionale, originale. È il classico cinema “noioso” per lo spettatore medio (ed anche per molti addetti ai lavori, se avessero il coraggio di ammetterlo…).
Con soggetti tratti dal reale , preferibilmente depressivi e che hanno come protagonisti individui che vivono ai margini della società. Si potrebbe dire, da questo punto di vista, che sono un po’ come i fratelli Dardenne d’America.
TAKVA SU PRAVILA (THESE ARE THE RULES) di Ognjen Svilicic (Croazia, Francia, Serbia, Macedonia, 78′, v.o. croato s/t inglese/italiano) in Orizzonti
con Emir Hadzihafizbegovic, Jasna Zalica, Hrvoje Vladisavljevic
Ancora un film incentrato sulla violenza fisica. Di un bullo su un coetaneo, che porta a tragiche conseguenze per lo stesso. Violenza di un sistema di regole incomprensibili ed inumane. Che porta le sue vittime a usare altra violenza . La vicenda è tragica, ma banale. E, in sé, di non grande interesse. Salvo che per il valore di metafora universale. Impeccabile la confezione , con attori credibili.
THE HUMBLING di Barry Levinson (Usa, 112’, v.o. inglese s/t italiano) fuori Concorso
con Al Pacino, Greta Gerwig, Nina Arianda, Barry Levinson, Dianne Wiest, Charles Grodin
Che dire, Al pacino è sempre un numero uno. Quando recita lui, tanto di cappello. E vale la pena vedere il film solo per il piacere sublime di farsene incantare. Il film , pur con toni crepuscolari e drammatici, ha però una scorrevolezza da commedia brillante. Con battute irresistibili. E momenti anche di piacevole comicità. Regia impeccabile. Attori in grande spolvero. Un grande spettacolo.
Curiosità : dopo il film di esordio, “Birdman”, ancora un film sulla messa in scena di uno spettacolo teatrale (ed ancora raffigurante una star sul viale del tramonto), curiosamente entrambi i film hanno all’inizio una scena in cui il protagonista rimane accidentalmente chiuso fuori da una porta di uscita di sicurezza del teatro e deve rientrare dalla porta principale, facendo tutto il giro dell’isolato (anche se in questo “The Humbling” è un momento solo onirico).
SENZA NESSUNA PIETÀ di Michele Alhaique (Italia, 98’, v.o. italiano s/t inglese) in Orizzonti
con Pierfrancesco Favino, Greta Scarano, Claudio Gioè, Adriano Giannini, Ninetto Davoli
Opera di esordio alla regia dell’attore Michele Alhaique. Che sceglie , con coraggio, un film di genere , un noir metropolitano. Che gioca le sue carte migliori nelle notevolissime interpretazioni. Su tutte quella di un gigantesco Pierfrancesco Favino. Che rende mirabilmente il disagio e la rabbia in cui è imprigionato il suo personaggio.
Fino alla esplosione. Notevole anche la sua partner femminle, Greata Scarano (che aveva recitato nel ruolo della giovane sposa proprio del regista, là in ruolo solo di attore, nel film di esordio di Saverio Di Biagio, “Qualche Nuvola). Il film ha un discreto ritmo.
Anche se non tutti i passaggi risultano felici. Come l’inizio della breve parentesi sentimentale, con riprese subacquee contro sole con sottofondo di musiche smielate in funzione di “Cupido”, la cui economia avrebbe forse giovato ad una maggiore asciuttezza del film.-
REALITY di Quentin Dupieux (Francia, Belgio, 90’, v.o. francese s/t inglese/italiano) in Orizzonti
con Alain Chabat, Jonathan Lambert, Elodie Bouchez, Kyla Kenedy
Curioso film. Tutto giocato sulla alternanza di realtà e sogno. Una struttura quasi a scatole cinesi. Con sogni dentro i sogni. E addirittura con sogni di persone che entrano nei sogni di altri sostituendosi alle persone stesse nei sogni. Ricorda alla lontana “Inception”, il capolavoro di Christopher Nolan. Film brioso, divertente e divertito. Con una eccellente dose di ironia. Che non guasta mai.
IM KELLER (IN THE BASEMENT) di Ulrich Seidl (Austria, 85′, v.o. tedesco s/t inglese/italiano)
Ulrich Seidl ci ha abituato ad un suo sguardo indagatore delle umane stranezze. È uno sguardo da entomologo. Ma da entomologo molto ironico. Questa volta fa la rappresentazione di un centone di “freaks”, di scherzi della natura. Dal trombonista alcolizzato fanatico di Hitler.
Alla coppia in cui lei è dominante e lui uno schiavo che si sottopone alle più assurde perversioni della compagna. Alla masochista dichiarata che lavora alla Caritas e si occupa di violenza sulle donne… Al cacciatore che impaglia tutti gli animali del mondo. Al gestore di tiro a segno mancato tenore. E così via. Quello che accomuna tutti questi “mostri” è che svolgono la loro attività nelle cantine, nei locali interrati.
Da Venezia Catello Masullo
MITA TOVA (THE FAREWELL PARTY) di Sharon Maymon, Tal Granit (Israele, Germania, 93’, v.o. israeliano s/t inglese/italiano) Giornate degli autori.
con Zeev Revah, Levana Finkelstein, Alisa Rozen, Ilan Dar.
Calorosi applausi e commozione in sala anche per il film israeliano “Mita Tova (The Farewell Party)” di Sharon Maymon e Tal Granit, passato per le Giornate degli Autori. Il tema principale è l’eutanasia praticata su chi è malato terminale. In una moderna casa di riposo in Israele, vivono coppie di anziani in appartamenti dotati di ogni comfort, che sono seguiti da personale specializzato. Tra essi vi sono Yezhekiel (Ze’ev Revach) e Levana (Levana FInkelstein).
Yezhekiel grazie ancora al suo genio per l’elettronica, crea congegni domestici. Levana invece è una moglie premurosa e nonna di una bella bambina; però sta lentamente perdendo la memoria. Quando un parente malato da tempo di Yezhekiel gli chiederà di porre termine alla sua vita a causa dei dolori sempre più intensi, l’anziano, dopo un po’ di titubanza, realizzerà un congegno portatile con pulsante da auto-premere – sul modello di quello realizzato negli Usa dal dottor Kevorkian (“il dottor morte”) dotato di timer per il rilascio dapprima di un sedativo e poi di una soluzione che porta al decesso.
Aiutato da alcuni amici, l’anziano inventore utilizzerà lo strumento su altri malati venuti a conoscenza di questo sistema. Intanto lo stato mentale della moglie di Yezhekiel si aggraverà… Girato dosando le parti umoristiche con i momenti drammatici e tristi, “Farawell Party” è una pellicola che espone un argomento serio in un modo leggero ma toccante, che fa riflettere sulla condizione umana e sulla libertà di essere padroni della propria vita.
Davvero un’ottima pellicola, con un cast di attori brillanti e simpatici in situazioni a volte ironiche. Ci auguriamo che, una volta distribuito nelle sale, questo film abbia un meritato successo di pubblico.
Da Venezia
Andrea Curcione