Un’estate italiana. Di Alberto Moravia un brano tratto da “Agostino”

Non poteva mancare Alberto Moravia nella nostra rassegna estiva! Il romanzo breve “Agostino” ci parla della iniziazione sessuale del tredicenne protagonista, in vacanza versiliese con la sua bellissima mamma rimasta vedova. Spesso le iniziazioni sessuali negli adolescenti hanno luogo tra ozi estivi e la visione della nudità dei corpi sulla spiaggia. Ecco perché ci sembra interessante proporre almeno l’incipit di questo romanzo meno noto, ma che andrebbe letto, del grande autore romano.

Alberto Moravia

Da “Agostino” (Sonzogno editore 1945).

Nei primi giorni d’estate, Agostino e sua madre uscivano tutte le mattine sul mare in pattino. Le prime volte, la madre aveva fatto venire anche un marinaio, ma Agostino aveva mostrato per così chiari segni che la presenza dell’uomo l’annoiava, che da allora i remi furono affidati a lui. Egli remava con un piacere profondo su quel mare calmo e diafano dal primo mattino e la madre, seduta di fronte a lui, gli discorreva pianamente, lieta e serena come il mare e il cielo, proprio come se lui fosse stato un uomo e non un ragazzo di tredici anni. La madre di Agostino era una grande e bella donna ancora nel fiore degli anni; e Agostino provava un sentimento di fierezza ogni volta che si imbarcava con lei per una di quelle gite mattutine.

Gli pareva che tutti i bagnanti della spiaggia li osservassero ammirando sua madre e invidiando lui. Convinto di avere addosso tutti gli sguardi, gli sembrava di parlare con una voce più forte del solito, di gestire in una maniera particolare, di essere avvolto da un’aria teatrale ed esemplare come se invece che sopra una spiaggia, si fosse trovato con la madre sopra una ribalta, sotto gli occhi attenti di centinai di spettatori.

Talvolta la madre si presentava in un costume nuovo; e lui non poteva fare a meno di notarlo ad alta voce, con desiderio segreto che altri lo udissero; oppure lo mandava a prendere qualche oggetto nella cabina, restando ritta in piedi sulla riva presso il pattino. Egli ubbidiva con una gioia segreta contento di prolungare, sia pure di pochi momenti, lo spettacolo della loro partenza. Finalmente salivano sul pattino, Agostino s’impadroniva dei remi e lo spingeva al largo. Ma ancora a lungo restavano nel suo animo il turbamento e l’infatuazione di questa sua filiale vanità.

Come si trovavano a gran distanza dalla riva, la madre diceva al figlio di fermarsi, si metteva in capo la cuffia di gomma, si toglieva i sandali e scivolava in acqua. Agostino la seguiva. Ambedue nuotavano intorno al pattino abbandonato coi remi penzolanti; parlando lietamente con voci che suonavano alte nel silenzio del mare piatto e pieno di luce. Talvolta la madre indicava un pezzo di sughero galleggiante a qualche distanza e sfidava il figlio a raggiungerlo a nuoto.

Ella concedeva al figlio un metro di vantaggio; poi, a grandi bracciate, si slanciavano verso il sughero. Oppure gareggiavano a tuffarsi dal sedile del pattino. L’acqua liscia e pallida si squarciava sotto i loro tuffi.

Agostino vedeva il corpo della madre inabissarsi circonfuso di un verde ribollimento e subito le si slanciava dietro, con desiderio di seguirla ovunque, anche in fondo al mare. Si gettava nella scia materna e gli pareva che anche l’acqua così fredda e unita serbasse la traccia di qual corpo amato.

Finito il bagno risalivano sul pattino e la madre guardando intorno al mare calmo e luminoso diceva: « Come è bello, nevvero? » Agostino non rispondeva perché il godimento di quella bellezza del mare e del cielo, egli lo doveva soprattutto all’intimità profonda  in cui erano immersi i suoi rapporti con sua madre. Non ci fosse stato questa intimità, gli accadeva talvolta di pensare, che sarebbe rimasto di quella bellezza? Restavano ancora a lungo ad asciugarsi, nel sole che, avvicinandosi il mezzodì, si faceva più ardente; poi la madre si distendeva sulla traversa che univa le due navicelle del pattino e, supina, i capelli nell’acqua, il viso rivolto al cielo, gli occhi chiusi, pareva assopirsi; mentre Agostino, seduto sul banco, si guardava intorno, guardava la madre e non fiatava per timore di turbare quel sonno. Ad un tratto la madre apriva gli occhi e diceva che era un piacere nuovo stare distesa sul dorso con gli occhi chiusi, sentendo l’acqua trascorrere e ondeggiare sotto la schiena; oppure domandava ad Agostino che le porgesse il portasigarette; o meglio che accendesse lui stesso la sigaretta e gliela desse; tutte cose che Agostino eseguiva con computa e trepida attenzione. Quindi la madre fumava in silenzio e Agostino se ne stava chino, voltandole le spalle ma con la testa girata di fianco, in modo da poter vedere le nuvolette  di fumo azzurro che indicavano il luogo dove la testa della madre riposava, i capelli sparsi nell’acqua.

Ancora, la madre che non sembrava mai saziarsi del sole, pregava ad Agostino di remare e di non voltarsi: intanto lei si sarebbe tolto il reggipetto e avrebbe abbassato il costume sul ventre, in modo da esporre tutto il corpo alla luce solare. Agostino remava e si sentiva fiero di questa incombenza come di un rito a cui gli fosse concesso di partecipare. E non soltanto non gli veniva in mente di voltarsi, ma sentiva quel corpo, là dietro di lui, nudo al sole, come avvolto in un mistero cui doveva massima venerazione.

Alberto Moravia

(Proposta di Nicola Guarino)

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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