Napoli ha lasciato una forte impronta su di me, sulla mia sensibilità, anche perché Napoli ha nel mio intimo un forte legame ideale con Pisino e l’Istria che lasciai appena infante con i miei, per sfuggire alle persecuzioni cui invece non sfuggì mio zio e altri di Pisino e dintorni, trucidati dagli slavi.
Vi è un programma alla TV italiana, “Viaggio nell’Italia del giro”, condotto da Edoardo Camurri. Camurri attraversa l’Italia, sosta in bicicletta in certe località dove passa il Giro e ci presenta luoghi e personaggi che conquistano la mente e il cuore del telespettatore.
Ebbene, se io dovessi condurvi a fare un giro con me inizierei da Capodimonte, con la Reggia e con il magnifico bosco che supera in fascino i paesaggi del migliore romanticismo pittorico. Nei viali di questo vasto bosco io sgambettai da bambino, perché, originari dell’Istria, noi rimanemmo ospiti per due anni nel campo profughi lì situato.
In certi luoghi, in certi ambienti, in certe persone noi ritroviamo una parte di noi stessi. Io nel Bosco di Capodimonte ritrovo anche il ricordo ideale di Gabriele D’Annunzio, comandante dei legionari fiumani. Un distinto ricordo che ho, è di me bambino – avevo forse sei anni – che cantavo sul sagrato della chiesetta, nei pressi della baracca dove abitavamo (Il “Secondo campo”), non distante dalla famosa fabbrica di porcellana. La canzone diceva, se la memoria mi è fedele: “O Fiume tu sei la più bella! O Fiume tu sei la più forte! Porteremo i cannoni alle porte, per difendere, per difendere la libertà. Saliremo sul monte Maggiore, sentiremo la banda suonare e se D’Annunzio ci darà il comando…” Ricordo di averla cantata all’uscita della messa, benché fossi molto timido, imperiosamente sollecitato da mio padre, a beneficio degli altri profughi, divertiti e forse anche un po’ commossi. Questa è una delle canzoni dei legionari fiumani, che, capitanati da D’Annunzio, marciarono su Fiume nel 1919 per rimanervi fino al 1920.
A Napoli papà riuscì a trovare un impiego stabile presso l’amministrazione dell’ospedale Cardarelli. Veramente gli era stata offerta, niente di meno, la prospettiva del posto di economo dell’enorme ospedale (l’economo precedente si era reso colpevole di malversazioni), ma lui dopo un tormentoso esame interiore non se la sentì di cimentarsi nell’arduo compito perché non era sicuro di sé e temeva di deludere le generose aspettative che i dirigenti riponevano in questo istriano di scuola austriaca, già economo di un prestigioso Convitto (il “Fabio Filzi” di Pisino).
In mio padre vi era stato un crollo psicologico per le tremende vicende della guerra e per la perdita del suo mondo. Quando leggo la copia della lettera, inviata a mia madre che si trovava a Venezia e in cui mio padre spiegava la propria rinuncia, a quell’allettante proposta, dettata da puro scrupolo di coscienza, mi si stringe il cuore.
Il fatto di capire il comportamento di mio padre mi turba, perché mi mostra il condizionamento operato su di noi da un mondo antico, molto severo, d’impronta cosiddetta austriaca. Che è esistito in Istria; e che in particolare è esistito nei miei genitori, e che io ritrovo in me. Svantaggio questo non certo morale, ma vero handicap in relazione alle utili strategie di autopromozione in cui tantissimi italiani invece eccellono.
A Capodimonte rimanemmo circa due anni, poi ci fu assegnato come famiglia senzatetto un appartamento nelle case popolari, sempre a Napoli, nella località collinare Camaldoli; cui non manco mai di tornare quando mi trovo in Italia in vacanza.
Vi è una Napoli particolare che non esiste più e che forse non è mai esistita. Essa esiste però nell’anima di certuni che l’hanno lasciata per sempre. Una Napoli interiorizzata, assurta a fatto mitico, sacrale, composta degli elementi più belli della napoletanità. Una Napoli senza furbizia, senza problemi di spazzatura, senza scippi. Quella Napoli esiste in me. È una parte di me, la parte migliore.
Come vedete, cari amici napoletani, sono divenuto troppo sentimentale. Una sentimentalità, la mia, che può apparire patetica ma che non è superficiale. Anzi è profonda e dolorosa. E della quale la dura scuola dell’estero – oltre che la mia origine e oltre che Napoli stessa – è anche la causa.
Claudio Antonelli
[Nota della redazione, tratta dal sito di Capodimonte:
«Il Bosco di Capodimonte fu il luogo in cui a partire dal 1947 fu installato un campo di accoglienza per i profughi di Fiume, Istria e Dalmazia. Tutto cominciò quando le truppe alleate nel 1943 allestirono un’area di deposito con alcune baracche e un sistema di linee elettriche e telefoniche. Pochi anni più tardi, il governo italiano convertì questi spazi in un “Centro di raccolta profughi” per gli esuli provenienti dalle regioni di Fiume, Istria e Dalmazia, che restarono anche oltre l’apertura al pubblico del Bosco dell’ex Sito reale di Capodimonte, avvenuta nel 1952.]