Nell’agosto 1917 la Torino operaia dei quartieri popolari si ribello’ contro la guerra e la mancanza di pane, scontrandosi con le forze dell’ordine e costruendo barricate nelle strade: cinque giorni di rivolta spontanea, alimentati dal mito della rivoluzione russa e soffocati dalle mitragliatrici dell’esercito, nell’anno più duro della Grande Guerra. Cinque giorni che sconvolsero Torino, in cui esplose la reazione di una popolazione stanca, affamata e impoverita, che la polizia mise a tacere con una repressione spietata. A cent’anni dai fatti, torna in una nuova edizione questo libro di riferimento «Cronaca di una rivolta. I moti torinesi del ’17» in una nuova veste ampliata e rivista nell’apparato iconografico e storiografico. Ce ne parla Maria Vitali-Volant.
*****
Nel 2017 abbiamo assistito a grandi commemorazioni per il centenario della Rivoluzione d’Ottobre in Russia. La prima rivoluzione che è venuta dal basso, una rivoluzione operaia, un miracolo che la storia ancora studia e approfondisce: luci e ombre.
Parafrasando il celebre libro di John Reed, Dieci giorni che sconvolsero il mondo, cronaca di un giornalista americano brillante e intelligente, redatta sulla nascente Rivoluzione d’Ottobre e sulla sua epopea, anche Torino ebbe alcuni giorni che la sconvolsero e nello stesso tempo la resero nota in Italia e all’estero. Nell’agosto del 1917 la popolazione operaia di Torino scese in piazza per protestare contro la penuria di pane e di altri generi alimentari ma anche contro la guerra. Due motivi che continuano a spingere intere popolazioni a scendere in piazza ancora oggi: Congo, Americhe, Medio Oriente, Iran…
Piazze gremite di uomini e donne in rivolta, a seguito dei fallimenti della politica, delle classi dirigenti impreparate, dell’avidità e della cecità economica dei capitalisti. Da cui povertà e manipolazioni, sofferenze e morte, solitudini, disastri ecologici e spostamenti di popoli. L’Agora greca ancora conserva il suo ruolo di luogo sacro, dedicato alla democrazia. Uno spazio aperto che si carica delle energie popolari che reclamano giustizia.
Anche in Italia e nel resto d’Europa tanti lavoratori stanno scendendo in piazza in questo momento per difendere il diritto al lavoro, alla dignità. Sappiamo che dopo il 2007, anno della crisi, la condizione della classe lavoratrice si è aggravata e la povertà sfiora anche da noi cifre da capogiro: secondo le ultime statistiche ISTAT siamo sui 5 milioni. Anche negli altri paesi europei la situazione non è florida per i lavoratori e cosi’ anche per la classe media.
Ma forse, per capire, per esplorare la Storia del movimento operaio italiano e esaminare criticamente la situazione attuale, vale la pena tornare al 1917 a Torino: questa città che è sempre stata il teatro di lotte, di manifestazioni e di rivolte per i diritti umani. Tutto il secolo che ci precede ha visto le piazze di Torino riempirsi di lavoratori, studenti, cittadini della società civile decisi a rivendicare condizioni di vita più umane e diritti. A volte pagando col sangue le loro rivendicazioni.
A distanza di molti decenni, nel 1977, un giornalista torinese: Giancarlo Carcano redige “Cronaca di una rivolta. I moti torinesi del ’17”, ancora oggi un elemento valido per comprendere quello che successe e le sue derivazioni nel tempo. Un testo che attinge ad un’interessante modalità narrativa, con un taglio di reportage e cronaca e di racconto ispirato al ritmo narrativo del citato capolavoro di Reed. Un impianto narrativo che ha retto nel tempo ma che oggi necessita di un rafforzamento delle fonti e del materiale iconografico, già presente nel primo libro ma scarsamente messo in giusto valore. Il volume, quindi, viene ripubblicato oggi ampliato e rivisto nel suo apparato storiografico tanto da poter ancora servire ai ricercatori, agli studiosi del periodo e al grande pubblico degli Italiani che “vogliono capire” . Un’analisi di cui ancora abbiamo bisogno, dettagliata e ricchissima di spunti utili all’oggi anche dal punto di vista politico e sociale.
Il Novecento è carico di storie dimenticate, sospese, rimosse, altamente enfatizzate o ideologicizzate per sottovalutarne la portata. Il senso e il contenuto di questo libro vogliono evocare obiettivamente una di queste storie, emblematica, e il romanzo nazionale che avrebbe potuto scaturirne – citando lo scrittore Maurizio Maggiani che da anni si occupa di questo. Un incipit, una narrazione collettiva che stava nascendo in Italia all’inizio del secolo scorso nelle classi sociali e nelle istituzioni democratiche prima delle due guerre, della dittatura fascista e della fine delle speranze nel dialogo e nella crescita culturale. In questo nostro paese che ancora oggi fatica a vedersi come una comunità in crescita solidale capace di raccontarsi “insieme”.
Un secolo, il Novecento, che ha visto anche in Italia la presenza delle masse entrare sulla scena; spinte da ideali, ideologie contraddittorie, dai desideri di dignità e di riscatto.
Di quei cinque giorni dell’agosto a Torino non ci resta che qualche immagine sfocata, seppia, elegante e misteriosa. Chi ha scritto di quei giorni ha utilizzato di volta in volta definizioni diverse: moti, rivolta, sciopero…ma fu la reale mancanza del pane, talvolta anche enfatizzata, l’elemento scatenante degli assalti ai forni, alle panetterie, alle pasticcerie del centro di Torino e della periferia operaia. Questo, insieme ad una forte opposizione, più o meno consapevole, alla guerra. L’appello di Papa Benedetto XV contro “L’inutile strage”, gli echi della Rivoluzione d’Ottobre che pervengono nel nostro paese anche attraverso la voce dei delegati dei soviet giunti in treno a Torino in agosto, gli ammutinamenti e gli episodi di diserzione al fronte, insieme alle sempre più dure condizioni di lavoro in fabbrica, fanno da sfondo al progressivo moto di rivolta che coinvolge ampi strati della popolazione: dagli operai alle donne e ai giovani, che furono i veri protagonisti e i martiri di queste giornate.
Il 21 agosto a Torino scoppiano alcuni “torbidi di donne” leggiamo sul settimanale dell’Unione Operaia Cattolica “La voce dell’operaio” :
“Si deve sapere che da parecchio tempo, le massaie dovevano alzarsi alle 5 per arrivare in tempo a comperare il pane: dopo le 8, erano rare le panetterie le quali avessero ancora un soldo di pane.”
Rivolta di donne: casalinghe e operaie, che sono restate sole a battersi per vivere di poco con figli e vecchi a carico perché gli uomini validi sono al fronte; di giovani che lavorano con remunerazioni insufficienti in fabbriche che producono sempre di più per l’industria bellica, ecco i veri protagonisti di questi moti sanguinosi che furono soppressi dalle forze dell’ordine lasciando in terra più di quaranta morti e più di cento feriti. La censura soffocherà l’entità del disastro ma il libro riporta con precisione le liste dei nomi delle vittime e dei feriti e tante comunicazioni istituzionali – lettere del prefetto, del sindaco, etc – documenti preziosi desunti da documenti d’archivio locali e nazionali dopo un puntiglioso lavoro di studio. Poi le testimonianze e le voci di donne che diventeranno celebri come Teresa Noce, allora giovane sarta, Albina Caviglione, Giorgina Levi, Bianca Guidetti Serra, Antizarina Cavallo e Maria Giudice: maestra , madre di otto figli e che darà alla luce nel 1924 la grande scrittrice Goliarda Sapienza. Il libro riporta brani di lettere, rapporti giudiziari, comunicazioni ufficiali come quelle di Cadorna intrise di cinismo e di rabbia antipopolare, articoli e comunicazioni di partito. Il PS di allora combattuto e diviso sulla guerra e sulle politiche sociali, sulle sue scelte politiche locali e nazionali, sull’esame della reazione degli apparati dello Stato e dell’esercito che intervenne per sedare la rivolta.
Quando scatta la repressione, dopo il massacro:
“Furono arrestati quasi tutti i membri delle commissioni esecutive della Sezione Socialista e della camera del Lavoro, molti segretari di Leghe e Circoli” questo riporta il Grido del popolo, 25 agosto-1 settembre 1917.
Tanti i nomi di quadri politici e operai che compaiono nelle vicende di quei giorni. Nomi che ritroviamo in carcere e poi citati al processo che vede alla sbarra i dirigenti socialisti e gli anarchici accusati di essere i mandanti morali. Quasi novecento gli arresti. Alcuni saranno incarcerati, condannati e processati da un tribunale militare e poi amnistiati nel 1919. Tra loro Menotti Serrati, Rabezzana, Romita, Barberis, Maria Giudice, Dalberto, l’anarchico Anselmo Acutis. I fatti contestati: eversione, disfattismo, incitamento alla rivolta. Avvocati d’eccezione li difendono: Treves e Modigliani. A testimoniare in loro difesa, fra gli altri, Gramsci e Bordiga.
Militanti tutti, con vite difficili e modeste. Persone che condividevano ogni giorno la vita grama delle classi subalterne, che ne vivevano le sorti dall’interno. In seguito, alcuni emigrarono, durante il fascismo, in Francia dove vissero di stenti e in miseria come Acutis, pittore e fotografo perseguitato dal fascismo e suo figlio Pensiero e, fra gli altri, Maurizio Garino che ricorda cosi’ i moti di Torino in un’intervista a Marco Revelli negli anni ‘70 :
“Sull’insurrezione di Torino, ci sarebbero da scrivere dei libri. E’ nata dallo sfogo, dalla protesta di un gruppo di donne. Il pane era immangiabile, puzzava! E poi era razionato. Saranno state 50 donne all’inizio, non organizzate da nessuno. Tutto spontaneo. E allora io mi sono buttato nella mia zona, la Barriera di Milano...”
Ma i moti di agosto furono preceduti da tafferugli, scontri e manifestazioni nella primavera del 1915 in seguito alla dichiarazione di guerra. Una grande manifestazione pacifista di stampo popolare che fece di Torino “Un pericoloso focolaio di neutralismo e disfattismo” secondo il nascente fascismo. Fa da sfondo una città in rapida espansione economica, con un forte incremento demografico, segnata da divisioni ideologiche e politiche, ma anche separata nel vivere lo spazio pubblico e nella sua organizzazione: un centro borghese che si oppone alla periferia operaia.
La rivolta pero’ non diventa rivoluzione alla russa, né si estende ad altri territori. Dispersi dalla forza pubblica, ricacciati in casa e nelle fabbriche, i “rivoltosi” riprendono con amarezza la vita quotidiana, anche se durante quei giorni “caldi” si tentarono scioperi soffertie riusciti ma, alla fine, solo qualche fabbrica rimase chiusa e per poco.
L’operaio Mario Montagnana dice nell’articolo “Il PS nell’ultimo conflitto mondiale” in Lo stato operaio – a. III, n.5, p.425 del 1929 :
“I moti si spengono da sé…I moti erano morti senza che il partito socialista avesse dato il minimo segno di esistenza…I moti morirono perché gli operai, sfogata la loro rabbia e, bene o male, il loro odio contro la guerra, non sapevano più cosa fare, non sapevano più a quale scopo immediato tendere i loro sforzi”.
A proposito di questa affermazione di assenza di direzione del Partito Socialista, Giancarlo Carcano fa una premessa al suo libro dove spiega come lo sciopero generale a Bologna del maggio 1915 contro l’entrata in guerra dell’Italia, il comizio alla camera del Lavoro, il corteo, la morte dell’operaio Carlo Dezzani durante gli scontri, furono strumenti di pressione delle organizzazioni operaie sul PS perché avesse una posizione chiara sulla guerra e sulla situazione economica e sociale della classe operaia.
Ma in Italia niente Soviet. Le tendenze socialpatriottiche e quelle rivoluzionarie del PS si scontravano a livello nazionale sul tema della guerra e la famosa parola d’ordine “Né aderire né sabotare” fu un tentativo di mediare le varie tendenze. Un compromesso a breve termine che riassume la drammaticità di quei momenti della nostra storia politica e sociale. Di fronte alla determinazione popolare si creo’ una frattura fra il partito e la classe operaia.
Le conseguenze di questa frattura perdurano, hanno lasciato tracce profonde nella storia del nostro paese sulle quali vale la penna meditare anche oggi. Il libro di Carcano, con un apparato critico imponente, con citazioni di documenti originali pubblici e privati, di testimonianze, di riflessioni politiche è uno degli strumenti validi per questa riflessione.
Torino 1917. Cronaca di una rivolta
Di Giancarlo Carcano
Nuova edizione a cura di Roberto Bamberga
Prefazione di Marcella Filippa
Edizioni del Capricorno, Torino
Novembre 2017
Pagine 277
Prezzo 18€
L’AUTORE
Giancarlo Carcano (1934-1993), dopo l’esordio come giornalista al settimanale Il Paese Sportivo, passò a L’Unità accanto a Raf Vallone, Italo Calvino e Cesare Pavese. Lavorò anche per la Gazzetta del Popolo, per il Radio corriere e la RAI. Nel 1975 fu eletto consigliere comunale a Torino. Tra le sue pubblicazioni si ricordano Strage a Torino. Una storia italiana dal 1922 al 1971 (La Pietra, Milano 1973), L’affare Rizzoli. Editoria, banche e potere (De Donato, Bari 1978) e Il fascismo e la stampa. 1922-1925. L’ultima battaglia della Federazione nazionale della stampa italiana contro il regime (Guanda, Milano 1984).