Prima pubblicazione di un volume miscellaneo negli Stati Uniti con una nuova impostazione metodologica per lo studio del geniale filosofo, poeta e artista Carlo Michelstaedter (Gorizia 1887-1910). Il libro racchiude, nella sua complessità, come in una preziosa filigrana, la storia della critica sul goriziano, ebreo, nel 130° anniversario della sua nascita, passando dai suoi scritti filosofici, rivelatori della sua Weltanschauung, fino alla poesia e alla pittura che rendono più completa la sua personalità e illuminano di nuova luce il suo pensiero severo e irriducibile sul destino dell’umanità.
Così il libro aiuta a scoprire un disegno articolato della vita del filosofo, iniziata come una vita normale, molto sensibile alla suggestione delle lusinghe dei progetti futuri, durante il corso degli Studi a Firenze, dopo che si era iscritto alla facoltà di Matematica a Vienna. Nell’Epistolario, in una lettera al padre, che avrebbe voluto che lui fosse, come riporta Gabriele Zanello, un “tecnico d’assicurazione”, è detto “come tu desideravi, ma sarò, fra tre anni professore a Gorizia o a Trieste”. Purtroppo poi la sua vita fu irrimediabilmente troncata, nel fiore degli anni, dall’inesorabilità della decisione del suicidio nel 1910, suicidio che non solo segnò tragicamente la sua vita, ma condizionò fortemente quella dei suoi amici più stretti (cfr. Sergio Campailla: Il segreto di Nadia B; la musa di Michelstaedter tra scandalo e tragedia, 2010 Marsilio Editori). Anche Enrico Mreule, fraterno amico che gli lasciò, prima di partire, la pistola che portava sempre con sé e con cui Carlo poi si suicidò, forse fu stravolto dalla ricerca filosofica di lui, per trasferirsi nel 1909 in Argentina e vivere in solitudine come un estraneo.
Claudio Magris, cogliendo il segno di quel sodalizio che andava oltre il tempo, ne ha fatto il protagonista del suo romanzo Un altro mare (2003, Milano, Garzanti). Nella sua intervista rilasciata a Cappozzo e collocata in appendice al libro, Magris rivendica l’importanza delle opere di Michelstaedter e si dice convinto che la retorica, che tuttora rappresenta l’opinione nella ricerca della verità, è da condannare e che egli nel suo romanzo non ha voluto propendere per il mondo platonico delle idee, ma raccontare la fatica umana del vivere. Il pensiero del grande filosofo goriziano però, innestandosi nel vivo del nichilismo e dell’esistenzialismo, ha suscitato appassionate diatribe e chiamato in causa speculatori di ogni scuola. Sono innumerevoli gli studi che sono stati composti per discutere il suo pensiero, dal Novecento a oggi. Quelli di Thomas Harrison, di Daniela Bini, di Gabriele Zanello, d’Ilvano Caliaro, di Rosaria Peluso, di Mimmo Cangiano e di Yvonne Hütter ne costituiscono la densa sostanza filosofica.
Durante il corso dei suoi studi in Lettere all’Istituto di Studi Superiori, a Firenze, dove ha come compagni di scuola Vladimiro Arangio-Ruiz, futuro filosofo accademico e Gaetano Chiavacci, poi curatore delle sue opere, legge e riflette. Legge molto, Schopenhauer, Platone, Tolstoj, Nietzsche, Ibsen, il Vangelo ed elabora una sua filosofia.
Resta a Firenze per quattro anni (cfr. Valerio Cappozzo: Il percorso universitario di Carlo Michelstaedter dall’archivio dell’Istituto di Studi Superiori, in Un’altra società. Carlo Michelstaedter e la cultura contemporanea, 2012, Marsilio Editori), infine ritorna a Gorizia per preparare la tesi datagli dal docente di letteratura greca sul tema di persuasione e retorica in Platone e Aristotele. È proprio nella stesura di essa, tra il 1909 ed il 1910, che si radica in lui il convincimento d’una realtà apparente che entra in profondo conflitto con l’idea originaria d’un Assoluto. Passa attraverso un profondo mutamento di carattere e tende a vivere isolato, tutto concentrato nelle sue idee. Vicino ha la devota sorella Paula, il cugino Emilio e pochi amici.
Non gode la confidenza del padre a cui invece riserva ironiche punzecchiature. Lo avverte infatti che non avrebbe fatto più il professore, ma che sarebbe andato al mare e si diverte a disegnarlo in un acquerello come una Sfinge o, nel bozzetto d’una Assunzione, in vesti succinte, rapito al cielo (immagini riprodotte a colori nel libro). Egli, Direttore dell’Agenzia delle Assicurazioni Generali, con scarso spirito religioso, ma rispettoso delle tradizioni, è invece ben colto e assimilato alla borghesia goriziana, vicino alla scrittrice friulana Caterina Luzzatto, cugina della moglie, d’orientamento politico liberale.
Secondo La Persuasione e la rettorica, che è l’argomentazione principale di Carlo Michelstaedter, il pensiero umano oscilla tra una verità assoluta e una relativa menzogna, la prima è quella insita nella coscienza umana come da insegnamento platonico, ma l’uomo è portato a fare l’esperienza della tragicità e finitezza della vita e per lenire il suo dolore si inventa la retorica che sono le illusioni create dalla cultura, dalle dottrine filosofiche, politiche, religiose e sociali e che servono a consolarlo e a distoglierlo dall’idea dell’Assoluto.
La persuasione, pertanto, è la visione di chi ha compreso questa verità che il mondo è negatività e dolore, la retorica, invece, una sovracostruzione mentale in cui l’uomo cerca rifugio. Ma la cosa più grave e ingannevole si attua quando scambia questa seconda natura per quella vera ed essenziale, cioè pratica la menzogna come fosse verità. ”Quanto io dico è stato tante volte detto che pare impossibile che il mondo abbia continuato dopo che erano suonate quelle parole”: Parmenide, Eraclito, Socrate, l’Ecclesiaste, Eschilo, Sofocle, Simonide, Cristo, Confucio, Marco Aurelio, Epitteto e agli Italiani Petrarca, Leopardi e poi Ibsen, Beethoven, Nietzsche e tanti altri, tutti veri saggi, maestri e bramini, persone che cercavano la verità per il bene loro e di tutti.
La retorica trionfa sempre. La “Persuasione” è infatti antipositivistica e antievoluzionistica perché “il concetto di Natura è immobile contro la Natura trasformativa del Divenire della Storia“, come sottolinea nel suo saggio Mimmo Cangiano. Nella destrutturazione sociale che ne consegue, l’etica non è più comunitaria, ma individualistica e si trasforma in ideologia. Egli vede come valori quelle che pensa siano solo astrazioni, rigettando così la razionalità borghese di voler conciliare vita e forma.
Nel Dialogo sulla salute, scritto in contemporanea alla tesi di laurea nel 1909, che continua il tema già iniziato, in forma di dialogo platonico, il filosofo goriziano dice che non si può costruire una dottrina sistematica della persuasione, perché ognuno è solo e non può sperare aiuto che da sé. La salvezza individuale è possibile solo in una singolarità concentrata in sé (Cristo ha salvato se stesso). Essa consiste nella rigenerazione di sé e nella liberazione dei pregiudizi e ha una straordinaria somiglianza con l’idea di Nietzsche, illustrata nell’Aforisma 382 della Gaia Scienza, il bellissimo brano quasi d’afflato poetico, con l’incipit suggestivo: “Per colui che ha sete nell’anima di far esperienza di tutto l’orizzonte dei valori e di quanto fu desiderato fino a oggi, che ha sete di circumnavigare tutte le coste di questo ideale Mediterraneo [… ], per costui è in primo luogo necessaria una cosa sola, la grande salute – una salute che non soltanto si possiede, ma che di continuo si conquista e si deve conquistare, perché sempre di nuovo si sacrifica e si deve sacrificare.”
Solo che questa grande salute a cui alludono i due protagonisti, Nino e Rico, mentre passeggiano in un cimitero, non è da intendersi come l’uscita dalla vita, di cui Nietzsche aveva parlato, ma è “la forza tragica del pensiero critico che può guarire dal seguire la doxa, l’opinione dominante”, secondo il saggio di Rosalia Peluso. I due personaggi del Dialogo: Nino che rappresenta la via del piacere, ma viene zittito e Rico, quella del dolore, riconoscono che nessuno e niente li potrà salvare se non se stessi ed accettano l’augurio del custode di poter trovare la salute, ciascuno a suo modo. Scelgono quindi una vita “nuda”, non legata agli altri, ma a responsabilità personali.
Non esiste una cura oggettiva, universale, ma individuale e sofferta per uscire dalla crisi, che è separazione tra pensiero e vita, e implica la via al deserto della solitudine per continuare ad interrogarsi, chiusi in se stessi. Questo spiega il mutamento del carattere del filosofo goriziano durante la sua speculazione e la sua tendenza all’isolamento. Egli ha scelto una vita senza affetti e illusioni, sradicando da essa tutti gli orpelli consolatori, lasciandovi solo il pensiero dell’Assoluto. Ciò che la volontà esprime diventa ciò che è giusto perché è solo quella che il soggetto vede e in quella s’illude di consistere ontologicamente (Schopenhauer).
Così parafrasa il meccanismo della socialità: Il fiore vede nell’ape la propagazione del suo polline, l’ape nel fiore il dolce cibo delle larve. Nell’amplesso dei due organismi ognuno vede nella disposizione dell’altro, come in uno specchio se stesso[…]. Ognuno ignora se la sua affermazione coincida con l’affermazione dell’altro e gli tolga il futuro, – lo uccide -, ognuno sa solo che questo è buono per lui stesso e usa dell’altro come di mezzo al proprio fine.
Tale meccanismo tende a perfezionarsi nelle forme d’un vivere sociale che sceglie un codice di diritti e doveri dinanzi al quale gli uomini si riducono a meccanismi. E’ come una “seconda natura” da cui essi dipendono. Il sistema diviene così l’espressione del relativismo e progresso, libertà, morale, sono parole cristallizzate e non più valori del pensiero metafisico, ma d’un pensiero reificato, prodotto dalla vita alienata.
La Persuasione rivela però che sotto quelle strutture il dolore del soggetto, che sa di non essere, persiste e la Rettorica si configura come “una tecnica della violenza e della volontà di potenza che sana i dissidi” (Mimmo Cangiano), ma in fondo è menzogna e finzione.
Partito dalla filosofia greca nella quale aveva conosciuto la totalità della vita e del pensiero, Carlo Michelstaedter amplia la sua analisi nell’ambito di altre possibili dottrine, ma il suo giudizio sull’Io, che avverte la mancanza dell’Assoluto, ne esce confermato e confermata l’ambiguità tra mondo vero e mondo apparente. La libertà del singolo individuo è solo forma relativa al proprio bisogno. L’uomo arriva davvero a essere schiavo delle cose e la società “officina” della mistificazione dei valori assoluti, dettati dall’utile. “Certo è che siamo deboli e impotenti, condannati ad una vita imperfetta, impauriti ci raccontiamo in una elaborata versione del contrario”, commenta Yvonne Hütter.
Se questo è l’itinerario filosofico di Carlo Michelstaedter che è stato tanto studiato e discusso nell’arco di tempo che ci separa dalla sua morte (la ricca bibliografia presente nel libro ne è fedele testimonianza), molto laboriosa è stata l’attività filologica che riguarda le sue Poesie, trascritte in gran parte dalla sorella Paula e salvate per fortuna, nel 1943, dalla razzia dei tedeschi, durante la persecuzione degli ebrei goriziani e la requisizione dei loro beni. Fu una vicina di casa che salvò gli scritti del giovane Carlo (in quell’occasione furono deportate la sorella Elda e la madre Emma Luzzatto che trovarono la morte ad Auschwitz). Si occuparono delle Poesie, che non erano in forma compiuta e destinate alla pubblicazione, gli amici goriziani: Nino Paternolli, Enrico Mreule, Argia Cassini e quelli fiorentini, Arangio-Ruiz e Gaetano Chiavacci curarono le edizioni dal 1912 fino al 1958. Sergio Campailla, nel 1974 e nel 1987, affrontò il loro profilo linguistico, metrico e interpuntivo. Nel 2004 Angela Michelis fece una descrizione accurata delle singole carte manoscritte con inediti e avviò lo studio filologico, mentre l’apparato critico cominciò con Marco Cerruti (Civiltà letteraria del Novecento; Carlo Michelstaedter con testi e disegni inediti, Mursia editori).
Ora lo studioso Valerio Cappozzo, riprendendo un suo precedente studio del 2014 (Il percorso poetico di Carlo Michelstaedter con due inediti del 1903, ospitato nel volume a cura di Yvonne Hütter, Carlo Michelstaedter. Kunst – Poesie – Philosophie. Tubingen pp. 35-37), approfondisce questa attività di ricerca e revisione di esse portandola a buon punto e promettendo nel contempo un apparato critico. In questo stesso anno pure «L’Espresso» (26 febbraio) ha pubblicato tredici poesie inedite, allineandosi al laborioso itinerario della composizione di esse, che sono distinte in autografe ed apografe, in tutto quarantacinque. Alcune sono state trascritte in bella copia dalla sorella Paula, a cui si deve la loro conservazione, altre dall’amico Enrico Mreule, tornato dal suo esilio volontario dopo la morte dell’amico goriziano.
È emozionante seguire la fatica certosina del prof. Cappozzo nel confrontare le carte dei manoscritti, annotare le varianti anno per anno, i riferimenti occasionali oltre che cronologici, il lungo cammino editoriale, per cercare, con la maggiore fedeltà possibile di trascrivere poi le parole di Michelstaedter che ritrovano valenza di significato e ci danno il suo itinerario umano, drammaticamente vissuto, i turbamenti del suo animo, le impressioni e le angosce. Di queste 45 composizioni, 30 sono autografe e 15 apografe, cioè trascritte da diverse mani successive.
Il filosofo cominciò a scrivere poesie nel 1901, all’età di 14 anni, rivelando la sua passione letteraria nell’assecondare il gioco familiare di scambiare versi con il padre Alberto e la sorella Paula.
La poesia: A Senia è una delle più complesse, con una nota autografa di Enrico Mreule. Risale al 1910, l’anno della morte dell’autore. Essa dapprima comprendeva 8 parti, poi è stata separata dalla lirica All’Isonzo e ora, in modo definitivo, consta di 7 composizioni, ma è considerata un’unica opera apografa, come da documentazione. Questa separazione è dovuta a Enrico Mreule, dopo aver attentamente esaminato i raffronti scritti.
Altre poesie trascritte da Cappozzo in appendice al suo articolo sono: Il canto delle crisalidi, che si ricollega al pensiero filosofico: “Noi col filo/ col filo della vita / nostra sorte/ filammo /a questa morte”, non datata, ma collocata dagli amici nel novembre del 1909. Anche Dicembre è del 1909, un’ampia similitudine del destino umano, in cui gli uomini sono paragonati alle gocce della pioggia, raccolte nelle pozze putride della società. Il sentimento dell’amore è abbastanza diffuso, mai però avvertito con un senso di liberazione dell’animo, turbato dai gravi problemi della speculazione, ma di volta in volta penetrato da accenti di grande tenerezza per la vicinanza della persona amata o per la sua assenza.
Dolci capelli se vivete ancora è un dialogo a due voci del “cor buffone” all’Io del “solitario amante” ed è stata messa in relazione con la morte di Nadia Baraden, avvenuta nel 1907. Racchiude un vero e proprio dolce ritratto femminile (…la pura fronte che di voi s’ombrava/ e gli occhi bruni e la serena faccia…).
Non mancano i temi dei paesaggi intrisi di malinconia “per ciò che poteva essere e non è stato”, come dice Gozzano, e frequente ritorna la grande metafora della vita, il mare, con i suoi gorghi e il fascino potente delle sue illusioni, che il filosofo vorrebbe abbracciare nella sua vastità: I figli del mare. Dalla pace del mare lontano; Dato che ho la vela al vento ed in mezzo all’onde (A Senia); Le cose che io vidi nel fondo del mare (A Senia); Onda per onda batte sullo scoglio.
Talvolta il mare diviene lo scenario prediletto del colloquio d’amore: A me d’accanto sullo stesso scoglio/sta la fanciulla e vibra come un’alga / siccome un’alga all’onda varia e infida /s’avviva al sole il bronzo dei capelli/ed i suoi occhi di colomba tremuli/ guardano il mare e guardano la costa/ illuminata. (da “Amico, mi circonda il vasto mare”).
Anche alla sorella Paula è dedicata una poesia: Come le rondinelle anno per anno (trascritta da Argia Cassini).
In un ulteriore lavoro sempre del prof. Cappozzo, che si preannunzia, farà parte anche l’analisi dell’archivio Cassini, che è una collezione privata appartenente agli eredi Cassini, composto da disegni, saggi, articoli, foto, cartoline, manoscritti dello stesso Carlo, Argia e di terzi, per trarne conclusioni utili allo studio del processo di scrittura del geniale filosofo.
Il presente volume, aggiornato di tutte le ultime novità editoriali, si può considerare una “summa” che non mancherà d’interessare e impostare metodologicamente una lettura e uno studio di Michelstaedter più aderente alla realtà storica che lo vide protagonista.
Gaetanina Sicari Ruffo
Storia e Storiografia di Carlo Michelstaedter
A cura di Valerio Cappozzo
Romance Monographs S-6,
The University of Mississippi 2017
ISBN 978-1-889441-27-6
PER ACQUISTARE IL LIBRO:
http://modernlanguages.olemiss.edu/romance-monographs/
Scheda accademica di Valerio Cappozzo, articoli e pubblicazioni:
https://olemiss.academia.edu/ValerioCappozzo