Storia di un angelo del mare, da Venezia a Lampedusa

Se in questo recente periodo di festività angeli e stelle si sono incrociati nel cielo della nostra immaginazione per indicarci quello che da anni e anni è ancora un bambino tanto atteso, di altri angeli voglio parlarvi oggi: di quelli che da maggio scorso continuano a pattugliare le acque del Mediterraneo, alla ricerca di quanto in esso possa ancora ‘galleggiare’.

Di essi ne ho conosciuto uno.

Si chiama Giuseppe ed è della sua esperienza che vi voglio narrare, nel tentativo di rendere ancor più credibile il lavoro suo e dei suoi colleghi. È durata tutta l’estate la vigilanza fatta a bordo di una motovedetta partita proprio da Venezia che, nel giro di qualche giorno, è approdata ad un’isola che tutti abbiamo cominciato a conoscere meglio: Lampedusa. L’impegnativo compito è quello di salvare quante più vite di migranti sia possibile in quello che, dalle coste dell’Africa, ha assunto le caratteristiche di un esodo dalle proporzioni bibliche…

Venezia, Ancona, Crotone, Lampedusa.

Queste le tappe del viaggio della motovedetta, con il suo carico di attese e speranze tenute assieme da questi angeli, pronti ad intervenire ad ogni chiamata del comandante.

Siamo partiti con il mare favorevole. Arrivati all’isola dovevamo solo attendere” – mi dice Giuseppe che, nonostante una precoce calvizie, ha solo 32 anni ed un sorriso che tranquillizza chiunque…

E le attese non son durate a lungo. Chiamate di soccorso quasi continue, con turni di vigilanza che non tenevano conto, né della stanchezza, né del sonno. È ancora Giuseppe a parlare:

La lotta era sempre contro il tempo. Sapevamo che anche un breve ritardo poteva avere conseguenze drammatiche. Avevamo gli occhi fissi alle onde, nel tentativo di anticipare la forma di una piccola imbarcazione o di un gommone stracolmo di vite umane”.

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Il racconto è intenso. M’accorgo che l’esperienza di Giuseppe è una di quelle che ti formano molto più in fretta di tanti studi o esami. In lui sono ancora evidenti le tracce di quanto ha visto perché la sua faccia si rattrista di più quando gli chiedo di entrare nei particolari. “Eravamo usciti come al solito carichi di speranza. Il mare un po’ increspato faceva sussultare la nostra imbarcazione, ma a queste condizioni ci si abitua presto. Il segnale nel mare era preciso solo sulle strumentazioni di bordo, perché quando guardi il suo orizzonte, ogni confine sparisce. Poi qualcosa si vede, è un gommone che acquista la sua dimensione ed è colmo di persone. Così piccolo nell’immensità del mare sembra niente. Pare essersi capovolto oppure si è solo sgonfiato. In preda al panico molti sono finiti in mare, altri si sono aggrappati alle sue funi poste sui fianchi dello stesso e gridano. Ci hanno visto e pensano che ormai ce l’hanno fatta. Quando arriviamo a galleggiare, oltre ai superstiti, troviamo alcuni vestiti appartenuti a qualcuno che la malasorte ha sfilato loro di dosso. Di quei corpi, finiti tragicamente in fondo al mare, non si saprà più nulla, forse neppure il nome…

Morire così quando manca poco per ritrovare la terra e nel cielo brilla un sole vivido che tutto riscalda, è un altro mistero che nessuno saprà mai rivelare. Molti, partiti con la viva speranza di rifarsi una vita lontano dalla miseria e dalle guerre che infestano larghe parti dell’Africa e del Medio Oriente, hanno attraversato pure deserti aridi ed inospitali, trovando poi la morte a pochi metri dall’arrivo. Un prezzo troppo alto ed inaccettabile per chiunque e che continua ad essere pagato da chi possiede poco o quasi nulla… Quel mare, per troppi di loro visto per la prima volta, è stato l’ ultimo angolo di mondo prima di finire in pasto a voraci pescecani”.

Giuseppe è al colmo dell’amarezza, ma mi ricorda d’aver letto una frase che dice che chi salva una vita umana è come avesse salvato… Non termina la frase perché subito gli torna alla mente il dramma di una giovane donna di cui non sa dimenticare le lacrime continue che sgorgavano dai suoi occhi, dopo il racconto fatto alla dottoressa che l’aveva presa in cura e che riferiva del dolore immenso e atroce per aver visto il marito e il figlio mentre venivano uccisi davanti a lei. Adesso che dal marito ucciso aspetta una altro figlio tutto le sembra ancora più crudele…

Il rientro a Venezia è stato come uscire da un film” – mi dice infine Giuseppe – “ma la trama non era finzione. Vissuta, guardando in faccia la drammatica realtà di uomini, donne e bambini rimasti a volte soli ad affrontare il mondo, è una di quelle esperienze che non dimenticherò mai.

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Il dramma dei migranti annegati è già un pezzo di teatro. Si chiama “Rumore di acque” ed a scriverlo è stato, nel 2011, Marco Martinelli che ne è anche il regista. Dura un’ora ed è interpretato da un incredibile Alessandro Rende, attore quasi sconosciuto a cui fanno da sponda le voci così dolenti dei fratelli Mancuso. Qui si racconta il dramma della devastante tragedia dove, in un’isola fantomatica alla deriva tra l’Europa e l’Africa, vive un unico abitante, un generale dai tratti demoniaci, dagli occhi fiammeggianti. Dialoga, o tenta di farlo, con tutti coloro che sono assurdamente affogati dentro al mare.

Piccoli brani di questa pièce teatrale si possono trovare su youtube.
https://www.youtube.com/watch?v=WKpygAIqltk

Massimo Rosin

Da Venezia

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Massimo Rosin
Massimo Rosin nato a Venezia nel 1957. Appassionato di cinema, musica, letteratura, cucina, sport (nuoto in particolare). Vive e lavora nella Serenissima.

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