Il Polifilo (1499), l’Ovidio moralizzato (1497), i Commentari di Cesare (1517), le opere di Sallustio (1526): sono testi che si collocano all’origine della storia della stampa (i primi tre escono a Venezia, il quarto a Lione) ed è analizzando questi volumi illustrati che Giovanna Zaganelli, docente di Critica letteraria e Letterature comparate all’Università per Stranieri di Perugia, riflettete sul rapporto tra parola scritta e immagini. Le illustrazioni si intrecciano e dialogano con il testo, lo completano, costituiscono un vero e proprio racconto figurale; ma possono anche mantenere un rapporto meno forte o addirittura pressoché inesistente con la parola, assumendo magari una funzione chiave non più nella narrazione ma nella struttura dell’opera.
La preoccupazione estetica non è la sola che giustifichi la presenza delle immagini nei primi testi a stampa (ma possiamo ampliare la panoramica parlando dei libri illustrati in generale, “cioè qualsiasi testo munito di vignette” citando Pozzi)[[Per ciò che riguarda la definizione di libro illustrato si veda Pozzi (1993: 123 ss.). Per quanto attiene alla presenza e la funzione dell’immagine nei libri illustrati si veda Pozzi 1981 e 1993, anche Zaganelli 2015.]], il loro uso infatti è dovuto anche (o soprattutto) all’esigenza di segnare i passaggi del procedere testuale, e di costruire le tappe di un possibile percorso di lettura. Le immagini possono essere così distribuite, a seconda dei criteri stabiliti dall’autore e dall’illustratore, o abbondantemente, in modo da marcare ad esempio tutti gli snodi della narrazione, o in modo più riduttivo rispetto alla materia trattata, presentando allora uno schema che è il prodotto di una accurata selezione di elementi omogenei a partire da un discorso che ne presenta molti e di varia natura. L’esempio che intendiamo proporre per il primo dei casi suggeriti (copiosità di vignette presenti nel testo che tendono a rappresentare per intero la storia) è proprio il Polifilo, parliamo dell’edizione veneziana del 1499 di Aldo Manuzio. Per ciò che riguarda il suo contenuto diciamo in sintesi che si tratta di un romanzo d’amore: la protagonista, Polia, è amata da Polifilo, ma, colpita dalla peste, fa voto di castità; in seguito guarisce e respinge il suo spasimante che cade in terra come privo di vita. Dapprima Polia non prova nessuna compassione per Polifilo, poi, in seguito a una serie di sogni, capisce di aver sbagliato, torna dal suo amante che riprende vita e così scoppia la passione. La storia è collocata e sublimata (forse nella sua versione più lunga, Martin 2000) in una serie di visioni; essa inizia infatti con un sogno di Polifilo, che svegliatosi in una foresta, vede attorno a sé obelischi, piramidi, templi e altari in rovina da cui sorge la ninfa Polia che lo conduce attraverso i piaceri dell’amore. Si tratta di un’opera molto complessa ed unica nel panorama letterario di appartenenza che mescola romanzo e archeologia, temi mitologici ed erotico-pastorali, e in cui svariate tecniche iconiche si infiltrano nello scritto[[Le tematiche mitologiche e pastorali presenti nel Polifilo avranno poi (a breve) una ufficializzazione definitiva nell’Arcadia del Sannazaro, molto diffusa in ambiente veneto. E del resto si tratta di un filone che avrà una fortuna sia iconologica, si pensi a Carracci e Poussin e altrettanta fortuna letteraria dal Marino al Tesauro.]]. Vediamo allora come ha operato l’autore-illustratore nei confronti della storia. Nella prima parte del secondo libro, dove è più facilmente percepibile una trama narrativa[[Si narra di un amore contrastato (almeno temporaneamente) da una fanciulla, Polia, nei confronti di Polifilo, ma che poi esplode in una ardente passione.]], il Colonna si sofferma su tutti i singoli passaggi necessari alla vicenda dedicando a ciascuno di essi una figura separata. Se proviamo ad analizzare il contenuto delle vignette possiamo notare che cominciano ad apparire in un momento risolutivo per la narrazione, cioè la morte apparente di Polifilo che segna appunto l’inizio della storia[[È doveroso specificare che le illustrazioni dislocate lungo tutta l’opera, Hypnerotomachia Poliphili, sono circa 171, di varia natura, che ben si adeguano alla complessità linguistica del testo, come disegni di tipo architettonico (edifici), di tipo figurativo (statue, monumenti), di tipo simbolico (geroglifici o emblemi), disegni a contenuto narrativo (qui presi in esame) e infine disegni incastonati nella tipografia. L’edizione del Polifilo a cui nel presente lavoro si fa riferimento è quella del 1998 curata da Marco Ariani e Mino Gabriele per Adelphi.]] e si conclude con il bacio di Polia a Polifilo, e data l’infrazione commessa in un luogo sacro, con la conseguente cacciata degli amanti dal tempio di Diana. Osservando la distribuzione delle immagini, e confrontandola quindi con le sequenze narrate, risulta evidente l’instaurarsi di uno stretto legame tra i due versanti: mentre sul versante linguistico si ha una certa scorrevolezza narrativa almeno per ciò che riguarda i nodi focali, essi sono tuttavia accompagnati, e sommersi, da una serie di soliloqui, di similitudini e di esempi che, se da un lato hanno uno scopo informativo – aggiungono notizie e ricostituiscono il contesto in cui agiscono i protagonisti – dall’altro appesantiscono e disperdono la fluidità narrativa. In questo modo al lettore non resta altro, se non vuole rimanere intrappolato nelle complesse trame linguisti co-retoriche, che seguire la provvidenziale serie delle vignette. Da ciò deriva una importante conseguenza: alle figure (ci riferiamo a questa specifica porzione dell’opera) viene consegnata la responsabilità dello sviluppo narrativo, e attraverso di esse viene offerto al lettore un aggiornamento costante dell’evolversi delle vicende. 2. Condensazioni ed espansioni narrative
La responsabilità narrativa delle figure, e la loro funzione di orientamento nella complessa architettura del testo, sembrano essere confermate anche se osserviamo il discorso da un punto di vista più strettamente grafico. Il fatto che le vignette siano tutte della stessa dimensione e delimitate da una cornice (un doppio filo rettilineo) e collocate accanto alla porzione linguistica cui fanno diretto riferimento, produce, anche per ciò che riguarda il piano della fruizione, la conseguenza di isolarle, quasi di salvaguardarle dall’ingorgo causato dal contesto linguistico, e pertanto di mantenere ben visibile lo sviluppo narrativo. Nel Polifilo le vignette prive di cornice rappresentano soprattutto mobili, oggetti, fregi e dettagli architettonici; in questo caso le parole, con l’aggettivazione, apportano alla essenzialità del disegno quanto il tratto non può dare: la luce e i colori e la preziosità con cui quegli oggetti sono costruiti. Le vignette narrative sono puntualmente collocate accanto al testo di riferimento che riassume in modo chiaro e stringato; se osserviamo ad esempio quella che inaugura la narrazione (essa mostra l’incontro tra Polia e Polifilo al tempio di Diana, dove la fanciulla, sorda ai richiami d’amore di Polifilo, lo vede perdere le forze e morirle accanto, fig.1) possiamo notare che appare in fondo alla pagina proprio dopo le parole che la introducono: “Con le guance smunte, già madide, inondate da ruscelli di lacrime, lo vidi rovinare a terra, prostrato: ammutoliti i mormoranti singulti e i gemiti, chiusi gli inabissati occhi, mi morì accanto” (HP: 369). Lo stesso vale per la vignetta successiva (fig. 2) che mostra Polia intenta a nascondere il corpo di Polifilo prima di fuggire e che si trova subito dopo le parole a cui si riferisce, pronunciate in prima persona da Polia: “Tuttavia, o più che bestiale disumanità, presolo con foga per i gelidi piedi, empia e scellerata lo trascinai, raccolte tutte le forze, in un angolo del tempio, profanato e contaminato dalla mia nefandezza, e ve lo lasciai, abbandonandolo senza tante cerimonie: volevo scappare al più presto e di nascosto” (HP: 421). In altri e frequenti casi la simbiosi fra illustrazione e apparato linguistico è ancora più stretta, essendo la vignetta posta nel corpo stesso della frase, come una sorta di sua momentanea trasformazione iconica che poi restituisce spazio alla parola. Ciò testimonia, come si è detto, la stretta relazione esistente tra immagine e testo, ma permette di riflettere anche sulla grande e inconsueta libertà con cui il Colonna dispose le figure all’interno del testo; generalmente infatti il lavoro di illustrazione (almeno in ambito letterario, si pensi alle Metamorfosi, all’Eneide, al Canzoniere e ai Trionfi, ma anche alla Divina Commedia) è successivo alla diffusione del testo. All’illustratore spettava il compito di scegliere i passaggi narrativi che più agilmente si prestavano ad essere trasposti iconicamente, e di collocarli poi nelle pause dei capitoli, o all’inizio o anche alla fine. Nel caso del Polifilo le vignette non coincidono con le divisioni del testo, e il Colonna, data la programmazione contemporanea di testo linguistico e iconico, si permise una libertà di disposizione davvero inusitata[[Con ciò si intende dire che l’autore del testo ha sicuramente tracciato gli schizzi delle illustrazioni, ma non si parla dell’incisione dei legni che richiedeva invece una specifica professionalità. Al Colonna viene in sintesi attribuita la programmazione dei disegni, ma non la loro esecuzione materiale. In merito si veda Pozzi 1981,1993; Pozzi-Ciapponi 1964,1980; Martin 2000.]]. Questa coincidenza, e coesistenza di immagine e testo, non interrompe la lettura (magari preparando il lettore allo sviluppo successivo, o creando in lui delle aspettative) ma permette all’occhio di assorbire in una unica soluzione due modalità di apprendimento, scivolando sulla lingua e ricomponendo con il disegno. La continuità di narrazione, e di conseguente fruizione, così assicurata, è inusuale, come si è detto, ma non così stravagante se si pensa che essa risulta in totale sintonia con la natura di questo racconto, Hypnerotomachia Poliphili, che significa, appunto, battaglia d’amore in sogno di Polifilo. Si tratta di un lungo sogno (che dunque non permette interruzioni) durante il quale si sviluppa tutta la vicenda: il protagonista sogna di dormire e dormendo sogna di sognare la vicenda che sarà narrata (Pozzi 1993). A proposito di modalità che l’immagine mette in atto nel costruire il filo narrativo si era prima suggerita anche l’altra delle strade, quella della parsimonia illustrativa: si potrebbe allora indicare come forma esemplificativa un altro straordinario incunabolo, l’Ovidio moralizzato stampato nel 1497 a Venezia da Giovanni Rosso, e in particolare l’episodio di Ciparisso. L’illustratore, trascurando la parte iniziale e quella finale (rispettivamente i giochi di Ciparisso, il giovane protagonista della storia, con il suo cervo e il pianto di Apollo nel vedere il suo amico morto, cioè trasformato in albero, che tuttavia non hanno influenza diretta sulla concatenazione dei fatti e non ne intaccano l’andamento), condensa in una unica rappresentazione i nodi narrativi fondamentali, dal momento della messa in moto della narrazione fino alla sua conclusione. L’illustrazione è posta al centro della pagina ed è leggibile lungo una linea che distribuisce i tempi del racconto da sinistra verso destra nel seguente modo (fig. 3): gioco pericoloso, uccisione del cervo, consolazione inutile di Apollo, preghiera di Ciparisso agli dei, trasformazione del giovane in albero. Ciò che viene rappresentato è dunque l’intreccio nelle sue funzioni narrative essenziali. Non sempre tuttavia la vignetta nei libri illustrati si assume l’impegnativa funzione di narrare la storia ivi contenuta, a volte si limita a marcare e indicare (compito non meno importante e laborioso) l’organizzazione del testo rendendone più chiare le sue interne articolazioni, e facilitando il reperimento delle informazioni. Numerosi sono i libri illustrati nel Rinascimento in cui l’uso dell’immagine, lontano da ogni filosofia e da ogni volontà artistica, risponde più semplicemente al bisogno di rendere più sensibile l’organizzazione di un testo sottolineandone le principali articolazioni: l’immagine è in qualche modo dotata di una funzione di recupero delle informazioni, come un segnale piazzato nello scorrere del testo per indicare le tappe della sua lettura (Martin 2000: 244). Tra i tanti esempi che a questo proposito potremmo suggerire, proponiamo, seguendo in parte il tracciato di Martin (2000), un caso veneziano e l’altro francese. Il primo è rappresentato dalla edizione latina dei Commentari di Cesare pubblicati a Venezia nel 1517 da Agostino de Zannis; le incisioni trovano posto, all’inizio di pagina in ciascuno dei libri componenti i Commentari della guerra dei Galli e della guerra civile (fig. 4). Ora mettendo attentamente a confronto le immagini con le porzioni testuali accanto a cui sono collocate, ma anche con l’intero contenuto dei singoli libri, ciò che se ne ricava è che i due apparati, quello iconico e quello linguistico, non mostrano che una distratta e pigra relazione: le vignette (il cui aspetto fa supporre che non siano alla loro prima utilizzazione) rappresentano infatti scene di battaglia e ci ricordano che l’argomento centrale del testo è la guerra, ma non esattamente quella singola battaglia. Se ci interroghiamo tuttavia sulla loro funzione ricaviamo indicazioni precise proprio dalla loro collocazione; infatti esse sono inserite all’inizio dei libri, a segnalarne l’avvio; così se avevano perduto credibilità sul piano strettamente narrativo (potevano, e forse hanno potuto, essere usate in qualunque contesto si parlasse di guerra) esse sono in grado di riacquistare rigore ed energia dal punto di vista testuale, segnalando la strutturazione interna dell’opera e segnalando il susseguirsi dei grandi passaggi di narrazione. Potremmo parlare di funzione narrativa forte per ciò che riguarda le vignette analizzate nel Polifilo ad esempio, e in questo caso invece di funzione narrativa debole, che tuttavia non smorza un suo adeguato impegno testuale. Lo stesso discorso pensiamo che possa valere anche per l’altro degli esempi selezionati, le Opere di Sallustio (Opera sallustiana) edite a Lione da Jaques Myt nel 1526. Le vignette che corredano il volume sono in tutto cinquantacinque di cui alcune riguardano scene di battaglia, altre scene sono legate al rapporto tra maestro e allievo e altre infine rappresentano dispute universitarie. Ciò che è possibile riscontrare è ancora una volta la mancanza di relazione tra ciò che viene raccontato e la scena rappresentata nelle vignette; al contrario esse svolgono la loro rigorosa funzione di segnali indicatori essendo collocate sempre all’inizio delle singole unità testuali di cui ritmano il percorso. In effetti l’illustrazione è qui depauperata del suo contenuto semantico-iconico: essa non rappresenta, ma scandisce in modo efficace. 3. Immagine e descrizione
Si è in questo studio più volte insistito sulle potenzialità narrative dell’immagine nei confronti dei testi, in particolar modo dei testi letterari a carattere narrativo dove è presente, o reperibile, una progressione di avvenimenti. Ciò non toglie che l’interesse degli illustratori si sia concentrato anche sugli aspetti descrittivi del testo. Uno degli esempi più suggestivi è dato senza dubbio dall’Ovidio moralizzato del 1497 in cui le illustrazioni dei paesaggi, siamo in ambiente veneto, ingaggiano una dura lotta con la pittura in quanto a bellezza e raffinatezza (fig. 3), come ben sottolinea Pozzi (1993: 89-122) che costruisce una complessa rete sulle ascendenze pittoriche e letterarie sia del Polifilo che dell’Ovidio moralizzato. Vorremmo tuttavia tornare al Polifilo e suggerire alcune interessanti riflessioni di Giovanni Pozzi che a nostro avviso completano il discorso affrontato nel precedente paragrafo sulle vignette narrative – e insieme ne segnalano la complessità – mettendole in relazione con quelle descrittive. Le categorie intorno a cui raggruppare le raffigurazioni presenti nell’Hypnerotomachia sono riconducibili almeno a cinque tipi: 1) disegni di elementi architettonici, 2) disegni di composizioni figurative come ad esempio monumenti, 3) disegni simbolici che accompagnano geroglifici ed emblemi, 4) disegni che ricostruiscono la trama narrativa, e infine, 5) disegni collocati direttamente nel testo della tipografia. Le categorie 1, 2, 3 e 5 possono riguardare gli aspetti descrittivi. Concentreremo l’attenzione sui disegni architettonici. Essi rappresentano un fatto nuovo se li pensiamo inseriti in un racconto d’invenzione. Infatti, pure se l’Hypnerotomachia si ispira ad un romanzo allegorico, che dunque prevede lunghe descrizioni di elementi architettonici, tuttavia ciò non giustifica la presenza di progetti la cui sede naturale è piuttosto un trattato tecnico. Va poi specificato che i disegni tecnici erano presenti limitatamente ai testi manoscritti, e non passavano poi alle stampe. Si pensi che il testo di Leon Battista Alberti era uscito in una veste tipografica pulita e austera, così come anche le edizioni quattrocentesche di Vitruvio: “la novità dei disegni architettonici del Colonna è perciò doppia, valendo nei confronti del romanzo e del trattato architettonico” (Pozzi 1993: 93). Il compito che essi sostanzialmente si assumono è quello di costruire le coordinate spaziali entro cui si organizza la storia, infatti sono situati per lo più nella parte in cui si narrano le vicende del protagonista. Il Colonna tuttavia non li presenta descrivendone la loro struttura quanto piuttosto la loro progettazione, che di fatto non corrisponde alla costruzione del topos letterario, locus amoenus, a cui essi sembrerebbero obbedire in quanto serie di enunciati che aiutano, appunto, a realizzare il contesto in cui inserire gli avvenimenti (la felice vicenda del protagonista). Si aggiunga che generalmente la descrizione dei progetti non è affidata alla parola che può semmai confermare quanto il disegno esplicita tramite le sue potenzialità. Di nuovo anche in questo caso, come abbiamo visto appena sopra per le costruzioni narrative condotte dai disegni, il Colonna rovescia le posizioni affidando alla parola il compito esplicativo delle progettazioni. La realizzazione del locus amoenus passa anche attraverso i paesaggi che vengono minuziosamente descritti dalla parola – valli, colli, giardini pieni di acqua e erbe – i quali tuttavia non trovano riscontro nelle incisioni con la stessa efficacia che il Colonna profonde nella lingua. Ancora un punto: le rappresentazioni dei personaggi nella loro apparenza fisica e nei loro atteggiamenti trovano un potente riscontro nella scrittura, ma non altrettanto nelle incisioni. Ad esempio l’apparire di Polia offre l’occasione al Colonna di esplorare tutte le possibilità previste dal topos letterario, tuttavia la contropartita visiva è in questo specifico caso piuttosto debole. A conclusione di queste rapide osservazioni vorremmo quindi sottolineare come il Colonna metta in atto una serie di ribaltamenti rispetto alle categorie spaziali e temporali perseguendo anche con gli enunciati descrittivi ciò che aveva attuato con quelli narrativi: lo sviluppo narrativo è consegnato alle vignette-incisioni e la descrizione, che può trovare un valido aiuto nelle rappresentazioni visive, è invece affidata alle parole, soprattutto appoggiandosi all’energia visiva dell’ékphrasis. Infine gli inusuali procedimenti utilizzati dall’autore nel distribuire compiti comunicativi allo scritto e al disegno ci riconducono al punto da cui eravamo partiti, segnalando le sorprendenti potenzialità che l’immagine (da sempre) possiede, fra cui quella di mettere in atto una storia. Giovanna Zaganelli BIBLIOGRAFIA POZZI G., Sull’orlo del visibile parlare, Milano, Adelphi, 1993. POZZI G., La parola dipinta, Milano, Adelphi, 1981. MARTIN H. J., La naissance du livre moderne. Mise en pages et mise en texte du livre français (XIVe-XVIIe siècles), Tours, Éditions du Cercle de la Librairie, 2000. POZZI G., CIAPPONI L.A. (a cura di), Colonna F., Hypnerotomachia Poliphili, Padova, Antenore, 1964, 1980. ARIANI M., GABRIELE M. (a cura di), Colonna F., Hypnerotomachia Poliphili, Milano, Adelphi, 1998. ZAGANELLI G., MARINO T. (a cura di), Saggi di cultura visuale. Arte, letteratura e cinema, Bologna, Fausto Lupetti Editore, 2015.
1. La struttura narrativa delle immagini
In altri termini assistiamo ad un rovesciamento del rapporto tra comunicazione verbale e visiva, e al loro collegamento con le categorie dello spazio e del tempo. Se la lingua, infatti, con il suo progressivo concatenamento dovuto all’avvicendarsi dei caratteri sulla carta produce una retta che si sviluppa nel tempo e che richiede una lettura obbligatoriamente lineare, l’immagine, per parte sua, dà luogo ad uno spazio puntiforme in cui le rappresentazioni si sviluppano sulla superficie. In sintesi la comunicazione verbale si muove lungo l’asse temporale e quella visiva è collegata allo spazio. Ora, nel caso specifico delle vignette del secondo libro del Polifilo, dicevamo, si assiste ad un capovolgimento: l’elemento dinamico del percorso narrativo, reso dalla sequenza di immagini riquadrate e disposte in successione, è totalmente condotto dal sistema figurale che compone un racconto per immagini. Il sogno di Polifilo, la sua onirica battaglia d’amore, si può sfogliare come le pagine di un diario.
Università per Stranieri di Perugia