In questo periodo, negli spazi pubblici si vedono molti cartelloni con gli “auguri di fine anno”. Come molte altre, è una tendenza che è iniziata nei paesi anglosassoni. Anche a voi, sarà capitato di ricevere per maiil da amici inglesi o americani una cartolina con un bel disegno e con la didascalia “Season’s Greetings”, che in italiano suonerebbe un po’ come “auguri di stagione”.
Probabilmente non esiste formula più ipocrita. Avete mai ricevuto un augurio per il solstizio di estate o per l’equinozio di primavera o di autunno? Ovviamente no. I “Season’s Greetings” si fanno solo d’inverno e altro non sono che l’espressione inventata dal politically correct imperante per evitare di dire “Buon Natale”.

Negli ultimi anni, in Francia si è cercato di coniare un’espressione equivalente a “Season’s Greetings”. Si è provato con “Bonnes fêtes d’hiver”, che tuttavia non ha attecchito nei biglietti augurali: le si preferisce l’espressione “Bonnes fêtes de fin d’année”. Non si può negare che Natale e San Silvestro cadano a fine anno, ma per Capodanno siamo già al limite. E poi si porrebbe il problema della Befana. In Italia, “l’Epifania tutte le feste si porta via”. In Francia, invece no: “les fêtes de fin d’année” sono già bell’e finite il 1° gennaio. Volendo essere veramente inclusivi, bisognerebbe augurare “Bonnes fêtes de fin et de début d’année”. Ma in Francia l’Epifania non viene festeggiata, quindi pazienza.
Le differenze culturali tra i nostri due paesi si notano anche da questi particolari. In Italia gli auguri per l’anno nuovo, si fanno in modo anarchico, più o meno quando capita. In Francia, invece, è vietato augurare “bonne année” prima della mezzanotte di Capodanno. (Siamo pur sempre nel paese che ha inventato il protocollo della Corte di Versailles!) Ogni cosa a suo tempo: prima “les fêtes de fin d’année”, poi “la saison des vœux”. Dal 1° gennaio, scatta il conto alla rovescia. Il periodo degli auguri dura rigorosamente un mese, fino al 31 gennaio, e guai a sgarrare! Un mio amico lavorava all’Eliseo ed aveva l’incarico di scrivere i discorsi augurali alle alte cariche e alle “forces vives de la nation”. Per lui, la settimana natalizia era un inferno: doveva scrivere centinaia di messaggi e inventarsi decine di formule diverse per dire sempre la stessa cosa.
E l’Italia, in tutto ciò? Negli ultimi tempi si è accentuato il discorso sull’identità cristiana. Come sappiamo, i simboli natalizi sono sostanzialmente tre: il presepe, l’albero di Natale e la calza della Befana. Ognuno di essi ha una storia, che spesso sconfina nella leggenda. Il presepe è stato inventato a Greccio da San Francesco. Pare che l’origine dell’albero di Natale risalga a Martin Lutero. Per la calza, devo ammettere la mia ignoranza, ma preciso di non credere alla Befana. L’anno scorso, Giorgia Meloni aveva annunciato di voler rendere obbligatorio il presepe in tutte le scuole italiane. Più o meno come se, nella Germania protestante, una legge rendesse obbligatoria la presenza di un albero di Natale in ogni classe. Poi passate le feste, ovviamente non se ne fece nulla.

Che si sia arrivati a far polemiche anche sul Natale, la dice lunga sul clima esasperato della nostra epoca. Il tutto partiva da una buona intenzione: il non voler offendere chi cristiano non è. Ma un tale presupposto è fondato? E cioè: augurare « Buon Natale » ha mai offeso veramente qualcuno? A me è capitato spesso che amici ebrei o musulmani inviassero auguri di Buon Natale come la cosa più normale del mondo. Sono gli stessi con i quali ho scambiato messaggi di “Bon Ramadan, mon frère” o “Joyeux Hannukah”. Io non sono credente, ma non vedo perché dovrei offendermi nell’essere destinatario di un augurio che, qualunque sia la religione, è sempre legato a un’idea di festa e di buona sorte. Al contrario, adottare formule di augurio “neutrali” può sconfinare nella negazione di ogni riferimento al fatto religioso, che fa comunque parte delle nostre culture.

Per il momento, nessuno ha ancora messo in causa la correttezza politica dell’anno nuovo. Ma prima o poi, qualcuno farà notare che si tratta di un conteggio D.C. (cioè “dopo Cristo”, che tra parentesi, è molto più semplice da scrivere rispetto al francese “apr. J-C.”). E magari proporrà l’invenzione di una nuova espressione, o l’adozione di un sistema “inclusivo” con il calendario ebraico (che parte dalla Genesi, nel 3761 A.C.) e l’Egira di Maometto (622 D.C.). Ma bisogna notare che i tentativi di modificare il calendario – dalla rivoluzione francese all’era fascista – non hanno poi avuto grande successo.
Dal punto di vista storico, i dibattiti sul Natale si basano su un equivoco gigantesco. Ovviamente Gesù non è nato il 25 dicembre dell’anno 0 (che peraltro non esiste: il conteggio inizia dall’anno 1). Nell’antichità corrispondeva alla nascita del dio Mitra, in prossimità del solstizio d’inverno. Per sradicarne il culto, oltre a costruire chiese sopra i mitrei, le autorità cristiane adottarono la data del 25 dicembre. Anche l’anno di nascita di Gesù, stabilito nel VI° secolo dal monaco Dionigi il Piccolo, è errato. Verosimilmente, Gesù nacque tra il 7 e il 4… avanti Cristo.

A questo punto, serve davvero accapigliarsi su date, feste e ricorrenze? Intendiamoci, a volte il politically correct può essere opportuno per non offendere certe sensibilità. Ma in questo caso, ha veramente rotto le scatole.








































Non credere alla Befana…questo si che è un crimine e “politically incorrect”😉