Il battipanni
Che fine ha fatto il battipanni? Sapete di cosa sto parlando : quella spatola di giunco intrecciato dal lungo manico, flessuosa ma resistente, con cui la donna di casa batteva tappeti, materassi, qualche volta le tende. Mi pare ancora di udire il tonfo ritmato, forte o attutito secondo la distanza, che nelle mattine di sole irrompeva nella mia
stanza dai caseggiati d’intorno. Proveniva da camere da letto, da tinelli, da verande, da terrazzi, da balconi…
La donna che lo brandiva, non di rado cantava. Spesso costei era giovane. Io l’immaginavo bella. Ma più che bella, lo sentivo dai battiti, era prosperosa, procace, «bbona » come dicevano a Napoli dove andavano per la maggiore i tipi femminili bene in carne.
Il movimento vigoroso creava come un’eccitazione nelle sue giovani membra e rendeva il registro della sua voce più acuto e il canto un po’ ansimante. Era la padrona di casa, o la domestica : la « donna » come si diceva e si dice ancora in Italia. Il vigoroso e stancante movimento del braccio la rendeva impaziente di finire il lavoro, per cui all’improvviso i colpi acceleravano come in una frenesia liberatoria, per poi rallentare e quindi cessare del tutto.
Apro una parentesi. Non so come facciano qui in Canada a togliere la povere, visto che il battipanni non esiste. E non esiste neppure lo spolverino, quell’arnese per spolverare – a Napoli mi pare lo chiamassero « scopettino » – fatto di piume legate a mazzo in cima ad un bastone.
Le voci delle agitatrici di battipanni erano cristalline. O così mi apparivano. Giungevano nel mio dormiveglia, le domeniche mattina, confuse con gli altri rumori che costituivano il panorama sonoro, prevedibile ed eterno, di quegli anni e di quei luoghi. Vi era la cadenza improvvisa e inesorabile della saracinesca, che veniva tirata su con le braccia, e quindi spinta con slancio. Nel pomeriggio o di sera, invece, veniva tirata e quindi spinta all’ingiù con una ultima, definitiva pedata. Vi era lo scoppiettio frastagliato del motore del « triciclo » con cui giungeva il venditore di frutta e verdura, o il pescivendolo, che lanciava quindi il grido cantilenante, rivolgendo uno sguardo circolare all’intorno. Vi erano le voci, dispiegate, ariose, forti, spesso concitate, di gente espansiva, abituata a parlare così, senza complessi, non come qui, dove le voci se sono solo un po’ alte creano imbarazzo e fastidio. Purtroppo, questo fastidio lo creano adesso anche in me, che sono un essere che possiede in sé mondi antinomici…
Le saracinesche… entità anche queste sconosciute qui in Canada… Vi sono universi con saracinesche, e universi senza saracinesche. Ed entrambi vivono e prosperano…
Non so come, ma questo ritorno alle origini è stato l’idea del battipanni a provocarlo. E con il battipanni sono riecheggiati altri rumori, trasportati da un‘aria diversa, un’aria lontana, fresca e nuova. L’aria della giovinezza. E a dire il vero io non rimpiango il rumore delle saracinesche, in fondo fastidioso, così simile a quello di una gigantesca ghigliottina dalle lame arrugginite. No, io non rimpiango quei suoni. Neanche il tonfo ritmato del battipanni che pur fa riemergere in me dolci momenti.
Io rimpiango quel ragazzo che si svegliava in quei mattini di sole con un cuore puro. Lui quei suoni li udiva con amore, perché il suo animo era buono. Aveva il senso degli amici, era stato educato al culto della patria, della lealtà, della dignità familiare, del sacrificio. Mai avrebbe immaginato, allora, quel che la vita gli avrebbe portato…
Il vicolo napoletano
Il sottofondo di voci e di suoni, che in Italia vi accompagna ovunque, a mano a mano che discendete lo Stivale aumenta, facendo registrare i valori più alti a Napoli dove è parte integrante e « preziosa » della vita quotidiana. Nei vagoni della Cumana – il treno che attraversa la zona flegrea – strilla gioiose di bimbi, accompagnate dalla cadenza delle ruote sui binari e dalle folate d’aria irrompenti dai finestrini aperti.
Alla Pignasecca, l’antico quartiere di Napoli dove infine arrivo, le stradine sono trasformate in tanti mercati all’aperto con i venditori che si agitano inneggiando alla bontà dei prodotti offerti. Nelle loro grida cantilenanti vi è l’eco del grido elaborato, vero e proprio canto, che gli ambulanti di un tempo quando percorrevano i vicoli elevavano al cielo, guardando verso l’alto, ora verso sinistra ora verso destra, pronti a cogliere il gesto della signora che dal balcone o dalla finestra faceva un cenno e quindi calava il paniere.
Lo spettacolo mi affascina: colori, gesti, odori, grida. Rimango quasi incredulo di fronte all’intensità e alla varietà di questa scena teatrale che muta continuamente. Se rimanessi a Napoli non mi stancherei mai di contemplare un tale spettacolo, mi dico; con il sottile sospetto però che l’abitudine finirebbe invece con il diminuire il piacere di adesso. Inoltre, capisco che se bevo estasiato la variopinta e musicale vita del vicolo, ciò avviene perché sono attratto dal profondo richiamo che hanno le cose lontane o perdute.
Rimango incantato ad assorbire il tripudio festoso di grida, i gesti rapidi ed esagerati, il movimento degli informi gruppi umani che quasi convulsamente si addensano, si aggrumano e poi si assottigliano e si distaccano, secondo i ritmi di un arabesco caotico ed arcano che svelerebbe forse il suo mistero a chi potesse osservarlo dall’alto, dalla cima di un mitico Vesuvio, posto nel mezzo della città. Ed ecco, all’improvviso, sfreccianti all’impazzata, orde di minicentauri: bimbette paffute, « nennilli » dall’espressione furbissima, più simili a nani che a bambini per quel non so che di vecchio e di beffardo che hanno i loro volti vissuti. Ed un coro di clacson che non sembra infastidire nessuno…
Claudio Antonelli
Oggi vive ed insegna in Canada
Ricordo di Napoli tra rumori e sensazioni.
Queste immagini ritrovate, collegate al ricordo del battipanni sono davvero belle, quasi preziose per la loro immediatezza. Hanno riportato anche me alle impressioni ‘acustiche’ dell’infanzia. Anche mia madre aveva un battipanni, che usava più che altro sui tappeti quando questi dovevano essere riposti prima della stagione estiva. Insomma, è vero che alcune impressioni della nostra vita, sopite a causa degli inevitabili cambiamenti epocali, sono come un piccolo tesoro, al quale è bene ricordarsi di attingere di tanto in tanto.