La forza della poesia di Raffaele Urraro sta nella presa di coscienza che i valori appresi nella prima parte della vita, sono rimasti indelebili, sono stati la leva per affrontare il mondo, sono tutt’ora talmente presenti in lui che ne è nata l’esigenza di fisarli sulla carta, di racchiuderli in emblematici quadretti quotidiani, alla maniera leopardiana: nella forza descrittiva della scena, o del momento ripreso si nascondono la meditazione sul genere umano, la felicità colta in quei brevi cenni del vivere, la riflessione sull’importanza per l’uomo di certe esperienze.
Raffaele Urraro è nato il 1940 a San Giuseppe Vesuviano dove tuttora vive e opera. Dopo aver insegnato italiano e latino nei Licei, ora si dedica esclusivamente al lavoro letterario. Giornalista pubblicista, collabora come redattore alla rivista di letteratura e arte «Secondo Tempo» diretta da Alessandro Carandente. Suoi interventi critici, con saggi e recensioni, sono presenti anche su altre riviste, come «La Clessidra», «L’Immaginazione», «Capoverso», «Sìlarus».
Ha pubblicato le seguenti opere:
Poesia:
Orizzonti di carta, San Giuseppe Vesuviano 1980, poi Marcus Edizioni, Napoli 2008; La parola e la morte, Loffredo, Napoli 1983; Calcomania, Postfazione di Raffaele Perrotta, Loffredo, Napoli 1988; Il destino della Gorgonia – Poesie e prose, Loffredo, Napoli 1992; Anche di un filo d’erba io conosco il suono, prefazione di Ciro Vitello, Loffredo, Napoli 1995; La luna al guinzaglio, con Saggio critico di Angelo Calabrese, Loffredo, Napoli 2001; Acroàmata – Poemetti, Loffredo, Napoli 2003; Poesie, Marcus Edizioni, Napoli 2009; ero il ragazzo scalzo nel cortile, Marcus Edizioni, Napoli 2011. La parola incolpevole, Marcus Edizioni, Napoli 2014.
Saggistica:
Poiein – Il fare poetico: teoria e analisi, Tempi Moderni, Napoli 1985; Giacomo Leopardi: le donne, gli amori, Olschki, Firenze 2008; La fabbrica della parola – Studi di poetologia, Manni Editore, San Cesario di Lecce 2011; Questa maledetta vita. Il romanzo autobiografico di Giacomo Leopardi, Olschki, Firenze, 2015.
Cultura popolare:
‘A Vecchia ‘Ncielo – Proverbi e modi di dire dell’area vesuviana, 2 tomi, Loffredo, Napoli 2002; ‘A ‘Mberta – Canti e tradizioni popolari dell’area vesuviana, 2 tomi, Marcus Edizioni, Napoli 2006.
Studi latini: Ha pubblicato, in collaborazione con Giuseppe Casillo, molte antologie di Classici Latini per il triennio delle Scuole Superiori, edite dall’Editore Loffredo di Napoli, e una Storia della Letteratura Latina, in 3 volumi, edita dall’Editore Bulgarini di Firenze.
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Conosco Raffaele Urraro da qualche tempo. Ci siamo visti per la prima volta a Napoli, durante un incontro letterario nel quale presentavo il mio lavoro sulla figura di Maria Maddalena. Il suo raffinato senso della poesia mi ha colpito dal primo momento. Non ha dubbi Urraro: la poesia è musica, eleganza, liricità, incontro tra il reale e l’immaginario in un equilibrato moto del vivere. E così, come la pensa, la scrive la sua poesia, e ne parla, in articolate e profonde recensioni ai lavori che legge e nei quali intuisce possa esserci un legame con il suo sentire. Coltissimo interprete di un ritrovato e rinnovato Leopardi – su cui ha scritto volumi distribuiti in ogni parte del mondo – lo incontriamo oggi, nella nostra rubrica Missione Poesia, nei semplici e mirabili versi di uno dei suoi libri migliori “ero il ragazzo scalzo nel cortile” (edito da Marcus nel 2011) dove ci viene restituita l’immagine del poeta bambino e del poeta adolescente, dei suoi affetti più cari – in specie il padre – dell’ambiente delle origini, dipinto coi tratti di una mano che sa percorrere le cose per quelle che sono (come recita un testo introduttivo al libro, ripreso da Franco Marcoaldi: Le cose sono quelle che sono./Un’arancia è un’arancia./Una casa è una casa./La pioggia che cade è la pioggia che cade.)
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ero il ragazzo scalzo nel cortile
Non poteva che iniziare con un brano-citazione di Giacomo Leopardi il libro ero il ragazzo scalzo nel cortile, opera del 2011 di un Raffaele Urraro studioso e appassionato della poetica leopardiana, con un ricco volume di saggistica già pubblicato all’epoca e un altro – ancora più ricco, se possibile – in lavorazione. Il brano scelto calza a pennello per accompagnare i versi della poetica della rimembranza – poetica cara a entrambi i due autori – e della semplicità narrativa – modalità che, per il sentire di Saramago porta in dote, con se, la grande capacità di non saper ingannare. E Urraro – che di questa dote ne ha piene le mani – aggiunge, anche, nella sua premessa, che lui stesso non manca di conoscere assai bene “il peso delle parole, la complessa corrispondenza tra il loro aspetto fonematico e quello semantico, tra significante e significato”, di aver meditato a lungo prima di intraprendere questo percorso personale, riguardante il proprio “tempo lontano” e di essersi risolto alla fine a pubblicarlo, non tanto per un recupero di memoria o per una mera operazione nostalgica, ma quanto per promuovere una vitalità progettuale presente nell’uomo appena uscito da una terribile guerra mondiale, mostrarne la consapevolezza del proprio ruolo sociale.
Urraro propone così, in questa premessa, la sua dichiarazione di poetica rafforzata dai versi della prima poesia: in ogni mia poesia/ci sono io/io che m’invento ogni giorno una vita/io che cambio come cambia il sole […]. Versi che conducono il lettore ad accogliere la presenza di un io poetico di notevole caratura, alla quale si aggiunge – altrettanto notevole – la presenza di un intento condiviso con il sentire del lettore stesso: perché la mia vita/è legata alla tua/dalla catena delle cose/perché una storia/non è soltanto una storia/ma un piccolo frammento/della trama che involge/il destino di tutti.
Il lavoro in esame è composto da un unico grande corpo – quasi fosse una costruzione poematica, quasi un racconto a episodi – completato da una breve appendice di poesie apparse in altri contesti, se pure contenenti le stesse tematiche. L’incedere della trama, che parte proprio dall’inizio, dalla nascita del poeta, è per immagini, per flash visivi che procedono in una sincronia temporale evocando frammenti di vita vissuta raccolti nell’unico grande luogo-contenitore del cortile, laddove i sogni si snodano per le strade del mondo.
Protagonisti gli affetti e gli amici più cari, nella dimensione epocale del dopo guerra in una sorta di resoconto affrontato con la grazia della miseria e della nobiltà che tracciano labili linee di confine tra la misura della terra, delle radici, dello scorrere del tempo legato alle stagioni e alle coltivazioni, così come ai gesti del padre e la misura della scuola, del leggere, dello studiare del giovane ragazzo che si racconta – e nel raccontarsi egli sembra davvero ancora avere quell’età – e che viene incitato a percorrere quella strada proprio dal padre. E, a proposito del padre, c’è un rapporto con questa figura che per Urraro è inscindibile dalla propria crescita personale, dal raggiungimento dei propri obiettivi. Il padre è ricordato come colui che lo ha spronato a migliorarsi, che ha lavorato senza risparmio per questo, che è morto giovane lasciando un enorme vuoto. Non c’è competizione, né conflitto con questa figura, come spesso compare con altri autori sia di poesia che di narrativa. Il padre è, al contrario, figura fondamentale per il benessere psicofisico dell’autore, è quella figura di riferimento maschile che anni di ribaltamenti sulle linee di pensiero psichiche e sociali, avallate da riscontri letterari, unite alle paure di un ruolo in precedenza elevato, hanno quasi ridotto al nulla, laddove l’equilibrio tra questo e il ruolo materno – mai raggiunto alla fine in quanto l’ago della bilancia pesa da una parte o dall’altra – sarebbe invece auspicabile.
La forza di questa poesia di Urraro sta, dunque, nella presa di coscienza che i valori appresi nella prima parte della vita, sono rimasti indelebili, sono stati la leva per affrontare il mondo, sono tutt’ora talmente presenti in lui che ne è nata l’esigenza di fisarli sulla carta, racchiusi in emblematici quadretti quotidiani, alla maniera leopardiana: vengono in mente spesso certi passaggi dei canti Il sabato del villaggio o de La quiete dopo la tempesta, o dell’idillio La sera del dì di festa, ad esempio, in cui nella forza descrittiva della scena, o del momento ripreso si nasconde, comunque, la meditazione sul genere umano, la felicità colta in quei brevi cenni del vivere, la riflessione sull’importanza per l’uomo di certe esperienze.
Mi preme sottolineare, infine, lo stile di Urraro. Se pure ne abbiamo già accennato all’inizio, parlando della semplicità narrativa dell’autore, non possiamo fare a meno di valutare come la scorrevolezza del racconto in versi – abbiamo già detto anche della forma poematica – sia accompagnata da un verso misurato, a tratti ritmico e musicale, se pure compare di più l’uso di una metrica sodale alle immagini, agli oggetti, e al rapporto tra questi e i sentimenti, una metrica che utilizza volentieri, e sapientemente, le figure retoriche della metonimia, della sineddoche, oltre che della metafora e della sinestesia per costruire una dimensione poetica che nei tratti della leggibile godevolezza della trama, ci restituisce un verso carico di potenza evocativa, di conoscenza degli strumenti poetici, nel giusto rapporto tra significato e significante, confermando proprio l’avvertimento datoci dal poeta stesso, a inizio del libro, nella sua premessa.
Alcuni testi da: ero il ragazzo scalzo nel cortile
Come sembra bello “come sembra bello avevo tre mesi la guerra l’aveva portato lontano seduto su una pietra masticava ***** In ogni mia poesia in ogni mia poesia però in ogni mia poesia cosmica simpatia ***** la singer della mamma la singer della mamma il rumore troncava di botto la singer arrancava era il tempo del dopoguerra ***** ero il ragazzo scalzo nel cortile ero il ragazzo scalzo nel cortile non ricordo di aver vinto ***** quando penso ai tanti quando penso ai tanti non che mi senta in un altrove è come se lo spirito sono settanta Cinzia Demi ***** P.S.: Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito cliccando sotto su “rispondere all’articolo” o scrivendo direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinzia.demi@fastwebnet.it
con la boccuccia aperta”
scrisse mio padre a casa
e mio padre mi vide per la prima volta
in una foto spedita in Albania
dal mio primo vagito
dal mio primo sorriso
rabbia e amore
ci sono io
io che m’invento ogni giorno una vita
io che cambio come cambia il sole
che è sempre lo stesso
che è sempre diverso
ci sei anche tu
con i tuoi giorni
e i tuoi momenti
perché la mia vita
è legata alla tua
dalla catena delle cose
perché una storia
non è soltanto una storia
ma un piccolo frammento
della trama che involge
il destino di tutti
: è questa la legge dell’universo
..dove una vita è una vita
..che si muove e frena
..seguendo gli stimoli del mondo
..e tu non potrai mai dire
..- come si dice –
..lasciatemi scendere
..che mi gira la testa
cominciava la sua lunga giornata
troppo presto molto prima che
sorgesse il sole
i miei sogni prossimi all’alba
sotto il piede stanco di pigiare
la sua rabbia al pedale
e dalle mani di mamma uscivano
pantaloni confezionati
alla bell’e meglio
e tutto serviva per uscire
dal buio della storia
e ritrovare un altro senso della vita
che giocava con la trottola
e le sfide le perdeva tutte
neanche una volta
: la mia trottola ne usciva
..sempre malconcia
..ed io mi allontanavo col broncio
..giurando improbabili rivincite
anni già vissuti mi sento
un po’ lontano da qui
fatto di nebbia o nuvole di sole
ma con le ali che svolazzavano nel vuoto
se ne andasse per i fatti suoi
e lasciasse la soma che l’affanna
a vedersela con le pietre della strada
ed è giusto così
se non ci è data la forza
di fermare il tempo
Bologna, giugno 2016
“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani.
Per scoprire i contributi già pubblicati:
http://www.altritaliani.net/spip.php?page=rubrique&id_rubrique=58.