Spesso la critica è concentrata sui protagonisti principali dei romanzi sottovalutando il ruolo dei personaggi minori, gli stessi che il critico Guido Meacci definisce “personaggi da tre battute”. A loro è dedicato questo articolo in due parti. Campione privilegiato dello studio di Ilaria Paluzzi, ricercatrice autonoma, sono le opere dello scrittore Luigi Pirandello.
Alcuni personaggi letterari lasciano nel cuore dei lettori una traccia così forte come se si trattasse di persone reali. Eppure non esistono, o meglio, non sono tangibili, pur continuando a vivere dopo diverso tempo che si è voltata l’ultima pagina. Resteranno per sempre intrappolati in quello spazio sospeso tra le ultime parole e gli occhi dei lettori, quello spazio impercettibile, stretto tra le maglie della fantasia, dove si realizza la loro vera e unica avventura.
Questo il destino dei personaggi letterari, ossia quello di lasciare una traccia indelebile persino in coloro che magari non hanno mai aperto un libro nella loro vita. Sorte che tocca non solo ai protagonisti, ma anche ai non protagonisti, destinati a inciampare nell’immortalità, come racconta Giordano Meacci in Fuori i secondi.
Ma, oltre i protagonisti e i non protagonisti, esistono altri personaggi, quelli definiti sempre da Meacci come «personaggi da tre battute». Personaggi che vivono ai margini della pagina e dei quali, di solito, non si ricorda mai nessuno. Ed è proprio su di loro che, in questa occasione, come a voler sfidare le apparenze, desidero soffermarmi.
Ad una prima lettura, il loro apparire e sparire sulla scena sembra avere un ruolo del tutto ornamentale, qualcosa di cui si può fare a meno. Eppure, proprio quel loro sfumare fulmineo sulla pagina è determinante per il delinearsi del filo invisibile che tiene insieme ogni cosa ed è proprio su quel loro passaggio repentino che si strutturano le variabili prospettiche che tengono in piedi la struttura tridimensionale del romanzo, le stesse dove si orienta la luce che getta spessore sul volto e sui gesti dei protagonisti stessi.
Senza di essi, il protagonista rimarrebbe immobile, congelato, impossibilitato a realizzare se stesso, intrappolato per sempre nella pagina, destinato a morire dopo la fine dell’ultima frase.
Per dimostrare la loro importanza nell’ossatura della storia, andremo a considerare il ruolo di diversi personaggi minori tra le pagine di uno degli scrittori più influenti nella stesura dell’album dei personaggi memorabili della nostra letteratura: Luigi Pirandello.
Le pagine pirandelliane sono costellate dall’apparire estemporaneo dei personaggi minori. Essi appaiono e scompaiono nel breve arco di una scena, sia essa narrativa o teatrale, lasciando sulla pagina l’effetto sfumato di una stella che cade e che, con il suo passaggio, si fa garante dell’universo che si muove.
Sono gli stessi personaggi che escono dalla pagina di una novella per rientrare sulla scena di un dramma, passando magari attraverso una pagina di romanzo, a confermare la struttura sistemica dell’opera pirandelliana, proprio come concepita dallo studioso Giovanni Macchia [[«I lavori procedono in cerca di un capolavoro, che, nella sua mobilità e nel concetto della fluidità senza scampo della creazione artistica, smentisca se stesso. I personaggi, a volte gli stessi, altre volte lievemente alterati, con qualche piccolo rilievo fisionomico, vanno e vengono (…) E’ tutto un lavoro eseguito con pazienza, con lentezza. Tanti riavvicinamenti per restituire ai personaggi il senso della vita, per seguire il divenire dell’oggetto nella continuità dello spazio». Giovanni Macchia, La stanza della tortura, Milano, Mondadori, 1982, pag. 28.]]. Come se costituissero l’ossatura portante della sua ispirazione, uno spazio proibito dove però è necessario tornare, insistere, rivedere, ritoccare, rubando l’arte dai bambini che se hanno paura dei fantasmi, alla fine si divertono a cercarli, e quando sono terrorizzati dai mostri, per sfatare la paura si ritrovano a disegnarli continuamente, li materializzano, si divertono nel rappresentarli, solo per il gusto di smascherarli e scoprire che spesso, oltre la paura, si nasconde uno scherzo.
E infatti i personaggi minori sono spesso bizzarri, grotteschi, eppure essenziali per il capovolgimento umoristico della storia. Con il loro apparire fulmineo sulla pagina, dalla paura allo scherzo producono come scatti di energia che tendono a corrompere il congegno ordinato delle cose nelle quali il protagonista, almeno inizialmente, appare avviluppato.
Così fa Pirandello, disseminando le sue pagine di personaggi pronti a scomparire presto, apparentemente turpi, ma in finale inoffensivi. E se questi personaggi sortiscono inizialmente un effetto di paura e sgomento, determinante nel loro costituirsi è il modo in cui vengono rappresentanti.
Infatti, una prima caratteristica lampante dei personaggi minori è la loro caratterizzazione fisionomica. Si presentano con la gobba, occhi sbilenchi, aspetto sciatto, espressioni inquietanti, con quei volti atteggiati a maschera, caricaturali, come l’aio Pinzone, che nasce nella novella La scelta, per riscoprirlo tra i ricordi di infanzia di Mattia Pascal: «la piccola faccia ossuta, angolosa pareva cominciasse da quel nasetto a becco e sfregiato, da uccel ciuffagno, che rendeva così caratteristica la sua fisionomia. (…) Queste e altre cose mi va ripetendo di continuo Pinzone. Io mi guardo intorno, e non so rispondergli nulla. Ah, chi saprebbe, chi saprebbe crearmi, per tappargli la bocca, un eroe, non quale è, ma quale dovrebbe essere?».
Si tratta dunque di personaggi pittoreschi, che sembrano provenire da memorie lontane, avverse ad ogni tentativo di concretizzazione con la vita reale. Con essi il lettore non può identificarsi, eppure vi ritrova immediatamente e irrazionalmente qualcosa delle sue memorie di bambino, delle sue paure inconfessabili.
La natura di questi personaggi, infatti, sembra poter essere compresa solo «oltre i limiti del razionale», poiché essi non possono essere reali, eppure lo scrittore li porta sulla stessa scena dove vivono quegli altri, concreti e familiari, – la vedova, l’impiegato, il poveraccio – come a sfidare l’intelligenza del lettore, il suo consueto senso dell’abitudine.
Ma non solo. Essi, essendo sfuggenti ad ogni tentativo di interpretazione razionale, costringono prima il personaggio e poi il lettore a un movimento continuo della mente, come chi si ritrova costantemente con una diversità da sfidare.
E alla fine, nell’incalzare della dialettica di smascheramento che muove la relazione tra i vari personaggi, i protagonisti si ritrovano a scoprire che la paura non è altro che un’illusione irrisolta dell’infanzia, ed è così che, inconsapevolmente, riconoscono dentro loro stessi quell’eroe, non più infallibile, ma incredibilmente umano, «quale dovrebbe essere».
Dunque ecco che i personaggi minori si riscattano dal ruolo di puro ornamento al quale sembravano destinati, per scoprirsi invece essenziale, nella costruzione del protagonista come personaggio con il quale il lettore, in finale, non può che sperare di identificarsi. Il protagonista diventa quell’eroe che sfida la paura, quell’eroe quale dovrebbe essere.
LINK ALLA SECONDA PARTE DELL’ARTICOLO SUI PERSONAGGI MINORI NELL’OPERA DI PIRANDELLO