Nettuno, cittadina laziale, è prova del vitalismo culturale italiano. Presentazione del libro “Portrait” che racconta di Joyce, la moglie di Emilio Lussu, che brillava di luce propria. A raccontarla un’altra donna testimone della storia, Giulia Ingrao, sorella di Pietro. Emozioni e tante donne a riflettere sul loro complesso rapporto con la politica e la società.
Arrivo di corsa alla presentazione di un libro, il tic tac dei miei tacchi sull’asfalto danno ritmo ai secondi che passano.
Arrivo in ritardo quando i primi accordi di parole sono già volati via.
Lo scenario magnifico che incornicia le storie raccontate questa sera, è il Forte Sangallo di Nettuno, a casa mia, dietro l’angolo. Maestoso e imponente, sentinella sul nostro mare. Nella sua piazzetta interna, appena dopo il ponte che lo attraversa, sono sedute già tantissime persone.
E’ un’emozione sapere che una presentazione di questo tipo è fatta a due passi dalla mia quotidianità. Come a dire che anche la nostra piccola provincia sopravvive e ogni tanto ha un sussulto di cultura, di poesia, di odore di nuovo.
Mi piace l’aria che si respira, la brezza leggera, i volti sorridenti, tante donne che ascoltano altre donne e mi sembrano tutte belle. Una di queste la vedo entrare dopo di me, bellissima, giovane, vestita di rosso, avanza forte, sicura e leggera. Lei per tutte, testimone di nuove parole e consapevolezze che si aggirano, indisturbate, irrefrenabili, tra le mura vecchie di questo vecchio bastione, che opporsi non può. Può solo accogliere.
In alto i gabbiani che, superando le pareti del forte, misurano le distanze, aprono le ali forti e si confondono e si accendono con le luci dei fari che illuminano le frasi e la sera.
Arrivo ad un passaggio di microfono, una giovane ed emozionata giornalista passa la parola ad una meravigliosa signora, capelli bianchi, occhi fieri, memoria intatta. Splendida Giulia Ingrao.
E la sua voce diventa la scenografia di una vita da raccontare. Ripercorre i suoi no attraversandoli come in una tela. I genitori amati ma poco presenti, la salvano il gruppo di fratelli, le letture, i giochi, le condivisioni, i suoi rifiuti di bambina, di donna, che compongono a poco a poco il tessuto della sua identità. L’ attivismo politico in un partito che non l’ascolta, che l’accarezza con la lusinga del “care compagne” nascondendo, però, nel doppio fondo della coscienza, un’ insana, razionale, amorfa cultura, che ripete la strofa del cambiamento, senza mai, in realtà capirci molto e cambiare nulla, che racconta di liberazione ma si confonde tra le trame delle più becere catene.
Questo “ filo che passa tra l’acqua santa e la bandiera rossa”, è la storia di slogan ribelli lanciati dalle barricate di mattina e che muoiono, poi, in un confessionale, sotto l’ombra della santa madre chiesa, di pomeriggio.
Ma lei c’è e la sua storia racconta dell’apertura della botola, della rivelazione della trappola. “Sentivo”, dice, “che quelle parole non mi corrispondevano”, il suono, le voci che provenivano dal ventre del partito la infastidivano.
“Sentivo”,dice, “di un rifiuto che le nasceva dentro”, solo sensazioni, irritazione espressa dal cuore, troppo presto per potergli dare un senso, una destinazione, solo un movimento interno che irrigidisce la pancia e la obbligava all’opposizione. Una giovane consapevolezza senza conoscenza.
Ma non è di lei, in realtà, che ci si occupa questa sera, la protagonista, ma i volti tra le due si confondono e a tratti viaggiano insieme, è un’altra donna. Il libro presentato è “Portrait” e raccoglie le memorie di Joyce Lussu.
“Leggere una storia, parlarne ad altri, mi accorgo che non neutralizza, non mette da parte la nostra storia. Leggo la vita di Joyce e mi rendo conto di vivere emozioni, pensieri che richiamano ricordi, immagini, rapporti, e fatti; le vicende lette si mescolano con il mio vissuto” (dalla prefazione di “Portait” di Giulia Ingrao pagg. 6-7).
Il fascismo, l’espressione più feroce, ottusa, orrenda della violenza esercitata dell’uomo sull’uomo, fa da sfondo ad entrambe le vite e tutte e due esercitano il loro umano rifiuto, come le tantissime altre donne della nostra resistenza.
Racconta Giulia di una fascia nera intorno ad un braccio di ragazzina, a testimonianza del dispiacere, più che l’espressione di un lutto, per l’allontanamento di una professoressa ebrea dalla sua scuola presa in ostaggio da un fascismo ignorante.“Non sapevo perché, ne cosa volesse dire, ma qualcosa, sentivo, che doveva essere fatta…Non c’era, allora, la consapevolezza che nasce dalla conoscenza”.
Narra Joyce di una resistenza che, dalla Svizzera, dove si era rifugiata con la sua famiglia per sottrarsi alla violenza degli sgherri fascisti, abbraccia i comitati di Giustizia e Libertà Italiani. “Per la giovane Joyce si apre uno scenario nuovo, una realtà concreta di operare e mettere alla prova quanto in lei era cresciuto di volontà di agire e di agire anche se donna” (dalla prefazione di “Portait” di Giulia Ingrao pag. 8)
E’ anche una storia d’amore, questo libro ancora non letto di cui, però, ascolto la trama e ne inseguo il profilo, amore per se stesse intanto e soprattutto, che passa necessariamente dalla consapevolezza precisa di una propria identità umana e sessuale.
Amore di se stesse che non permette soprusi, non accetta l’oltraggio, che si accende di rabbia contro l’intruso che vuole imporre cieche convenzioni.
Lo sa Joyce che inventa e costruisce con il suo compagno Emilio un “nuovo e diverso rapporto uomo-donna”.
Per lui tenta di superare la tradizionale immagine della donna regina della casa e della convivenza come palla al piede: « Se fossi rimasta a casa ad aspettarlo, l’avrei annoiato » (dalla prefazione di “Portait” di Giulia Ingrao pag. 9).
Ma poi se ne separa per cercare, di nuovo, una sua diversa identità perché l’ombra di lui l’obbligava al buio o ad una luce riflessa, ma, dice, “non è colpa sua se è diventato una quercia sopra la mia vita”. E si reinventa il suo percorso e la sua storia. Da traduttrice, si spinge ai confini del mondo a ricercare poeti e artisti da tradurre, utilizzando un “linguaggio umano”, oltre le parole, al di là dei limiti dei codici verbali.
Ma ci raccontano anche della sua paura racchiusa nelle domande: “in che modo è umano?” “che cosa nasconde la nascita di un uomo?” che la trovano sola e impreparata di fronte al figlio appena nato. La fuga verso l’impegno politico conosciuto e rassicurante è la sua risposta. Annichiliscono le angosce, davanti al nuovo che provoca un pensiero diverso e si ritorna all’eterno ritornello del fare senza essere.
Quante parole ancora, quante emozioni si accendono mentre scorre la voce della donna che legge brani dalla premessa, la sua voce calda e bella, mi abbraccia in mille sensazioni, come potrei raccontarle tutte?
Le racchiudo in un grazie, per questa serata affollata di persone e d’impressioni, che raccoglie e accoglie, infine, le parole di un uomo, di un medico, dopo tanto parlare di donne, il quale risponde e racconta della nascita degli esseri umani, in cui accade qualcosa di meraviglioso, una trasformazione, un pensiero che prende vita, che si accende quando entra la luce e si illuminano gli occhi.
E concludo con il suo omaggio, il dono di Massimo Fagioli alle donne, alla loro identità certa e preziosa. Alle donne che hanno stracciato il drappo pesante della consuetudine, rotto gli specchi deturpanti e affrontato i frammenti acuminati delle convenzioni dei padri e di una cultura soffocante: “Giulia meravigliosa, donna ideale, intelligente, che cerca una propria identità, che si innamora come una scema ma che riesce, anche, a fare separazioni intelligenti, per non tradire se stessa”.
Marina Mancini
LINK UTILE:
Joyce Lussu: poesia e rifiuto del disumano
Recensione del libro ‘Portrait’, l’autobiografia di Joyce Lussu, scrittrice, traduttrice e partigiana italiana (Ed. Asino d’oro, Febbraio 2012), a cura di Gian Carlo Zanon per Altritaliani