Poesia con Sandro Pecchiari: “Alle spalle delle cose”

Per Missione Poesia presentiamo l’ultimo libro di Sandro Pecchiari, Alle spalle delle cose, nel quale l’autore dona voce a tutte le cose, e non solo agli uomini, che hanno avuto a che fare col suo percorso di vita: le cose che conducono un’esistenza e riescono a guardare in più direzioni, costringendo chi guarda a fare altrettanto.

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Missione Poesia Altritaliani - Sandro Pecchiari

Sandro Pecchiari ha pubblicato: Verdi Anni, 2012; Le Svelte Radici, 2013; L’Imperfezione del Diluvio – An Unrehearsed Flood, 2015, e il lavoro antologico Scripta Non Manent, 2018, per la casa Editrice Samuele Editore, Fanna, Italia. Inoltre in spagnolo Le Svelte Radici, con il titolo Despojando Raíces e la silloge in inglese Kidhood nello Special Issue, Writing in a Different Language, NeMLA, Italian Studies, The College of New Jersey, USA. Presente in antologie e riviste in diverse lingue straniere, nel Quarto Repertorio della poesia italiana contemporanea, Arcipelago Itaca, 2020 con cui pubblica anche la raccolta Desunt Nonnulla (piccole omissioni). Collabora con diversi artisti italiani e stranieri. Si interessa ai video poetry tra Stati Uniti e Canada, con Erica Goss, videomaker statunitense e Al Rempel, poeta canadese, nel video I’ve in the Rain, finalista al Zebra Poetry Film, Berlino e al Ó Bhéal International Film Competition, Cork, Irlanda. Attualmente collabora alla sezione Traduzione del sito QB – Quanto Basta dell’Independent Poetry di Faenza, con la rivista Graphie di Cesena e il blog Versante Ripido di Bologna. Scrive saltuariamente anche per Il Ponterosso di Trieste e per Fare Voci di Gorizia. La sua ultima pubblicazione, Alle spalle delle cose, è uscita per Vita Activa Nuova, nel 2022, ed ha al suo interno le foto di Paolo Ugolini e Daniela Alpi.

Conosco Sandro Pecchiari da alcuni anni. Ci siamo incontrati più volte in reading e presentazioni di nostri libri. Mi piace Sandro, mi è piaciuto da subito. Autoironico, coltissimo, elegante nell’approccio con la parola, è un autore che mi sento di consigliare di leggere a chi si approccia alla poesia per il suo modo di scrivere chiaro e sincero, senza troppi artifici e per immagini che evocano i suoi testi, visivamente efficaci. Sandro sarà ospite dell’ultimo appuntamento di Un thè con la poesia del 2023, a Bologna, al Grand Hotel Majestic, il 13 dicembre prossimo.

Alle spalle delle cose

Alle spalle delle cosePer parlare del libro di Sandro Pecchiari, Alle spalle delle cose, possiamo partire dalla dedica posta a inizio opera: A tutti i “genius loci” della mia vita. Cosa significa genius loci lo sappiamo tutti, si tratta della definizione di un personaggio che è una specie di simbolo del luogo nel quale vive, la sua etimologia deriva dal latino per il quale con queste parole si intendeva lo spiritello del luogo, con riferimento alle religioni del mondo antico, che associavano ai luoghi la presenza di una divinità minore che ne costituiva il nume tutelare; cosa significa questa dedica per il libro del nostro autore dobbiamo scoprirlo.

In realtà, è possibile pensare, che da qui si parta per il viaggio nel quale Pecchiari ci vuole condurre e che può essere identificato come un viaggio a ritroso nel tempo, alla ricerca di luoghi e figure e, ovviamente, ricordi che hanno dato un senso alla sua vita, che gli sono rimasti impressi nel cuore e nella mente, e dei quali sente necessità di rendere conto. La direzione, a mio avviso, molto centrata è che la voce che viene data alle immagini, agli affetti, ai sentimenti e agli accadimenti non è solo quella dell’uomo, ma è quella di tutte le cose che con il poeta possono avere avuto a che fare, sia che si tratti di alberi, di nuvole, di spazi religiosi, di venti, di cuscini, di cigni… insomma tutte le cose che indistintamente, crediamo, possano condurre una loro esistenza, siano sensibili all’ambiente dove si trovano e riescano a convogliare lo sguardo in varie direzioni, tra le quali quella di spalle, costringendo l’uomo a fare altrettanto. Così, come Flaubert diceva: “Ogni cosa è interessante, basta osservarla abbastanza a lungo”, è possibile pensare che Pecchiari, nelle sue peregrinazioni, abbia dato rilievo a tutto ciò che, in qualche modo, gli parlava e gli offriva un punto di vista declinandolo al ricordo per renderlo memoria.

Come esempio possiamo già indicare alcuni versi della poesia che apre il libro, dove il dialogo interiore tra il Larice spogliante – trasfigurazione del poeta – e il fiume Timavo ci apre subito lo sguardo sull’ariosità dell’espediente del correlativo oggettivo che porta al confronto con i sentimenti antichi, il passare del tempo, le immagini che l’albero e il fiume evocano insieme, e allo stesso modo ciò che resta per il futuro nella mente del poeta: […] tu sei così veloce -/hai pochi decenni/che vedo sparire con dolore -/ ricordo i tuoi giochi attorno al tronco -/ora sei qui che mi inviti a casa/e la tua voce suona sempre amata//se accetto, porto con me il golfo/tutte le barche e i temporali/i nidi che proteggo/terrò anche te dentro i miei rami -/non ne sarai scontento… e con gli esempi, in questo senso, potremmo continuare a lungo.

Ne citerò solo un altro, particolarmente significativo, dove a parlare sono i dormienti, ovvero i morti della Certosa di Bologna, che si raccontano all’autore e ai visitatori nella loro lucida solitudine, dipingendo una dimensione di figure immobili, discrete ma che, forse disubbidendo al loro destino, provano a farsi guardare guardando loro stesse, come discreti osservatori quasi fossero volti di spalle: eppure lo so, lo sappiamo:/un ricordo spicciativo vi punge ancora/ – dei fiori veri a volte -//ma fa buio qui dentro/da decenni.
Viene in mente un pensiero dal libro di Georges Banu, L’Homme de dos. Peinture, théâtre (Adam Biro, Paris 2000) che insiste sulla pittura e il teatro: “Un viso si legge come una notizia, una schiena come una poesia”. Ci vuole poesia infatti, quella di Pecchiari, per dare voce ai dormienti, figure che, specie se immaginate di schiena, come la visione del poeta è spesso orientata in questo guardare ogni figura, ogni spazio e ogni tempo alle spalle delle cose, capovolgono certezze, dando credito ai dubbi sull’essere dalla parte giusta, sul non sentire la padronanza di una visione di senso che può avere anche un altro orientamento.

Dunque, in questo libro, l’autore nei suoi spostamenti, nei suoi traslochi, nei suoi viaggi, quale viandante avido d’immagini, cerca nessi sensoriali per tutti gli accadimenti, che si riposizionano – come detto –  alle spalle del suo cammino, della sua storia, del suo immaginario e ne diventa spettatore quasi scavalcando quella distanza di sicurezza che sarebbe necessaria per una visione distaccata, cercando di interpretare ciò che vede e ciò che sente, da una postura che diventa modo di abitare lo spazio intorno, modo di identificarsi con l’oggetto dello sguardo, per sottolineare al meglio ciò che lo lega al paesaggio, alla figura, al tempo e quasi educando il lettore, se provvisto di una sua interiorità, allo sguardo stesso.

C’è insomma una relazione profonda, secondo Pecchiari, tra chi osserva e ciò che viene osservato in un rimando continuo tra il dentro e il fuori, laddove quel sentimento di nostalgia, malinconia, a volte rimpianto, che si sposa con la contemplazione, e che non prende solo il poeta-viandante ma si estende al paesaggio, al luogo, a ciò che viene contemplato, in questo gioco a mezza via tra lo svelamento e la dissimulazione, non è evidenziato in un’accezione negativa per l’uomo, ma certe volte può anche salvarlo, aiutarlo a sopportare la disperazione esistenziale rapportata alla verità.
Qui nel pensiero di Pecchiari, a mio parere, possiamo notare una notevole differenza, rispetto a quello di Montale, che afferma come l’uomo, che ha il coraggio di voltarsi e di vedere la verità – intesa come l’inutilità del dolore umano, della sua gratuità, e dell’indifferenza di Dio o della natura – ne resta segnato per sempre in senso invece negativo. Dice Pecchiari: sono tornato a stare qui/con gli anni alle spalle/le date sempre più distanti/distanti da smarrirsi/ero io. quanti anni fa.//il tempo saldo/ corrode senza incertezza -/non mi corrispondo più/ma mi ostino a vivere/sperando se ne sciolga il senso/o mi riveli il vero//gli occhi annaspano/pescandone il ricordo/il ricordo ormai odore/riposto con quasi cura/“quasi” ecco, quasi non più vero

Ad ogni modo, se è vero che l’azione di voltarsi rimanda al guardare il proprio passato, a ciò che ci sta, appunto, di spalle è altrettanto vero che chi è capace di osservare il proprio passato, e non solo immaginare il futuro, può meglio percepire la verità. Senza voler proporre pretenziose analogie è comunque plausibile avvicinare il pensiero di Pecchiari al mito della caverna di Platone nel quale, l’uomo che si volta indietro uscendo dalla caverna conosce la verità delle cose, se pur con fatica, e si libera dall’illusione desiderando di far conoscere anche agli altri uomini, rimasti prigionieri, la stessa verità per aiutarli a liberarsi a loro volta e, forse, anche a cantare come fa il poeta, per tutti gli uomini, per tutti i luoghi.

Infine due parole sul linguaggio usato dall’autore in questo libro nel quale, la rinuncia alla mediazione emotiva della lingua latina, utilizzata nel precedente Desunt Nonnulla, viene sostituita dalla fluidità e versatilità di intersezioni con alcune lingue contemporanee, del resto conosciute da Pecchiari, quali l’inglese, il tedesco, l’arabo, il turco, lo spagnolo… creando una sorta di globalità circolare che rende bene l’idea, anche in questo caso, del desiderio di procedere nel proprio viaggio anche e soprattutto interiore.

Alcuni testi da: Alle spalle delle cose

  1. Eine alte Frau

woher kommen Sie?
ich komme aus Triest.
ach, Triest, Deutschland, detto sottovoce
spostando lo sguardo dalla mia sorpresa
l’Aufwiedersehen un bava d’aria sui decenni
le spalle inclinate appena –

Sandro Pecchiari, Un thè con la poesia, Bologna, dicembre 2023

quelle spalle, chissà,
dove sono le altre mani, gli occhi soffermàti
o passati tra le bombe
o in un dopoguerra affaticato di speranza

come fosse una matrioska a capofitto
in versioni sempre più minuscole
senza alcun posto per il cuore –
la bambolina più piccola è solo legno

eppure

ich komme mit Ihnen
vengo via con lei, racconti,
mi ha riconosciuto dopo tanto –
quel ragazzo ucciso
il figlio non avuto
come mi ha visto?
quando è stato?

caffè a Salzburg

***

11.Genius Loci

ritorna il territorio sconosciuto
l’odore non si scorda
si sistema scuro nelle braccia
ormai non conta niente –

abbiamo pagato per vederlo
dritto in faccia
senza la bellezza delle cose
un buio che inghiottisce
interi anni in un momento solo

riprendo un posto non più mio
un altro domani ma non ora
ora si schiantano i passati assieme
ogni avvicinamento
una cancellazione

Conegliano Veneto dopo cinquant’anni
***

  1. Carso vuoto

dissoda il respiro alle persone
sole e scorre risalendo
questo sangue di ferro

sullo scindersi dei sogni
sui sedili delle solitudini
sull’illusorio desiderio
di sollievo

resta nel fiato che si ferma
e ridesta roccioni di tempesta

un silenzio speso in diesis
non il divino del pian
silenzio verde, una scossa piuttosto
che zittisce

rese di attesa, teso tra i polsi
che ti stringo

San Lorenzo, Basovica-Basovizza

***

  1. I dormienti

è tutto così lento qui
gli arrivi sono scarsi diluiti
nessuno sfiora queste lastre
nessuno ci guarda fisso mai

siamo ordinati in numeri crescenti
siamo tutti lucidati fuori sigillati
i nomi in bronzo al contrario incisi
le foto, più vecchie della morte,
coi nostri sorrisi scollegati
inadatti     imbarazzanti

eppure lo so, lo sappiamo:
un ricordo spicciativo vi punge ancora
– dei fiori veri a volte –

ma fa buio qui dentro
da decenni

Certosa di Bologna

*

  1. Lamento dei piedistalli

le statue condividono i giorni coi passanti
nell’affollarsi dei decenni
si mostrano pazienti finché durano
a raccontare le stesse cose

ogni cinquant’anni devono ricominciare
all’avvicendarsi delle generazioni
e noi pazienti a sopportare

si ingarbugliano si imbrogliano più spesso
così la storia ne esce sempre quasi nuova –
le verità si sfaldano come il marmo

tra putti ghirlande e cornucopie
le sosteniamo in queste bugie innocenti
che sono fiaba o mito mentre la città cambia
e le radici hanno altre direzioni

capiterà che i loro nomi se ne vadano
fino alla domanda di qualcuno
ma chi sono quelli lassù, non si capisce
e noi percepiamo il peso dell’inutilità

Ghetto di Trieste

***

Cinzia Demi
Bologna, 30 novembre 2023

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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