In questo articolo incontreremo Claudia Zironi, un’autrice che osa, azzarda, si lancia senza rete dall’altezza elevata della dimensione poetica universale per provare ad atterrare sul proprio io nascosto. Di solito è il contrario: per questo parlo di azzardo, che non vuol dire “esperimento non riuscito” ma, senz’altro, non comune. Nella sua raccolta “fantasmi, spettri, schermi, avatar e altri sogni” scopriremo una poetica tesa a smascherare il mondo irreale in ragione della verità.
Claudia Zironi è nata a Bologna, dove vive, il 26 marzo 1964. È laureata all’Università di Bologna in Storia Orientale, ha conseguito un Master in gestione d’impresa. Ha sempre avuto la passione per lo studio delle lingue e per la composizione poetica ma solo nel 2012 ha optato per il confronto e la diffusione.
Ha pubblicato: Il tempo dell’esistenza (Marco Saya Edizioni, 2012); Eros e polis – di quella volta che sono stata Dio nella mia pancia, (Terra d’ulivi, 2014), uscito nel 2016 negli USA con le edizioni Xenos Books in traduzione di Emanuel Di Pasquale; Fantasmi, spettri, schermi, avatar e altri sogni (Marco Saya Edizioni, 2016). Sue poesie o notizie sono apparse su riviste (Illustrati, Le Voci della Luna, Bibbia d’asfalto, Gradiva), siti internet (Caponnetto Poesiaperta, La Recherche, Dedalus di Mugnaini, Thraka-magazine, L’Estroverso, WSF, Laviadellebelledonne, L’ombra delle parole, Il giardino dei poeti, Tragico Alverman, Chiarabi, Carte sensibili, Il golem femmina, Inchiesta online, Williamwall, La dimora del tempo sospeso, Oubliette Magazine, La presenza di Erato, Perigeion, Trasversale) e antologie fra le quali Poeros del Gruppo77 (Samuele Editore, 2016). Dal 2013 fa parte del Gruppo 77. Collabora con varie associazioni rivolte alla diffusione culturale e al sociale come Civico32 e Le voci della luna.
È fondatrice, dal 2012 attiva nella direzione e nella redazione della fanzine on-line rivolta ai lettori Versante Ripido per la diffusione della poesia (www.versanteripido.it). Nel 2016 da una collaborazione con Terra D’Ulivi ed. è nato il primo numero cartaceo di Versante Ripido.
Conosco Claudia Zironi da diverso tempo, viviamo nella stessa città – Bologna – e di lei ho avuto modo, molto da vicino, di apprezzare l’impegno per la poesia e per la sua divulgazione in un contesto, quello bolognese, che ad un’apparente veste di accoglienza e condivisione, nasconde spesso lotte intestine tra gruppi e fazioni, i soliti Guelfi e Ghibellini d’Italica memoria, come se la poesia fosse appannaggio di questo o quello, senza essere invece bene comune.
Lei, come me del resto, per fortuna va avanti senza lasciarsi condizionare da nulla, occupandosi attivamente di far emergere la sola cosa che conta veramente in questo campo: l’amore per la bella poesia.
In questo articolo mi occuperò del suo ultimo libro fantasmi, spettri, schermi, avatar e altri sogni, edito da un caro e comune amico, Marco Saya di Milano, andando a scoprire i lati peculiari del lavoro che, come vedremo, ha una sua motivazione, molto forte, di resistenza poetica e una certa originalità di visione.
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fantasmi, spettri, schemi, avatar e altri sogni
E’ stato Freud, in epoca moderna, a riformulare l’idea di fantasma, opponendo al mondo esterno del soggetto, basato sul principio di realtà, un mondo interiore che cerca di soddisfare i desideri per via illusoria. Ecco che il fantasma assume la forma di una “messa in scena del desiderio” e lo scenario fantastico-immaginario che se ne deriva è quello della pulsione erotica e del conflitto psichico cui è inevitabilmente connessa. Lacan, riprendendo il concetto, definisce meglio il fantasma, indicandolo come un’area che include le diverse facce dell’Io, dell’altro immaginario, della madre originaria, dell’Ideale dell’Io e dell’oggetto e arrivando a dire come sia, sempre, il fantasma stesso a fornire alla realtà il suo inquadramento. Ma, che cosa vuole, che cosa cerca esattamente il fantasma? Perché ci compare, ritorna del tempo e nello spazio che più non gli appartengono (o, almeno, così crediamo sia)?
Hölderlin ci suggerisce che: «Chi sulla terra non fa valere la sua parte divina, non ha, neppure in cielo, riposo», mentre Abraham e Torok ci chiedono: «Chi tra di noi non è alle prese con qualche spettro, che reclama il cielo che gli è dovuto e che è debitore della nostra stessa salute?».
Insomma, questa breve introduzione psicoanalitica per lanciare qualche flash e per entrare a pieno titolo nell’opera di Claudia Zironi che – a parere di chi scrive – parrebbe pescare molto da questo mare, se pur gettando le sue reti in profondità, insenature, risacche diverse a vario titolo e usufruendo di alleati – poeti – che le servono per sostenere, per rendere più proficue le stesse maree nelle quali si avventura coraggiosamente.
Metafore marinare a parte, Claudia Zironi osa, azzarda, si lancia senza rete dall’altezza elevata della dimensione poetica universale per provare ad atterrare sul proprio io nascosto. Di solito è il contrario: il poeta parte dal proprio io per arrivare agli altri e, più ampiamente, a concetti condivisi o condivisibili con il resto del mondo. Qui no. Per questo parlo di azzardo, che non vuol dire “esperimento non riuscito” ma, senz’altro, non comune.
Nei primi capitoli di questo libro l’autrice ci porta – attraverso l’ombra della creatura che ha scelto di rendere protagonista – il fantasma – a confrontarci con tematiche esistenziali profonde: Dio, la poesia, l’amore. Lo fa chiarendo subito che non è un’idea solo sua, ma condivisa da altri autori: Ungaretti in primis, che – nelle poesie scritte durante la Prima Guerra Mondiale – non scorda i morti di San Martino del Carso e si chiede perché chiamare Dio e lei, allo stesso modo, in un periodo di pace solo sulla carta, si fa le stesse domande: dimmelo tu/che solo inesisti e taci… ci pone le stesse riflessioni: nemmeno un nome ho perduto/di quanti sono andati. Lo fa tentando di sollevare quel Velo di Maya sotto il quale Schopenhauer dice che si nasconde il vero mondo che l’uomo non vive, un velo che ricopre tutto, forse anche il significato della tomba di quel Gesù, figlio dell’uomo e di Dio che, se capito, potrebbe salvarci: dal velo m’indicasse/lo sfocato primo piano della tomba/dietro l’oliveto. Lo fa citando anche i Vangeli e la Maddalena, mischiandola con l’eros che impregna il suo passaggio nelle parti apocrife: sarò prima di te ombra, quando/starai seduto davanti a casa/in attesa del tramonto. ti coprirò/i piedi come capelli, le ginocchia/come accucciandomi.
Dal fantasma allo spettro il passo è breve. Tempo, morte, paura. L’autrice – in un percorso che diventa il nostro e che suggerisce la risposta alla domanda iniziale: chi non è alle prese con qualche fantasma/spettro? – ci fa incontrare lo spettro dell’invecchiamento che ci porta ad arrenderci ai ricordi e a rimpiangere con nostalgia l’età giovanile: l’ho provata in adolescenza la foja/della rivoluzione. quando un poster/sostituiva i baci e una chitarra suonava/ossessiva per ore; ci fa
incontrare ciò che più è duro da incontrare, la morte, in una lotta interiore tra la trascendenza e il non ritorno: come tacere lo splendore dell’inesistenza/ l’immensità magnifica/d’un’impossibile risposta, della grandezza/d’essere scintille infinitesime nel cosmo?/come rinunciare alla speranza/se una piccola mano vi si è persa;
ci fa incontrare la paura in un ancestrale rito dove l’umanità tutta potrebbe sparire divorata da se stessa: ho paura di te, di come/potresti sparire, prendermi/il cuore e mangiarmelo/dirmi di essere morto./di come ti appartengo.
Forse per sopravvivere, per resistere alla vita è dunque necessario fornirci di schermi, le maschere di Pirandello, per proteggerci dall’amore, per praticare l’eros, per riuscire a mantenere i rapporti tra umani o sono gli schermi che ormai ci possiedono, ci governano, non ci lasciano possibilità di scelta, diventano i nuovi miti che scalzano i vecchi, che pure tentano di resistere?
Propende certo per la seconda ipotesi Claudia Zironi e lo capiamo subito da questi versi: la televisione mi guarda mi parla./da piccola credevo che mi vedesse./non una parola fu per me sola laddove la TV diventa il sistema binario che si risolve, in seguito, nell’impercettibile filo che lega l’amore all’eros e l’eros alla morte, una previsione che coinvolge tuti i sensi, dal gusto al tatto, dall’olfatto alla vista, in un’assenza che si fa presenza solo nella mente e in certi anfratti di realtà, di fronte a schermi di utensili naturali, di greti autostradali e pompe di servizio: mi manca un corpo/caldo/da guardare e accarezzare/l’odore e il sapore della pelle/mi manca la prospettiva/del contatto/come sarò da morta
… ed è innegabile che entra di diritto, in questi versi, il mito di Orfeo e Euridice, nel quale l’amore tenta di vincere la morte, un mito a cui aggrapparsi per non arrendersi agli schermi.
Ma è nella sezione dedicata ai sogni, l’ultima, che vengono fuori i legami maggiori con il mondo reale e quello fantasmagorico: eri un fantasma/ora sei il sogno/col quale passeggio/sul millennium bridge/e non posso studiare/un finale diverso/quando inizia la pioggia.
Un legame che pesa e si fa forte perché: sei stato/nei miei sogni da quando sei nato – dice l’autrice – parlando a un ipotetico protagonista del sogno che, in itinere, compie un processo di metamorfosi kafkiana rilucendo, nella dimensione politica della Zironi, di un ripescaggio memoriale, in quelli che furono gli anni delle lotte giovanili, dove la figura leggendaria del Che era ripresa su tutte le bandiere, e ora è svilita a improbabile impronta pubblicitaria, eravamo belli come eroi/poi venne il reality/mettemmo il tuo viso/sulle magliette/in campo rosso/coca cola.
Il sogno, infine, ci conduce a Socrate, in una dimensione quasi plateale della vita, dove il concedersi a un amore, il sacrificio per salvare la distruzione della razza porta alla decomposizione del corpo che diventa cenere e ossa, e non ci dice se ne sarà valsa la pena, o se sarà stato come bere cicuta. Resta il mistero del lieto fine, della ricucitura del sogno alla vita, della scomparsa di quelle ombre che ci distolgono dal reale, neanche la poesia – forse – può portare un balsamo di verità.
Claudia Zironi ci induce a riflettere, con questo libro sui legami tra l’ineffabile e il reale. Ci spinge a scegliere tra il vero possibile e ciò che è nascosto da schermi, tra il sogno, i fantasmi e il valore nominale delle cose: la sua poetica può essere più o meno condivisibile ma, certo, pone l’accento su alcuni punti salienti della dimensione esistenziale.
Lo fa con garbo e pacatezza, lo fa con accoratezza e con uno stile che – se pure a tratti sembra vacillare sotto il peso delle tematiche (che non è facile affrontare tutto ciò con leggerezza e uniformità stilistica) – è comunque capace di restituire alcuni testi di grande interesse linguistico e semantico.
Alcuni testi da: fantasmi, spettri, schermi, avatar e altri sogni
dimmelo tu
che solo inesisti e taci
perché sono così affranta
dal disastro.
eppure
siamo qui, vivi, errori tuoi e separati, prova
della tua fallibilità, ché se ci avessi fatti uno
tutto questo dolore non esisterebbe. invece
ci sono figli, amanti, amici, assassini, folli
e ubriachi, come bestemmie
camminano nel mondo, senza un solo
vasto pensiero d’infinito.
e c’è la guerra, c’è l’odio
ci sono la malattia e la perversione.
c’è perfino l’amore.
*****
l’acqua cade sempre su altra
acqua, seppure in altra forma
e non si chiede il tempo.
sarò prima di te ombra, quando
starai seduto davanti a casa
in attesa del tramonto. ti coprirò
piedi come capelli, le ginocchia
come accucciandomi. porterò
una nuvola di pioggia dall’oriente
umida e calda di monsone, profumata
di zenzero e vaniglia. risalirò
le cosce tue
alle venti e trenta della sera.
saprà poi l’acqua come amarti.
*****
non te ne parlerò di ciò che è stato
di come oggi potremmo camminare
per una via di milano senza conoscerci
potremmo danzare sotto la neve
in continenti diversi, delle stelle
contate fino a millenovecentoquarantuno
e poi stancarci, tu sdraiato in un prato
di lavanda, io dal cinquantesimo piano
di un grattacielo, del comune desiderio
– finalmente la stella cadente! –
di esserci incontrati e subito baciati
in un chiassoso mercato rionale.
*****
con la mano nella tua mano
contavamo le formiche
risalire un tronco morto
in un tempo lunghissimo
che non abbiamo avuto
*****
quando mi hai detto:
devi imparare a guardare
senza girarti lasciando
gli occhi sulla mia bocca
devi imparare a non chiedere
a ringraziare, devi sapere
come tacere. le parole
hanno solo bisogno
di suoni, i corpi di
essere pelle, le arance
hanno bisogno del sole.
Cinzia Demi
Bologna, novembre 2016