Con questa nuova raccolta Alessandro Quattrone ci propone, attraverso la metafora dell’acero gentile e leggero del titolo, l’ascolto della natura che, anche nel momento della sua morte presunta – l’autunno – osserva il silenzio, unica virtù che sopravvive nel clamore: metafora stessa della vita e della sensibilità artistica dello stesso autore, di cui abbiamo già parlato in “Missione Poesia” nell’articolo a lui dedicato nel 2016: “Alessandro Quattrone, L’ombra di chi passa”.
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Biografia aggiornata
Alessandro Quattrone è nato a Reggio Calabria. Vive e insegna a Como. Ha esordito nel 1984 con la raccolta di poesie Interrogare la pioggia, finalista al Premio Viareggio 1984 nella sezione « Opera prima »; con il successivo Passeggiate e inseguimenti ha vinto il Premio Internazionale Montale nel 1994. Dopo quasi venti anni dal precedente Rifugi Provvisori, nel 2014 Quattrone ha pubblicato una nuova raccolta di poesie, dal titolo Prove di Lontananza, terzo classificato nel Premio Internazionale « Mario Luzi » del 2014.
Nel lungo periodo intercorso tra le ultime due raccolte di poesie, Quattrone si è dedicato alla traduzione di classici della poesia latina, inglese e francese, e alla stesura del suo unico romanzo, Ai bordi del diluvio, pubblicato nel 2002. Quattrone ha anche collaborato con il musicista Daniele Battaglia, per il quale ha scritto i testi delle canzoni del secondo album, intitolato semplicemente Daniele Battaglia.
Ha pubblicato: Interrogare la pioggia (Lacaita 1984); Passeggiate e Inseguimenti (Book, 1993); Rifugi provvisori (Book, 1996); Prove di lontananza (Book, 2013); L’ombra di chi passa (puntoacapo, 2015): A me non sembra di dover morire e altri dialoghi teatrali (puntoacapo, 2018); La gentilezza dell’acero (Passigli, 2018). Ha tradotto: E. Dickinson, P. Verlaine, E.A. Poe, S.T. Coleridge, E.L. Master, W. Whitman, W. Shakespeare, A. Rimbaud, G. Apollinaire, C. Baudelaire, Ovidio. Ha pubblicato poesie e articoli su riviste culturali e quotidiani, il romanzo Ai bordi del diluvio (Moretti & Vitali, 2002).
La gentilezza dell’acero
La gentilezza dell’acero, il nuovo libro di poesie di Alessandro Quattrone (Passigli, 2018, prefazione di Giancarlo Pontiggia) sembra ricordare il titolo evocativo di una fiaba orientale, o meglio ancora di una leggenda. Una di quelle che raccontano di nobiluomini che si ritrovano sotto la cascata delle foglie rosse autunnali di questa pianta, per intonare canti e declamare poesie d’amore alle loro dame… e, infatti, questa leggenda esiste ed è arrivata sino a noi, attraverso le narrazioni di un’usanza consolidata e immutata nel tempo. Potremo partire da qui, e dall’entità riconosciuta dell’acero che nella mitologia greca rappresenta la modestia, la prudenza e la riservatezza, per collegarci alle caratteristiche anche dell’autore che, appartato e riservato com’è (vedi articolo precedente Missione Poesia, a link sopra indicato), lavora costantemente per portare la sua voce nel mondo poetico contemporaneo, senza troppo clamore ma con determinazione.
Ma la simbologia e i significati attribuiti alla pianta, la cui citazione è presente sia nella prima che nell’ultima poesia del libro di Quattrone – quasi a segnare un cerchio che si congiunge nelle sue profonde intenzioni -, sono sovrapponibili in larga parte, se non per intero, alla poetica di tutto il libro e più in generale alla poetica dell’autore, anche in riferimento alla precedente produzione. L’acero gentile e leggero, che con grande sensibilità abbellisce con il suo colore il momento della propria morte, il momento in cui la natura tutta si prepara a morire, e ci ricorda come in quel momento sia necessario il silenzio, unica virtù che sopravvive nel clamore, è metafora stessa della vita e della sensibilità artistica dello stesso autore: Non si può che ammirare/la gentilezza dell’acero,/dell’albero che medita sospeso/al cielo adorando i fili d’erba,/e quando l’ora è più spietata/abbellisce della propria morte/il mondo, sapendo che il silenzio/è una virtù finale, che però/sopravvive nel mezzo del clamore. L’acero che ci coglie di sorpresa con il suo cangiante manto rappresenta la fiducia nel sole, la fanciullesca ma non disincantata osservazione del mondo, la gioia del canto che resta inciso nella memoria nell’importanza e nell’identità di un nome: Se l’acero ti ferma/non è per disturbarti./Se ti offre la sua amicizia/non è per solitudine./Se ti chiede il suo nome/non è per dimenticarlo.
Quattrone, così come altri poeti lirici e meditativi, è maestro nel proporre il rapporto tra la natura – sia essa rappresentata da alberi e piante che da animali, i più svariati – e i sentimenti che vi si legano. Potremo paragonare qualche suo testo a quelli di Edmond Jabès quando parla della caducità delle foglie degli alberi in autunno: […]Volate volate, verdi alberi belli./Per voi si apre il cielo./Ma attenti all’autunno,/stagione fatale, quando a migliaia/le vostre ali/tornate ad esser foglie/cadranno; o a quelli di Che Tzu-ch’ing quando parla delle ombre dei salici e della malinconia del corso del fiume: […]Sono salici le ombre dei salici/o immagini del loro essere?/Le luci delle rive/si infiltrano nei vuoti tra i rami/sull’acqua creano strisce diverse/là chiare là scure/come all’alba tra le nubi di oriente./I pochi riflessi chiari svelano il fiume/e la malinconia del suo corso nel buio; o ancora a quelli del nostro Umberto Piersanti, che chiama ogni pianta e ogni fiore con il proprio nome, forse il poeta contemporaneo che più canta la natura con i suoi versi, versi che hanno il respiro stesso della natura la quale si fa carico di una grande forza consolatoria:[…]ma se sulla terra/ti distendi/con l’erbe sopra gli occhi,/i sassi accanto/si perdono nell’aria/anche i dolori.
Così Quattrone, specie in quest’ultima raccolta, ci presenta una sua natura e un suo mondo fatto di cose: una natura “animata” dove gli alberi meditano, le nuvole pensano, il suolo sospira; un mondo di cose che “dicono” dove i bicchieri riposano, le panchine rabbrividiscono, le ringhiere sono portatrici di saggezza. Il sentire della natura e il dire delle cose è visibile/ ascoltabile solo perché il poeta si mette a osservare, si mette ad ascoltare. E tutto sembra animarsi, e tutto sembra dire qualcosa proprio per questa grande attenzione da lui posta al mondo ma, in realtà, c’è anche un altro modo di lasciare che la natura e le cose continuino il loro corso e ci segnino profondamente: è quello di farsi penetrare dal tutto, nel profondo dell’anima, restando in silenzio, quasi sospesi tra la realtà e l’immaginario. E così l’attenzione del poeta – e quindi del lettore – nella prima parte del libro si ferma a osservare e a guardare (Osservazioni e sguardi), se pure con quella profondità di sguardo che nota ogni dettaglio e che sembra ricordarci come il poeta abbia insita dentro di se quest’arte, che poi conduce all’amore stesso per la natura – Dante, per altri versi e per altro amore, diceva: I’mi son un che, quando/Amor mi spira, noto, e a quel modo/ch’è ditta dentro vo significando -; nella seconda propone un itinerario di ricerca intorno alla serenità esistenziale che pare concentrarsi su un segno scaramantico (L’amuleto smarrito) – ed ecco che ritorna in parte anche il sapore della leggenda di cui si parlava all’inizio – in una sorta di cammino iniziatico dove troneggia allegoricamente la stagione invernale, con le sue nebbie e il suo vento, a indicare la sovranità della natura, tanto amata, a cui l’uomo-poeta chiede clemenza più che consolazione – Per una volta, che arrivi come tregua/come forma di clemenza del sovrano,/il mattino con la sua trasparenza/da non attraversare -; nella terza parte (Annunci o auguri) la mera osservazione, come sopra accennato, si trasforma in ascolto vero e proprio, profondo e silenzioso, un ascolto di cui farsi protagonista per arrivarne a interpretare il senso ammonitorio – Sembrerebbe un annuncio o un augurio/la luce he filtra dalle fessure,/sembrerebbe un avviso, un invito/alla festa di un giorno qualunque. – Quest’ultima modalità di ascolto – ed è da evidenziare come tale modalità compaia verso la fine del libro – sembra impregnata di una necessità tutta volta ad una nuova dimensione che emerge, quasi come necessità assoluta se pure con una richiesta più che sommessa da parte dell’autore, quella della felicità: Muoviti piano, non fare rumore,/muoviti al buio, attenta a non svegliare/chi dorme senza avere né sospetto/né bisogno di te, felicità. Ma è una felicità che viene trasfigurata in uno spazio altro (un altro spazio, un altro suono, un’altra luce) che rileva, ulteriormente, la genesi spirituale di questa poesia di Quattrone, una spiritualità che si risolve nell’estasi dell’abside dove tutto parla di una felicità possibile, gratuita, lascito agli indifesi, ai non amati.
Se la poesia potesse ascriversi a qualche genere – e qualche volta lo si sente dire – anziché ritenerla un umile lavoro di artigianato al servizio della parola e dello spirito, quella di Alessandro Quattrone si potrebbe definire come nata dall’incontro con il suo animo – e poi con l’animo dei suoi lettori – con la Creazione, con l’epifania del mondo visto con gli occhi stupefatti e incantati di chi vi assiste per la prima volta. Una poesia di incantamento, dunque, una poesia che non giudica, non assume posizioni critiche, non accusa – finalmente – ma con tutta la musica di cui è capace la versificazione proposta, si accosta alla natura e al suo miracolo con la capacità di farlo proprio, per restituircene tutta la complessità e la bellezza possibili.
Alcuni brani da: La gentilezza dell’acero
Il continuo vagare nel traffico
per le vie della grande città
di sabato pomeriggio, quando è tutto
una frenesia di acquisti e distrazioni,
la ricerca ossessiva di un parcheggio
libero, che ci liberi dal tempo
e dall’angoscia di non avere un posto
riservato nell’universo,
l’oltraggiosa indifferenza delle strade
al nostro bisogno di sosta,
fanno di un appuntamento una vendetta
che nessun nemico ha mai meditato.
***
Se volgi altrove lo sguardo,
le cose si lasciano andare
alla loro esistenza malata,
ma se torni a guardarle, se ammiri
comunque il loro languore,
allora si riprendono, respirano,
allora ti benedicono e ti acclamano –
te, signore del poco e del nulla.
***
La mano percorre troppo in fretta
la distanza fra il silenzio e il gesto,
e quindi se ne pente.
Si ferma ad espiare la sua colpa
restando come un ragno riflessivo
su un tavolo in penombra.
Anche il cielo aspira a farsi terra,
collina brulicante di colori,
non sopporta più la distanza
dalle mani, dai passi degli uomini,
vorrebbe tanto avere linee
e lasciare agli occhi
la nostalgia della trasparenza.
***
Prima che arrivi il treno
si prova a dire qualcosa di profondo,
qualcosa di necessario e puro,
guardando intanto i ciottoli gelati
tra i binari arresi al destino.
C’è chi sorride di antica sapienza
e chi parla con l’intento di essere
infine un uomo che non chiede nulla
e non aspetta altro che lo spostamento
d’aria del treno che verrà.
***
Si va di fretta, si è in ritardo, si arriva
affannati al luogo dove già da qualche minuto
dovrebbe essere iniziato il discorso
atteso da così tanto tempo,
ma c’è una strana desolazione
all’ingresso, e pigramente il custode
chiarisce che purtroppo non è oggi
il giorno dell’incontro,
non è oggi che saremo lieti,
ci siamo sbagliati, era ieri,
era ieri che avremmo dovuto esserlo.
Cinzia Demi
Bologna, 29 ottobre 2019
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P.S.: “MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani. QUI il link dei contributi già pubblicati. Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito scrivendo in fondo a questa pagina un commento o direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinzia.demi@fastwebnet.it
Mi congratulo con Cinzia Demi per la buona recensione su » La gentilezza dell’acero » di Alessandro Quattrone.
Il titolo mi ha subito attirato e coinvolto. Amo l’acero che con i suoi colori abbellisce la caducità dell’autunno e, pertanto, della vita. Sorprendente come la natura ti penetri e ti consoli nel profondo silenzio.
Un invito ad acquistare il libro di A. Quattrone. Grazie ad Altritaliani per la qualità dei suoi articoli.