Apriamo l’anno 2025 con il primo articolo di Missione Poesia, dedicato alla poetica del libro Influssi (delle Metamorfosi e dei Mutamenti) di Alessandro Cabianca. Qui, i riflessi presi in prestito dai classici, connettono le questioni esistenziali con la quotidianità più spicciola, in un racconto nel quale l’autore propone un proprio autoritratto, dove il sentimento più frequentato è senz’altro l’amore. Un’opera nella quale scoprire cosa unisce I King alle Metamorfosi.
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Alessandro Cabianca, narratore, drammaturgo, saggista e poeta. Nato nel vicentino, laureato in Letteratura moderna e contemporanea, è studioso del mito; ha pubblicato tre tragedie, un dramma, un romanzo, sette raccolte di poesia, alcuni saggi su Ottiero Ottieri narratore e poeta, sul rapporto tra poesia e musica a quattro mani con il compositore Matteo Segafreddo e, inoltre, l’Antologia della poesia veneta dal 1500 al 1800. Le sue tragedie sono state rappresentate in teatro, alcuni suoi lavori sono diventati parte nei concerti o eventi multimediali. È tra i fondatori del Gruppo90-ArtePoesia e del PIP (Pronto Intervento Poetico), cura la Collana di poesia “L’oro dei suoni” per l’editore Proget ed è Direttore editoriale della Rivista e sito internet Padova sorprende. Sulla sua poesia è stato pubblicato un saggio monografico di Marta Celio: L’eterno racconto, Macabor Editore, 2021. Organizza da anni eventi poetico-musicali, corsi e conferenze sulla letteratura e sul mito ed è presente in varie riviste letterarie e antologie. Influssi (delle Metamorfosi e dei Mutamenti) è il suo ultimo libro di poesie uscito per Macabor Editore nel 2022.
Conosco Alessandro Cabianca da diversi anni per le mie frequentazioni nella città di Padova, e nel Veneto in generale. Ultimamente ci siamo rivisti in alcune occasioni per incontri di poesia. In quei contesti ho avuto la possibilità di ascoltare i suoi testi, la sua profondità di pensiero, l’arte della cultura classica, da lui perseguita e tramandata con tutto sé stesso. Alessandro è forse un uomo d’altri tempi prestato alla modernità: lo sguardo, l’atteggiamento, il modo di porsi verso gli altri, la sua poesia stessa lo rendono quasi un fiore nel deserto, una tenue luce nel vuoto culturale che ci affligge. Da Ovidio a Leopardi, da Esiodo a Virgilio, dallo studio appassionato de I King, il libro sapienziale cinese le cui origini si perdono nella notte dei tempi, c’è in questo autore, una ricerca raffinata e sublime della tradizione, che tuttavia affascina per gli slanci nella quotidianità, c’è una determinazione forte nel rivisitare ciò che crediamo di aver scoperto, e che invece c’era già, che ci convince per l’originalità dell’approccio e l’approfondita conoscenza che ne traspare.
Influssi (delle Metamorfosi e dei Mutamenti)
L’opera di Alessandro Cabianca, al dire unanime dei suoi estimatori, è caratterizzata da sempre da un’ampia visione della classicità e liricità del nostro passato letterario e filosofico, con un continuo e rintracciabilissimo rimando alle questioni contemporanee, che sono poi le stesse del mondo antico, se pure sviluppatesi in maniera diversa. La nascita dell’uomo, il suo cammino di sviluppo e di crescita interiore, l’evoluzione delle forme di comunicazione e di divulgazione dell’arte, con la necessità di esprimere gli accadimenti della vita e il sentire interiore: mitologia, fiaba, leggenda, storiografia, cronaca, prosa e poesia… tutto ha contribuito a rappresentare la dimensione più simile alla realtà, più vicina alla natura così come l’uomo la sente e Cabianca, in particolare, nel suo voluto ritorno senza retorica a quelle atmosfere classiche, virgiliane o ovidiane che siano, tende inevitabilmente al recupero di ricordi che si facciano memoria, e al soddisfacimento del suo bisogno di amare che sia scevro dalla menzogna.
Nei suoi versi, a volte infuocati, a volte doloranti, a volte illuminati da luci improvvise sembra nascondersi, per poi riaffiorare all’improvviso, tutto il sapere coltivato negli anni, un sapere che conduce alla responsabilità del vivere, e soprattutto dello scrivere. Ed è proprio alla forma, alla struttura del linguaggio, alla simbologia recuperata dalle sue fonti, greche e latine, alla quale l’autore tende per restituire alla poesia la funzione primaria, quella che sostiene la sacralità del rapporto che connette l’io poetico con il resto del mondo, il mito con le figure reali, le proprie origini geografiche con tutta l’altra terra, mentre si assiste a un universo di metafore che imprimono al testo il marchio della riconoscibilità di chi l’ha scritto.
In quest’ultima opera, già comparsa in precedenza in traduzione ed edizione rumena, primeggia un repertorio poetico costellato di antinomie: Amore/Disamore, Incanto/Disincanto, Allegria/Disallegria, Memoria/Oblio, Certezza/Dubbio, Alto/Basso, tra le quali si insinuano le problematicità reali e sofferte capaci di abbracciare, con i riflessi presi in prestito dai classici, dalle questioni esistenziali più profonde alla quotidianità più spicciola, dalle esperienze di relazione con il mondo esterno al racconto di sé stesso, che diventa quasi un autoritratto, dove il sentimento principe è senz’altro l’amore vissuto e cantato nelle sue varie sfaccettature. Il gioco delle antinomie viene assimilato da Cabianca dal libro sapienziale cinese I King, nel quale le contrapposizioni del vissuto sono messe in relazione con quelle della natura e, al contempo, queste stesse provano a relazionarsi anche con le Metamorfosi, utilizzate dagli scrittori antichi che, a vario titolo, hanno elaborato opere su queste operazioni di mutamento dell’essere umano, in specie attinenti alla sua interiorità: […] Eri proprio fuori strada, Ulisse,/a credere che potesse darti ascolto/e impegnare sentimento e cuore;/il suo mondo era il sortilegio, la deformazione.[…]
Ma, la direzione principale che viene intrapresa in questo libro, a mio avviso, riguarda un’idea di poesia che l’autore intende porgere al suo lettore: se la intendiamo così come la intende D’Annunzio, infatti, la poesia non è solo testimonianza del suo tempo ma è anche profetica, ovvero può presagire fatti o dimensioni sentimentali che non solo hanno radici nel passato, ma si prefigurano per il futuro, attraverso modificazioni e relazioni che tutto connettono, con versi capaci di entrare nel cuore delle esperienze vissute, capaci di porre questioni fondamentali pur senza mai arrogarsi il merito di saper trovare risposte. Con questa modalità di scrittura, ovvero trascendendo dalla dimensione del tempo in cui si scrive, immergendosi nella ferialità dei giorni, degli eventi, dei ricordi tutto contribuisce a costruire non solo una propria biografia – anche fisica – dell’esistenza, ma un memoriale necessario per chi andrà a confrontarsi con quei versi stessi, ritrovandosi nei mutamenti descritti, nelle relazioni con la natura, nelle accensioni sensoriali che ne derivano.
La scansione in tre sezioni del libro – Metamorfosi, Mutamenti, Canti d’amore – non ne turba affatto la sua compattezza, anzi le stesse sono connesse da un’unità di pensiero che le rende quasi l’una la conseguenza dell’altra. Di Metamorfosi abbiamo, in parte, già detto: la ricerca continua di un legame con la classicità, di cui è intrisa la formazione culturale di Cabianca, abbinata ad una volontà di rielaborazione e intersezione del mito con l’attualità, determina una rivisitazione delle figure prescelte il cui cammino è tracciato su un piano sequenza che rimanda a immagini contemporanee dialoganti con il poeta, oltre che con le cronache esistenziali della natura umana: […] Ogni stagione muta alberi e nuvole:/quale fatica stare ed essere! […]
Nella sezione Mutamenti sembra inizialmente rivelarsi maggiormente quel parlare per antinomie a cui abbiamo accennato sopra. Gli abbinamenti si relazionano fra loro, collegandosi con le rispettive polarità, mentre il poeta resta legato alla concretezza, libera oggetti e ricordi dagli angoli più remoti e ne affronta i nomi che costruiscono la sua propria identità, li chiama senza inutili tentennamenti o tensioni, li riporta al presente forse effimero ma reale del loro esistere. Scorrendo i testi ci si accorge, tuttavia, che sono molte le relazioni immaginifiche che intercorrono tra gli elementi della natura, i sentimenti e il poeta, in una scalata di giorni e notti, una percorrenza di svariati luoghi, un incedere del tempo nella ricerca di quiete interiore, di un congedo forse, che stenta ad arrivare:[…] Come va scagliandosi su ogni spiaggia/con grigio accanimento, all’infinito, il mare,//come può devastare quante isole, ridenti prima/e desolate ora, che l’assalto ha avuto fine//e ancora qualche pace resta.[…]
Conclude il libro la sezione dedicata all’amore. I canti d’amore sono variazioni sui sentimenti, rovesci di medaglie, arcobaleni con variazioni di colore, sensualità, affetti. Il primo testo di questa sezione sembra contenere l’intera poetica del libro: la ricerca di una propria identità, a cui tendono tutti i poeti, passa anche dall’autodescrizione di se, dalla scansione di un proprio autoritratto che contempla, senza dubbio, la concezione dell’amore, il desiderio di una donna da amare, la malinconia per luoghi perduti, il rimpianto di ciò che non è più: […] Io che volevo un gioco, e non cercavo/storie di dolcezze né di desolazioni/e non/avevo cuore per le tue notti insonni,/ora a tutti i costi sveglia ti tenevo solo a sentire/dei tuoi cieli abbaglianti/e dei tramonti, dove tortore a frotte/fanno schiamazzi, prima di scomparire nei fieni[…]
Libro forte e non di facile lettura questo di Cabianca, libro che traboccante di classicità – come più volte detto – necessità di conoscenze approfondite per poterne cogliere a fondo i significati più profondi. Con una coraggiosa rivisitazione di temi che, se pure attualizzati, afferiscono ad una cultura oggi – purtroppo – poco frequentata, con l’uso di un linguaggio anch’esso davvero poco praticato nella poesia contemporanea, con la frequentazione di strumenti retorici di chi sa bene come manovrarli, l’autore ci propone un’opera che si può decidere se amare o odiare (in quest’ultimo caso per nostra carenza di conoscenze, ovviamente) ma di certo non si può ignorare.
Alcuni testi da: Influssi (delle Metamorfosi e dei Mutamenti)
LA VOCE DA FUORI (appunti per un autoritratto)
Non sono soltanto misteri
le voci che a notte si levano,
echi sonori di voli,
non sono soltanto colori
le luci che scendono all’alba
(e il pieno del giorno le spegne)
per l’occhio che guarda,
per l’occhio che vede.
L’oste non tiene che entrino altri,
ha chiuso la cucina:
pensa alla donna svestita
e al bianco del letto che aspetta.
Violento rumore lo stoglie dai cocci,
e il vento, che mena una voce da fuori.
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Ultimo quarto di luna (FORTUNA)
E rubi da ogni viso un’impressione e un’essenza
(non fartene una colpa, non sono nessuno).
All’altro termine del gioco, va a lucciole, a frottole,
talvolta a mignotte, il cuore tradito,
confuso nelle ombre, si confonde per gli echi
e perfino dentro tutti gli specchi.
FORTUNAtamente:
l’amore balla bene, si concede i bis, i tris,
si concede una sosta, un tuffo
nell’oceano stregato dei tuoi seni:
questo è mordicchiare e rubacchiare
una carezza ancora incatenata.
Di nuovo sono tornate le sterne
sopra i nidi schiusi dei gabbiani.
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NOTTE (del nibbio, delle nuvole e dell’indifferenza)
Si parla con maggiore intimità
a luci basse o a lume spento,
allungando la veglia fino all’alba
in chiacchiere o in calde maldicenze.
Canti dell’anima con suono delicato,
come ombre severe fin sugli occhi,
dicono della vita che passa, del tempo che rimane,
più con dolcezza che per desolazione.
Si gioca con maggiore indifferenza,
le facce aguzze dal fumo e dalla fame;
e quando sonno e noia son quello che rimane,
un altro calice si colma, che l’ebbrezza duri.
La notte, passato che si spegne,
per come l’alba accende un medesimo futuro,
di ombre che frugano la mente, in giù,
di ghiaccio che sferza gli occhi, in sù,
verso la casa del nibbio e delle nuvole.
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ALTRI AMORI (la durata)
Ho, chiuso nelle mani,
un viso di fattezze nette e chiare,
di fiori accesi che mettono allegria,
ma facilmente li calpesta il bimbo,
che ha palloni di cuoio e giochi e sogni
nella testa e non distingue quel che sta per terra,
un viso di fattezze che conosco,
e mi somiglia,
come somiglio a quelli che ora amo,
un viso che, per quanto dura il giorno,
rischiara e illumina e splende e schiara e accende.
Ecco, così la vita ha giorni uguali
ai giorni del falchetto e della capinera,
di vento che fa librare l’ali,
di geli che coprono i germogli, di sole a picco,
di amori che non durano o che durano,
ecco che ad un variare degli inverni,
tutto riprende a vivere e a durare.
Anche il cuore è notte carica di voli,
che l’ali riconquistano e l’occhio esplora,
occhio guidato fin dove arriva il cielo.
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I TRENI (la testuggine)
Il mare è un urlo scuro, questa notte,
ed io non so che la schiuma
e l’onda sopra un’onda:
nessun amore a tenermi compagnia.
Molti dei limoni avranno rami spezzati
già domani; i tuoi occhi bucano da lato a lato
come una guerra, carichi di devastazioni,
vivi non per la vita ma per il terrore.
Avrò giorni d’angoscia da ricordare
e fogli che nessuno sa riempire,
avremo treni in partenza per ogni dove;
saremo, più che la testuggine, remoti.
Potevi chiedere tutto e quasi tutto avere
e non hai chiesto niente: ora non contare
sui miei pensieri; dopo ogni distruzione
torna anche più beffardo il sole.
Bologna, gennaio 2025
Cinzia Demi
P.S.:
“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani di Parigi. Altri contributi e autori pubblicati in precedenza qui: https://altritaliani.net/category/libri-e-letteratura/missione-poesia/