Claude Monet ha passato circa 3 mesi a inizio 1884 a Bordighera. Sulla Riviera Ligure ha dipinto 38 bellissimi quadri alla luce del Mediterraneo, una fase molto feconda nel suo lungo itinerario artistico. Con l’aiuto di una storica locale, appassionata di Monet, Silvia Alborno, il nostro Eraldo Mussa ha immaginato un’intervista di fantasia, ma basata su cronache reali, comprese le lettere che Monet scrisse alla moglie Alice rimasta a Giverny.
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Un caffè con Monet a Bordighera
Appuntamento rinviato più volte nel corso dei mesi. Era quasi arrivato il momento di lasciar perdere.
Poi, improvvisamente l’incontro è fissato. Appuntamento al bar Bastioni di Bordighera Alta con una studiosa di Monet.
Ci sediamo fuori, la giornata di dicembre è soleggiata e mite, entro a ordinare due caffè e una torta verde tagliata a metà.
Ritorno al tavolo, ma lei non c’è più e al suo posto c’è un uomo dall’aria sportiva, sguardo profondo, barba rossiccia, dolcevita nera, una sigaretta tra le dita.
Claude Monet, in persona.
Siamo a pochi metri dalla Pension Anglaise dove Monet ha soggiornato nei suoi quasi tre mesi passati a Bordighera a inizio 1884. Esattamente 140 anni fa.
Non inizia bene il dialogo, ma poi Monet si scioglie: domande dirette, quasi impertinenti, e risposte altrettanto informali e schiette.
A un certo punto il tempo è scaduto, e mi avverte: “mi scusi devo andare.”
Il tempo di entrare nel bar, pagare, uscire ed ecco che l’ospite si è dileguato.
Restano le sue risposte (e una tazzina di caffè vuota sul tavolino )
Questa è la cronaca puntuale dell’intervista.
1- Dunque siamo a fine 1883, lei vive a Giverny con Alice e 8 figli (6 figli di Alice Hoschedé più 2 suoi, totale 8). Non deve essere facile. Una bella famiglia “recomposée”, come si direbbe oggi. Ci dica la verità: è scappato a sud perché non ce la faceva più a stare a casa?
Deve sapere, cher Monsieur, che il 1883 è stato un anno meraviglioso e terribile per me… la morte di Manet, carissimo amico e icona per tutti noi, la vendita delle sue opere all’asta che mi ossessionava, la difficoltà del nuovo trasloco a Giverny, unito alla gioia di ripartire per una nuova vita con Alice, i suoi sei figli, i miei Jean e Michel. La claustrofobia durante il duro lavoro di decorazione degli interni dell’appartamento di rue de Rome, a Parigi, proprietà del nostro grande benefattore, Paul Durand-Ruel… Non ne potevamo più, Renoir e io.
Ed ecco che Auguste a novembre mi propone una “escapade” in Riviera, tra Francia e Italia, da l’Estaque a Genova.
A l’Estaque abbiamo ritrovato l’ami Paul Cézanne. Di me diceva – pensi – : “Monet non è che un occhio, ma che occhio”!
Tutta la costa in treno, il mare Mediterraneo, luci natura colori, angoli di meraviglia, per me assolutamente inediti, se lasciamo da parte il servizio militare in Algeria… Che esperienza!
Durante questo viaggio itinerante con Renoir, abbiamo fatto una sosta tra Monaco e Roquebrune, io ho dipinto una veduta di Roquebrune Village, seduto alla bella meglio su una roccia della Corniche di Montecarlo; Auguste invece si è rivolto verso ovest e ha dipinto Monaco da Roquebrune, da un sentiero di terra rossa accidentato, splendido, immerso nella macchia mediterranea.
Il mio primo viaggio di studio nel Mediterraneo è nato così, vede, da un’intuizione, o se preferisce da una sconvolgente impressione.
2- Perché sceglie proprio Bordighera? Per i colori, per la luce o perché era lontana a sufficienza da Parigi?
[un sospiro nostalgico] Non può immaginare a che punto sono rimasto colpito da quella luce invernale di dicembre e dagli effetti continuamente cangianti che trasformavano la natura nel loro incessante divenire, un paradiso terrestre, un concentrato di esotico splendore.
Avevamo da poco passato la frontiera con Renoir, per me un’emozione immensa, la prima volta in Italia. Scesi dal treno, una piccola, graziosa stazione sul mare, con alberi e vegetazione che non avevo mai visto.
Cerchiamo une auberge, una locanda, per mangiare qualcosa; la troviamo nel paese alto, mi trovo poi circondato da splendide palme e ulivi, un’impenetrabile foresta. Insomma, tantissime emozioni in pochissimo tempo, e io attento a non far trasparire nulla con Auguste: dovevo tornare lì, assolutamente, senza indugiare, ma solo.
Ho sempre lavorato meglio da solo seguendo le mie personali impressioni.
E forse sì avevo bisogno di un po’ di distanza da Parigi, ma sopratutto dalla vita cittadina, non certo dalla mia adorata Alice, anche se, lo confesso, non era stata felice di vedermi partire, così poco tempo dopo il nostro trasloco a Giverny.
Così, grazie all’amico gallerista Paul Durand-Ruel, a cui avevo comunicato la mia intima necessità di tornare subito a Bordighera, chiedendogli di mantenere l’assoluto segreto, riparto il 17 gennaio 1884, e ricordo di aver scritto, su un tavolino della gare de Lyon, due righe entusiastiche al preziosissimo Paul, le ricordo ancora a memoria: “Parto pieno di ardore, ho l’impressione che farò cose meravigliose”.
3- Risiede alla Pension Anglaise con quegli implacabili pittori e pittrici inglesi…in ogni angolo alle prese con gli acquarelli…Ma dipingeva con loro? E Arthur Burrington? E Bordighera era davvero un set a cielo aperto ?
La Pension anglaise, che ricordi…
Il nome in francese e solo pittori inglesi alla “table d’hôte”, fatta eccezione per mamma e figlia americane (ma non facciamoci sentire, Alice era gelosissima della giovane, dopo che l’avevo descritta in una lettera con il suo incredibile cappello rosso stile Rembrandt…).
Si, forse ce n’era uno di nome Arthur, devo avergli anche fatto un ritratto, l’unico di quell’incredibile viaggio…
Poi c’erano quelle due simpatiche signorine, sempre inglesi, due irriducibili zitelle! Pensi che avevano fatto tutta la costa a piedi per arrivare qui, voglio dire…a Bordighera, e poi avrebbero proseguito ancora, che tempra!
E la proprietaria della pensione, instancabile, cucinava benissimo, forse un po’ troppo chiacchierona per i miei gusti; ma sono stato fortunato a trovare posto lì, non era caro e sopratutto non c’erano ospiti tedeschi intorno a me, come avevo invece trovato nel primo albergo; non ci sarei rimasto a nessun prezzo, il souvenir della guerra del ‘70 e del mio esilio a Londra con Pissarro ancora troppo bruciante… anche se è proprio lì che abbiamo conosciuto Turner, Whistler, il gallerista Durand-Ruel e soprattutto il Tamigi, e le luci nella nebbia, niente a che vedere con quella luce e quella natura del Mediterraneo, ma che fonte d’ispirazione!
Riguardo l’ultima parte della sua domanda, mi scusi, ma non intendo bene quella parola, “set”.
4- Parliamo allora del giardino Moreno, chiamiamolo finalmente parco che occupava mezza Bordighera… Non abbiamo esagerato con il vantare la luce di Bordighera? Non sarebbe stato meglio una luce più diffusa… e le palme, i limoni, i mandarini, che monotonia… Cosa le piaceva così tanto di questo giardino? E che cosa, invece, detestava?
Detestare? È stato un amore a prima vista, sono rimasto incantato e Francesco Moreno è stato un ospite fantastico, il suo giardino il regno della meraviglia. Ero ossessionato da quei soggetti.
Lei parla di monotonia….?!
Palme di ogni tipo, agrumi, fiori, piante esotiche, il blu degli ulivi, il rosa del cielo e dei riflessi… Volevo fare tutto e lavoravo su sei tele contemporaneamente, ero immerso nei diamanti e nelle pietre preziose…mi sentivo piccolo, impotente davanti a quegli effetti che mutavano continuamente intorno a me, circondato da quella luce che trasformava tutto.
Volevo afferrare l’attimo e renderlo immortale. Ci ho provato…
Ecco, se devo trovare qualcosa da detestare, erano le giornate di maltempo, quelle in cui ero costretto a stare nella mia camera, a guardare e riguardare le mie tele, come un leone in gabbia…e i cambiamenti atmosferici repentini che mi impedivano di cogliere l’effetto…, quelli sì mi facevano dannare.
5- E a Bordighera come si spostava … Ci racconti un aneddoto?
Ho esplorato a piedi ogni sentiero i primi giorni, alla ricerca di motifs e punti di vista, e la cosa incredibile è che qui ho dovuto voltare le spalle al mare, all’acqua, il mio elemento predileto… Ma qui, c’erano le palme, gli ulivi, gli agrumi come tanti piccoli soli…e da lì i miei rosa e i miei blu. Natura, luce, sole, colori, tutti intricati tra loro. Tele e pennelli non bastavano mai, pensi che li facevo arrivare da Torino… È la sua città, cher Monsieur, se non sbaglio?
Le racconto ancora questo: quando sono andato a febbraio a Dolceacqua, nell’entroterra ligure, la prima volta ero con i pittori inglesi che mi avevano invitato in una giornata di maltempo, e abbiamo viaggiato in carrozza: che paesaggi, che montagne imponenti!
Arrivati nel paese una scoperta straordinaria: un borgo medievale sulla riva del fiume Nervia sovrastato da un imponente castello con un ponte à dos d’âne – a dorso d’asino – che…non so definirlo meglio se non un bijou di leggerezza.
Naturalmente sono tornato da solo, in una giornata di forte vento sul mare per dipingere quegli splendidi soggetti, lì ero al sole e protetto dal vento; mi ricordo ancora le facce che fecero i pittori inglesi al mio ritorno: hanno strabuzzato gli occhi, non credevano che avessi potuto dipingere quelle tele in una sola seduta.
Enfin, c’era un ragazzo, un tale Mario Battista, che mi accompagnava sempre con il suo mulo, per aiutarmi con tele, cavalletti, pennelli e colori, era di Bordighera e, incomprensibilmente, era totalmente affascinato dal mio modo di dipingere, e da allora ha voluto imparare a disegnare…, gli ho perfino regalato un po’ di carta e una matita.
6- Quanti quadri ha dipinto durante questo periodo e qual è in suo preferito? Certo che non lasciarne nessuno qui in città è stato un peccato… ci avrebbe cambiato la vita.
Sa, in quegli anni facevo ancora fatica, con una grande famiglia da mantenere, potevo contare solo sul finanziamento di Paul Durand-Ruel, lui era senz’altro molto generoso, ma faceva ciò che poteva, non aiutava solo me ma anche Auguste Renoir, Camille Pissarro, fra gli altri…
Tutto ciò che facevo non era mio, era suo, anche se qualcosa sono riuscito a tenere per me, come ricordo di quel viaggio meravigliante.
Prima che tutte le mie tele partissero per gli Stati Uniti – lo sa che gli americani sono stati i primi a capire e ad apprezzare l’arte così chiamata “impressionista”?-
Un peccato non essere riuscito a vedere tutti quei quadri liguri insieme in una mostra, almeno una volta, dopo tutti gli sforzi fatti. Ho rimproverato Paul per questo…ma doveva venderli…C’est la vie!
Ma non le ho risposto, se ricordo bene erano trentotto le tele che con fatica ho fatto passare alla dogana italo francese quei primi di aprile del 1884, di cui circa 4 o 5 di Dolceacqua e la valle del Nervia, due vedute vicino a Ventimiglia, per il resto, la mia Bordighera, con la Valle del Sasso, Valle Buona, il giardino Moreno, qualche veduta del borgo dalla collina dei Mostaccini con una striscia di mare sullo sfondo.
Il mio preferito…dovrei forse dire i miei? La serie della valle del Sasso, il motivo che mi ha più meravigliato e più mi ha fatto dannare…quella luce…quella natura, la scoperta della procedura seriale nel mio modo di dipingere.
E poi, il ritratto straripante di energia e di colori di una sola palma…e un altro ritratto di un olivo solitario, contorto, immerso in sé stesso, ulivo blu… Forse erano miei autoritratti?
7- Lo sa che i suoi quadri di Bordighera sono in tanti luoghi del mondo, in musei e collezioni private? Lo sa che nessuno come lei ha fatto conoscere Bordighera nel mondo?
Che siano in tutto il mondo mi rattrista sempre un po’… Come le ho già detto, in quel 1884 Durand-Ruel era in crisi finanziaria, quindi ha colto l’opportunità del mercato statunitense che stava emergendo et voilà…i miei quadri liguri sono salpati oltreoceano, a cercar fortuna…e ne hanno trovata tanta!
Una delle mie più belle vedute delle palme di Bordighera è al Metropolitan di New York, Bordighera Alta è all’Art Institute di Chicago, Valle Buona, si figuri, è finita in Texas, in un museo di Dallas; le mie Villas à Bordighera in California, a Los Angeles, e per fortuna una a Paris, al museo della gare d’Orsay.
Il “suo » amico Arthur Burrington, pensi un po’, si trova a Tel Aviv. Per non parlare del mio giardino di limoni in un museo di Copenhagen e la veduta di Ventimiglia finita a Edimburgo, in Scozia…e potrei continuare ma non voglio tediarla.
Per fortuna, dopo il lascito di mio figlio Michel, uno dei miei quadri del cuore, “La vallée de Sasso”, è rimasto a Parigi, al Museo Marmottan, insieme al castello di Dolceacqua.
La valle di Sasso, che fa parte di una delle mie prime sperimentazioni della procedura seriale, l’hanno messa proprio vicino a “Impression du soleil levant”, il quadro del porto di Le Havre immerso nella nebbia soffusa dal pallino sanguigno del sole che guida un minuscolo peschereccio sulla sua scia: il quadro emblema dello scandalo e di quella che qualcuno chiamerà “rivoluzione impressionista”.
8- Infine, facciamo un bilancio di questo viaggio sulla costa di questa Riviera?
Intanto sono infinitamente grato al Sig. Moreno, che mi ha dato l’autorizzazione a entrare e lavorare nel suo giardino meraviglioso. Ne aveva chiuso le porte dopo che alcuni visitatori avevano strappato dei fiori rari. Questo giardino era inserito nelle guide europee più prestigiose.
Francesco Moreno, un vero Marquis de Carabas…mi ha portato al carnevale di Nizza, a Montecarlo, a un concerto al casinò di Ospedaletti, mi ha fatto conoscere la sua proprietà di Stampino, ad Andora, dove ho potuto ammirare un favoloso ponte giapponese di cui se vuole, Monsieur, può andare a ritrovarne la copia nel nostro giardino a Giverny, proprio sopra le bassin des nymphéas, sotto i miei amati salici piangenti.
Un bilancio mi chiede…come le ho detto, la mia più grande tristezza in quel 1884 è stato veder partire subito i miei quadri liguri, in particolare di Bordighera, avrei tanto voluto vederli esposti insieme.
Però ho avuto una consolazione: ho saputo che alla fine del vostro ventesimo secolo, il pro-pronipote del mio carissimo amico Camille, un tale Joachim Pissarro, anche lui amante della nostra arte ma anche di quella – strana – dei vostri giorni, ha realizzato un’incredibile mostra in un piccolo museo straordinario in Texas, si figuri lei… Monet in Texas!
Il titolo della mostra era “Monet et la Méditerranée” e il nipote di Camille è riuscito a mettere insieme più di cento opere dei miei tre viaggi nel Mediterraneo: a Bordighera, 1884; ad Antibes, 1888; a Venezia, con la mia Alice, l’ultimo viaggio insieme prima della sua morte, nel 1908… Impresa straordinaria.
Ora la devo lasciare, ma voglio lasciarla con le parole di una lettera che ho scritto il 25 marzo 1884, da Bordighera, alla fine del mio viaggio. In questa lettera è riassunta la risposta alla sua domanda, parole vere e sentite:
Bordighera, 25 marzo 1884
“…Non so se ciò che ho fatto è buono, non so più nulla, ho lavorato tanto, fatto tanti sforzi, che ne sono abbrutito.
Se ne avessi la possibilità, vorrei cancellare tutto e ricominciare, perché bisogna vivere per un certo tempo in un paese per dipingerlo, bisogna averci lavorato con pena per arrivare a renderlo in modo sicuro; ma potremo mai essere soddisfatti di fronte alla natura, e soprattutto qui.
Circondato da questa luce abbagliante, trovo la mia tavolozza ben modesta; l’Arte vorrebbe tonnellate d’oro e di diamanti. Infine, ho fatto ciò che ho potuto.
Forse, una volta rientrato a casa, quello che ho fatto mi ricorderà un po’ ciò che ho visto.”
Claude Monet
A cura di Eraldo Mussa
P.S. Grazie a Silvia Alborno per essersi prestata a impersonare Claude Monet.
Insegnante di francese e appassionata studiosa locale, ha curato nel 1998 la mostra Monet a Bordighera con Joachim Pissarro e Elizabeth W. Easton. Ha curato inoltre il libro “Parole a colori”, con le lettere di Monet da Bordighera e con Carmen Ramò ha scritto la guida letteraria “Il telegrafista di Margherita”, che racconta gli ultimi dieci anni della regina a Bordighera. Collabora alla realizzazione di documentari sulla Liguria di Ponente, tra cui recentemente “Palme e mimose” per RAI 3.