In questo lavoro “Frammenti di nobili cose” (Passigli editori, 2023), vincitore quest’anno dei Premi Flaiano Poesia, Massimo Morasso ricerca un corpus articolato ma unitario, donando ai suoi lettori una parola ricca di echi di grandi maestri, rielaborati con la propria esperienza e sensibilità: autenticità potrebbe essere la parola d’ordine per definire la cifra stilistica dell’autore, ancora una volta attento a calibrare letteratura e senso del reale.
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Massimo Morasso (Genova, 1964) ha scritto il vasto ciclo poetico de Il portavoce (in più raccolte con L’Obliquo 1997 e 2000, Raffaelli 2010, Jaca Book 2012 e Algra 2023) e altri tre libri di versi: Le poesie di Vivien Leigh (Marietti, 2005), L’opera in rosso (Passigli, 2016) e American Dreams (Interno Poesia, 2019). È autore della Carta per la Terra e per l’Uomo (2001), un manifesto di etica ambientale firmato anche da cinque premi Nobel per la Letteratura e sette premi Pulitzer per la Poesia. Come studioso ha pubblicato libri su Cristina Campo, William Congdon, Walter Benjamin e Rainer Maria Rilke, l’ampio zibaldone Il mondo senza Benjamin (Moretti & Vitali, 2014) e alcuni testi di meditazione fra letteratura, estetica e teologia.
Diversi i riconoscimenti ottenuti, tra i quali il Premio Gozzano (2017) e il Premio Catullo (2018) dell’Accademia Mondiale della Poesia dell’UNESCO.
Di grande rilievo è anche la sua opera di traduttore, dal tedesco e dall’inglese, che comprende autori come W.B. Yeats, Yvan Goll ed Ernst Meister.
Per approfondimenti sulla poetica di Massimo Morasso, scritti in precedenza dall’autrice, vedere ai seguenti link:
https://altritaliani.net/massimo-morasso-il-poeta-e-un-anarca/
https://www.carteggiletterari.it/2017/03/19/cinzia-demi-su-lopera-in-rosso-di-massimo-morasso/
Frammenti di nobili cose
Mi sono approcciata a questo nuovo libro di Massimo Morasso del quale, come si vede dai link che ho inserito in questo articolo, ho esaminato più volte l’evoluzione poetica, mi sono approcciata, dicevo, con una modalità di ascolto particolare in quanto mi ha incuriosito una frase che l’autore mi ha detto in un’occasione in cui ci siamo sentiti: “questo probabilmente è il mio ultimo libro di poesia”. Ora, considerata l’età di Morasso, a nessuno verrebbe mai in mente di pensare che egli possa aver esaurito i contenuti della sua poetica, che decida di attaccare “la penna al chiodo”, che non riesca più a vedere nelle sue esperienze di vita anche un’esperienza di poesia eppure, questa frase, l’ha detta e, a meno che non si tratti di un’affermazione estemporanea dovuta a un momento di debolezza rispetto al “sentire le cose”, ritengo che Frammenti di nobili cose vada indagato nella sua complessità in maniera approfondita.
La dimensione che mi ha sempre colpito molto del lavoro di Morasso sulla poesia, riguarda la sua esplicita volontà di far intravedere, più o meno chiaramente, da dove deriva la sua formazione poetica, di nominare i suoi maestri, di non nascondersi dietro a falsi miti ma, al contrario, di dare dimostrazione reale del valore che egli riconosce a quanti ha incontrato nel suo cammino, a coloro che hanno contribuito a fargli costruire, mattone su mattone, la poesia che oggi leggiamo e la visione che ne fa parte.
Partendo già dal titolo, e come dall’autore spiegato nella nota finale, nella raccolta riecheggia in antifrasi Francesco Petrarca mentre i testi brevi e liberi, rimandano a un parlare per frammenti che da Novalis a Rilke viene introdotto nella poesia contemporanea, tornando in Cristina Campo piuttosto che in Mario Luzi, dei quali si affacciano anche molti dei contenti trattati, cosa riferibile anche a Caproni o a Montale.
Cinque le partiture del libro – Geopatia, Nel sapere della distanza, Diarietto Metafisico, Didascalie e discanti, Spine – per un’opera che è un continuo indagare sul mistero interiore, sulla propria coscienza che porta simultaneamente a interrogarsi su ciò che invece sta fuori di essa, il cui transfert è propriamente la poesia: una poesia che si riserva di poter aderire in maniera analoga a ciò che l’indagine approfondisce sia che si tratti di questioni materiali che spirituali, forse più forti e più presenti le seconde rispetto alle prime, grazie anche a quella voluta intercessione evocativa di un Dio che rasenta l’assoluto, di un infinito che raccoglie il verbo cristiano e il “dittare” dantesco, la profondità leopardiana e gli ineguagliabili fenomeni della natura portatori, anch’essi, di una volontà divina e, ancora, alla presenza di una lingua che molto contiene del lessico religioso, e che in certi spazi rasenta le metamorfosi del mistero, rigenerandosi addirittura in esso per andare oltre il quotidiano.
Forse sta proprio in questa dimensione spirituale, sempre presente nella poesia di Morasso, ma qui maggiormente che in altre opere, la possibilità di conferire un’aurea esistenziale alla direzione voluta dall’autore, di indicare come una soglia, un liminare sul quale affacciarsi, ma soprattutto meditare, un’intuizione che riesca a farci comprendere quali siano le cose davvero necessarie, e da conservare, durante l’inventario dei frammenti che si affollano nel pensiero, e attraverso quel linguaggio che desidera possibilmente nobilitarli. Per farlo c’è bisogno di trovare uno spazio e un tempo che li unisca in un tutt’uno significativo, che crei un punto d’arrivo tra le varie sfaccettature dell’anima e della filosofia poetica dell’autore, che in un rapporto di tensione e ricerca continua, unita all’esperienza, giunga a rasentare quelle vette di eccellenza che si rapportano anche con i luoghi fisici e luminosi proposti da Morasso nei suoi versi: Genova in primis ma anche le Valli Maira e Sarentino.
La riflessione che più mi sembra aderente alle intenzioni di quest’opera e del suo autore è tuttavia quella che afferisce alla volontà di esprimersi con la “parola poetica”, l’unica che possa fare da tramite tra scrittura e reale, tra estetica e etica, tra pensiero e lingua, l’unica che consenta davvero di insinuarsi tra le pieghe dei fatti o delle vicende e rappresentare al meglio i sentimenti e i risvolti psicologici del protagonista o dei protagonisti, anche attraverso la modalità del frammento che, pur andando incontro, forse, a una semplificazione dell’espressione – che non vuol dire semplicità – per rendere temi complessi più comprensibili tende, al tempo stesso, a conciliare lo stile con l’interiorità del poeta, con la sua radice più intima e profonda, rasentando il rapporto egualitario tra esistenza e scrittura. Ed è, infine, proprio qui che trova ragione di poter essere compresa quella frase riportata all’inizio, quella sulla probabilità di essere di fronte ad un ultimo libro di Morasso che, andando incontro ad un’età matura, si prefigge il compito di generare questa equivalenza, questa connessione: scrivere ed esistere diventano le due facce di una stessa medaglia, è questo il traguardo più ambito da un poeta, e non è da tutti raggiungerlo.
Alcuni testi da: Frammenti di nobili cose
Per anni, in cerca di sollievo,
ho tratto dai ricordi le parole,
ma adesso il mio paesaggio si è invertito.
Ora ho levato
il mondo e
vivo solo negli anfratti
meno esposti del reale:
sono una nostalgia celeste
ardentemente arresa al suo delirio.
*
C’è in questa materia
che geme e stride
un vuoto un’attesa
un dipendere da Dio
c’è in questo viaggio
una certa dose di spirito
che unifica stringe
tutto con tutto
anche l’idea della fine.
*
Dico, un
amico che è lontano. Uno che
poeta lo è stato per davvero –
uno che anche adesso lo è,
e lo resta per sempre.
Comprendimi. Non intendo
Un cembalo squillante
Come tanti, ma un uomo
simile a una foglia
quando il vento l’incalza,
un essere che trema
perché è vivo,
e quando trema e si raccoglie
parla, perché è bello –
perché, fra noi, chi deve farlo, fa così.
*
È l’avvento di marzo, l’inverno
sta passando, l’inverno muoia pure lui.
Invece di uscire mi rintano
nel profondo, provo a sentire
se per davvero parla, cosa dice.
Gli occhi non vedono, le orecchie
non afferrano, e sta finendo il vino.
È la mia mano spalancata nell’
altrove.
Tento di dare voce alla scintilla
dell’eterno che mi abita nel tempo.
*
Preda del tempo
Guardando a me dal di fuori
mi osservo preda del tempo
preda al laccio di spazi
stranamente scempiati
guardando dentro lo strazio
con l’occhio dei miei morti
taccio sfatto d’amore
incredulo m’aggiro
tra i ricordi e l’oblio
di tutti i miei sogni.
Bologna, ottobre 2024
Cinzia Demi
P.S.:
“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani di Parigi. Altri contributi e autori qui: https://altritaliani.net/category/libri-e-letteratura/missione-poesia/