Domani vado a Napoli. Lascio Parigi per dieci giorni e rivedo Mergellina, il lungomare. Il mare. Quando torno a Napoli è sempre un’emozione. Come un’estate fa. Vagavo nella calura alla ricerca della mia infanzia smarrita tra Monte di Dio, i Quartieri (Il monte Echia), Piazza Plebiscito e il Largo Carolina, tra turisti lenti e cittadini indaffarati, di corsa anche se poi qui non c’è molto da fare. E qui più che la velocità conta la pazienza.
Lasciata la strada della mia infanzia (via Giovanni Nicotera…il meglio noto Ponte di Chiaia), dove ricordo antiche e nobili case abitate da noi e dai topi, per fortuna non grandi, ma che ad ogni comparsata facevano sobbalzare le mie sorelle (una volta in due saltarono in piedi sulla stessa sedia) tanto che papà fu costretto a prendere un feroce gatto che per noi fu un liberatore, ero giunto a via Gennaro Serra e di là alla via Egeziaca a Pizzofalcone, la strada della mia cattolicissima zia Emilietta, dove da bambino mi recavo a volte anche per dormire.
Rivedo volti nuovi, qualcuno è rimasto. Peppino ad esempio il fruttivendolo con tre dita ad una mano da quando un disgraziato fuoco d’artificio (un tric trac) gli esplose male, rendendogli disgraziato anche l’inizio d’anno. Pur essendo credente, ed avendo il negozio, un buco nel muro, accanto alla chiesa dei Missionari, nessun miracolo gli ha fatto mai ricrescere le dita. Del resto lo diceva anche Troisi che nei miracoli uno torna a camminare, riacquista la vista, ma non si è mai visto qualcuno a cui gli si ricrescono braccia, mani o gambe. Mistero della fede.
Era una bellissima giornata calda e trasparente, vedevo i bassi di sempre lungo la via di mia zia che incrocia con un reticolo di vicoli (e’ vichi, come li chiamano li), ma le persone non erano più le stesse. C’erano un sacco di malesi, africani, cinesi e poi anche dei napoletani, grassi e malvissuti che continuavano come un tempo a circolare per la strada come per casa. A fare “il gioco piccolo, ‘o juoco piccolo”, la piccola tombola o, se preferite, il piccolo lotto, tutto privato ed interno alla strada. Un tizio ghignando annunzia clamorosamente il vincitore dell’estrazione. Lo fa, uscendo dal bar informatore, ancora con la tazzina in mano, cosi, distrattamente…
E al gioco partecipano tutti: napoletani e neonapoletani. Sorrido vedendo un cingalese accalorarsi e sbracciarsi e che con accento partenopeo, si rammarica di non essere il vincitore.
Poi al centro della strada poco prima o poco dopo i Missionari, la pasticceria delle “signorine”. Le signorine erano attempate signore quando io avevo i calzoni corti. Ora sono nel purgatorio del cimitero vecchio. Al loro posto delle “signorine” nuove e cortesi come le loro zie che ogni domenica volevano convincermi, sotto gli occhi di papà, a scegliere tra le pastarelle, la “deliziosa” (due biscotti farciti di una crema al burro), ma non mi convinsero mai.
Sbircio i “bassi”, sono lindi come sempre. La strada no, ma le case tutte, sono sempre pulite e profumate anche quando sono modeste cosi. Sbircio i bassi e ci vedo tutta la nostra confusione di simboli, madonne attaccate agli specchi, cuori di Gesù e al disopra stemperati manifesti di San Diego Maradona. Cornini appesi, televisori avanzatissimi, tecnologicamente delle sorte di cinema su misura, gli sterei fiammanti che spandono canzoni neomelodiche come “Serenata a ‘o cellulare”. Un misto di arcaico e futuribile. Simboli di ricchezza ed abbigliamenti da bancarella anche mal fornita.
Ad un certo punto, sempre vagando senza meta tra i vicoli, sono colpito nei sensi. Il caldo sembra finito. Nelle strettoie della strada mal pavimentata tra lo sgocciolio dei panni stesi e l’ombra perenne avverto una frescura che fa sollevare lietamente i peli delle mie braccia. “Che frescura” mi dico più volte. E che silenzio. Il cielo sembra scivolare immobile sui palazzi, formando rettangoli di blu.
Ad un tratto qualcosa di antico penetra le mie narici. Un odore denso di ragù. L’odore che popolava (ma forse popola ancora) tutte le case della mia infanzia, della mia giovinezza. Un odore che aleggia invisibile ed immemore, come il canto di una giovane madre che rompe questo silenzio. Si direbbe una ninna nanna, ma non sento bambini piangere.
Ma dov’è? Da dove viene? Penso al pianoforte di notte del poeta Di Giacomo che sentiva sospirare la musica segreta e misteriosa per il suo vicolo.
Mi sforzo di seguire il canto, ma viene e non viene, a volte mi sembra vicino e poi scompare malizioso e seducente, una “bella mbriana” fatata. Forse è di là? o per il Calascione stretto e oscuro? forse è più sopra verso i “Quartieri”? Mi arrendo. In fondo è cosi Napoli, una voce che si spande vanamente.
Ridiscendo Gennaro Serra, entro a Piazza Plebiscito, esempio di un ordine da teatro. La sua chiesa che evoca San Pietro, di fronte il Palazzo reale e ai lati altri due simboli del potere: Palazzo Salerno, simbolo della potenza militare, e la Prefettura, il potere politico. In mezzo, il nulla.
La piazza non è più come una volta quando era un immenso parcheggio a cielo aperto. Ora tra i colombi e qualche sperduto gabbiano ci gira solitario qualche turista ed il campo è pressoché libero, ma se si vuole confusione basta fare solo qualche metro e spingersi a via Toledo (ex via Roma) per ritrovare l’assordante suono del mondo e perdersi in nuovi labirinti, in nuove avventure nel tempo.
Nicola Guarino
Napoli per noi.
Narrare Napoli, per noi napoletani , è impresa solo apparentemente semplice.
Ogni volta che ci apprestiamo ad evocarne una rappresentazione, siamo perda di una forza magica che, come un antico sortilegio, non ci consente di vedere la nostra città se non attraverso la lente deformante di un sentimento pregno di nostalgia e di velata malinconia che, non poche volte, si schiude in una evasione elegiaca.
Si tratta di una distorsione percettiva che affonda le sue radici in un coacervo di componenti storiche e, forse esistenziali, che concorrono tutte alla creazione di quel mito al cui fascino non possiamo,o forse non vogliamo, sottrarci. E’ quello di una » napoletanità » che assume una connotazione antropologica non condivisa da altre realtà del nostro Paese ( avete mai sentito parlare di » milanesità » o di » palermitanità ? ).
E’ questa una singolare dimensione dello spirito che ci fa vedere la nostra città con gli occhi di un bambino, sempre pronti a provare meraviglia e fascinazione per il carosello di immagini caleidoscopiche,oppure per il vociare incessante ,ovvero per il trionfo di sapori voluttuosamente irripetibili nella loro unicità, che impressionano i nostri sensi. Ma parimenti, colti da struggente malinconia, ci abbandoniamo al flusso dei ricordi magicamente evocati da uno scorcio di strada malconcia, dal profumo penetrante di fiori d’arancio che furtivo si diffonde nell’aria da un uscio rinnovandoci il ricordo dell’inimitabile pastiera di Mammà, o l’aroma corroborante del caffé che lì, a due passi da te, gorgoglia impaziente in una » napoletana ».
La città, così, non è più un luogo geografico, un punto su una mappa, ma si apre in una dimensione dello spirito nostalgica di una ( presunta ) « armonia perduta » nel tempo della sua storia feroce.
E’ la ricerca, patetica talora,seppure irrinunciabile, di quelle radici, di quel balsamo dell’anima, che possa esorcizzare, o quanto meno lenire, il malessere del vivere metropolitano in un » Paradiso abitato da diavoli « .
Napoli per noi.
mi piacerebbe conoscere tanti napoletani come lei. ma dove sono ? In pochi riescono a lottare contro i preconcetti, a dichiarare il loro amore, la loro nostalgia, senza doversi difendere e dover difendere. è sfibrante ripetere le stesse cose ad orecchie scettiche, incredule. allora ogni tanto fa bene immergersi in un po’ di dolcezza, senza che la triste parola « gomorra » venga fuori a sfregiare la poesia.
Napoli per noi.
Davvero emozionante e poetica (forse fin troppo) questa descrizione della nostra Napoli. Di sicuro riporta alla mente scene di un passato neanche estremamente lontano al quale nessuno di noi napoletani può rinunciare. Grazie.
Napoli per noi.
Grazie per questa magnifica passeggiata che, letta da Parigi, mi stimola ad organizzare un viaggio per rivedere la nostra bella Napoli!
Buone vacanze!
Napoli per noi.
Uno stile seducente, buttato via a tratti acuti e melanconici. Non sono riuscita a mollare fine alla fine. Mi rimane un impressione di tristezza vaga e rassegnata, di ricordi perduti per sempre.
Bravo Nicola.