Una fulminea notizia ci raggiunge, la morte avvenuta ieri di Giorgio Bárberi Squarotti, il lettore più autorevole ed appassionato della poesia di Giovanni Pascoli. Nato nel settembre del 1929 a Torino, presso la cui università ha insegnato Letteratura italiana dal 1967 al ’99, aveva studiato soprattutto i simboli della poesia pascoliana ed aveva individuato la struttura profonda del suo sogno poetico. La poesia del ‘nido’, aveva detto il critico.
Ed in effetti i voli, i gridi che abitano la poesia pascoliana hanno precise reminiscenze freudiane, rimandano all’infanzia del poeta che aveva avuto distrutto il ‘nido’. Dalla morte del padre.
In La cavalla storna e soprattutto in x Agosto, con il pianto delle stelle sul male del mondo e poi ancora in La quercia caduta con la capinera che piange sul nido che non trova più, è un susseguirsi di momenti di tenerezza infinita e di emozioni del cuore, il monello giocondo di cui parlerà poi Gozzano che puo’ ben dirsi discepolo di Pascoli.
La parola chiave è nido e li’ si ritrova e si unisce la particolare musicalità della poesia pascoliana con le onomatopee e le sinestesie.
Don … Don … E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra …
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era …
sentivo mia madre … poi nulla …
sul far della sera.
(da La mia sera)
Non si tratta, aveva ragione Barberi Squarotti, di vena georgica, virgiliana, bensi’ di qualcosa di profondo, personale a cui il poeta attinge.
La vita vista dalla sua conclusione.
Crepuscolare è stato definito Pascoli ma impropriamente.
L’altro grande tema che il critico ha colto perfettamente è quello di
Il Gelsomino notturno dove il linguaggio simbolico dei fiori che sbocciano a sera, del profumo che si spande per i versi, si eleva a simbolo erotico.
Barberi Squarotti vedeva Pascoli a conclusione della lunga tradizione lirica italiana, una linea che va da Petrarca a Leopardi e che continua nella musica e nel simbolo,una lezione messa in ombra dalla roboante poesia carducciana. Carducci si era definito il vate d’Italia come farà poi D’Annunzio.
Pascoli continua in una dimensione umbratile ma estremamente poetica la linea di Petrarca che aveva cantato il rosignolo che si’ soave piange e di Leopardi il cantore del passero solitario che va cantando alla campagna, il poeta della ginestra che allieta le rovine, l’unico fiore che riesce a crescere là dove c’è distruzione e morte.
Il fiore appunto con accento simbolico della poesia.
Carmelina Sicari