La festa di compleanno in una famiglia apparentemente felice, si trasforma in un giorno di tragedia. Il film del regista greco Alexandro Avranas, uscito di recente nelle sale cinematografiche italiane, appare di stringente attualità con gli avvenimenti della cronoca italiana di questi giorni sulle bambine romane che si prostituiscono, anche per una semplice ricarica telefonica o per una dose di cocaina, imitando i modelli consumistici di oggi. Storia del vuoto etico del terzo millennio di cui il film si fa’ interprete.
Le tragica attualità ci parla di ragazzine che vendono il proprio corpo, che si lasciano sfruttare (o che sfruttano) e che, talvolta, decidono di farla finita. Una cronaca quotidiana che sgomenta e che, appena dopo un po’, si lascia cadere e quasi dimenticare, come altre notizie qualsiasi.
Il Cinema le ha raccontate e messe in mostra, a Venezia lo scorso settembre, con un distacco formale, anticipando (come fa da sempre) quella cronaca che poi si nasconderà nell’oblio, nonostante la drammaticità degli eventi. Bambine sfruttate, “orchi” in famiglia, incesti e prostituzione a buon mercato: “Miss violence” è il film greco che aveva sconvolto critica e pubblico. E’ pure uscito in Italia a fine ottobre, ma purtroppo senza clamore alcuno.
Certo che premiare con il Leone d’argento il film del giovane Alexandros Avranas e nel contempo miglior attore lo stesso protagonista Themis Panou, è stato un atto di coraggio rilevante verso un film che potrà pur avere difficoltà di accettazione da parte del pubblico.
Ma cosa ha ispirato questa storia di tragedia familiare? “Ci siamo ispirati – spiegava il regista, – a una storia realmente accaduta in Germania, persino peggiore di quella raccontata nel mio film”.
Il ritmo e la consistenza di questo film dalle tinte “dark” sono dettati da piani-sequenza nitidi e ben appropriati ad un contesto di lucida e mai apparente follia. La violenza di cui si nutre lo stile di Avranas (che è anche scultore e pittore, cineasta di scuola Haneke) è di quelli stillati pian piano. Che qualcosa non rientri nella normalità di una festa di compleanno, lo si apprende dalle prime sequenze, dal sorriso liberatorio di Angeliki, che dopo aver spento le candeline per il suo undicesimo compleanno, con un sorriso sornione si getta dal terrazzo.
Non solo gli assistenti sociali (nel film) cercano di analizzare il fenomeno e l’elaborazione del lutto in famiglia, ma è lo spettatore (negli intenti del regista greco), “l’assistente sociale” vero che cercherà di discernere nell’intimo quella strana famiglia, di carpirne segreti anche minimi, ma che non si accorge di quanta miseria umana perduri nelle stanze lussuose di quell’appartamento borghese in una Grecia in crisi sommaria; in quell’ambiente claustrofobico ed opulento dove non si esce mai di casa. Tanti silenzi che gridano più di un urlo; attori eccellenti tanto da imprimere un raccapricciante realismo. La musica è assente, sembrerebbe un ingombro, ma è solo introdotta da una canzone di Leonard Cohen “Dance to the End of Love”.
In conferenza stampa azzardammo al regista se il film potesse rappresentare una metafora della difficilissima situazione in Grecia, dove l’”orco” del film è il potere economico del capitale mondiale che detta ogni legge, stuprando i deboli (nel film la famiglia: moglie figlia, adolescenti), e alla fine una ribellione a porte chiuse culminata come in una tragedia greca, quale momento di rivalsa e riappropriazione della identità civile. Una metafora appunto, cui il regista (per diplomazia) ha sottaciuto, aggiungendo: “Non vedo al momento in patria personalità in grado di fare “rivoluzioni”.
Eppure questo film, a suo modo, nella sua tragica nitidezza, mette a soqquadro e, come una rivoluzione, è un pugno nello stomaco, verso una quotidianità che tutto assorbe. Persino la violenza ai minori.
Armando Lostaglio