“REGESTO”, raccolta poetica di un trentennale lavoro sulla poesia di Massimo Scrignòli, è un libro da leggere e da frequentare, dove è scritta oltre alla storia della poetica personale dell’autore anche buona parte della storia poetica e letteraria italiana ma, oserei dire, anche europea. Impossibile non conoscerlo e non apprezzarlo, come viatico di segnati percorsi interpretativi del nostro vissuto culturale.
Massimo Scrignòli, bolognese di adozione, vive in provincia di Ferrara. Nel corso di un trentennio di dialogo e collaborazione con i piú importanti critici e poeti italiani del secondo Novecento, ha pubblicato diversi volumi di poesia: dal sorprendente esordio di Notiziario tendenzioso (1979) a Vista sull’Angelo (2009). Ha collaborato con pittori di fama internazionale come Baj, Chia, Benati, Pozzati, Bonalumi. Da molti anni svolge un’intensa attività nel campo dell’editoria, curando e coordinando collane di poesia, critica letteraria, filosofia; sue sono la versione e l’introduzione critica di Relazione per un’accademia e altri racconti di Franz Kafka (1997). Già Finalista per la poesia al Premio “Viareggio”, ha ricevuto diversi e importanti riconoscimenti letterari.
Tutte le sue poesie sono raccolte nel volume Regesto (Book Editore, 2014), che raggruppa i testi pubblicati in volume dal 1979 al 2009. Regesto contiene inoltre “Lieve a portare”, un quaderno di traduzione (da Eliot a Celan, da Char a Pound, da Apollinaire a Kafka).
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Conosco Massimo Scrignòli da tantissimi anni. Quando mi sono trasferita a Bologna, ormai in un tempo che pare remotissimo, una delle prime persone che ho conosciuto e apprezzato in qualità, oltre che di autore, di uomo di cultura e editore importante, punto di riferimento per la poesia italiana, con una bella collana dedicata, è stato proprio lui. Poi incontri a eventi letterari, lettura graditissima di suoi testi o di testi di suoi autori, partecipazione a qualche lavoro collettivo di comuni amici critici. Quando ho saputo della sua raccolta ultima e omnicomprensiva del suo trentennale lavoro sulla poesia, ho pensato di invitarlo ad uno degli incontri che organizzo a Bologna – gli ormai mitici “Thè con la poesia” – per cogliere l’occasione di parlare della sua esperienza poetica a largo spettro. E’ un autore di notevole spessore, Massimo Scrignoli, e avere fra le mani tutta, o quasi, la sua produzione poetica e avere l’ambizione di volerne parlare, è un onore, un piacere ma anche una grande responsabilità per l’impegno morale nei confronti della poesia, che egli da sempre ha assunto e che sento traspirare attraverso le pagine del bel volume di cui mi appresto a parlare.
REGESTO (1979 – 2009)
Recita il vocabolario che il “regesto” è da intendersi come una “raccolta ordinata di documenti e atti riportati in forma di riassunto o solo nelle parti essenziali ai fini della raccolta stessa”. Quale sarà stata l’idea di Massimo Scrignòli nella composizione dunque del suo Regesto poetico? Affine o meno al dettato linguistico della parola che dà il titolo alla raccolta? Direi che la risposta è già contenuta nella nota introduttiva che, lo stesso autore, pone a capo del volume, spiegando come Regesto raccolga trent’anni di lavoro sulla poesia, inserendo testi da almeno nove raccolte edite, pubblicando integralmente un quaderno di traduzioni dal titolo Lieve a portare – con importanti lavori sulla parola di Elliot, Pound, Celan, Char, Apollinaire, Kafka -, e concludendo con una serie di interventi critici sulla sua opera. Un’opera imponente e altamente qualificata che richiede di essere maneggiata con cura e attenzione per comprendere a pieno il percorso di questo autore del quale farò un excursus, seguendo la traccia delle note critiche o di prefazione ad alcune raccolte, riportate in calce al volume.
Notiziario tendenzioso (1979) apre il Regesto, quale prima raccolta edita da Scrignoli. In una nota al testo Giovanni Raboni apostrofa l’esordiente poeta come “coraggioso” attribuendogli grinta e desiderio di sfida alla tradizione, nella necessaria ricerca di un proprio stile che, al momento si assesta in una poesia “priva di simboli e forse di immagini […] per desiderio di esattezza, completezza, onestà”. Molti i maestri dei quali si risente l’eco nello scorrere dei versi, primo fra tutti – forse – Sanguineti per l’uso di ritmo e sintassi, ma non solo. Eco che continua anche in Qualcosa di illune (1984) dove, nonostante l’assonanza con certa poesia sperimentalista, il verso di Scrignòli ripercorrendo tematiche classiche quali il mito di Eros e Psiche, così come dice anche Geno Pampaloni nella prefazione “ricompone ciò che egli stesso ha scomposto, riconsacra a suo modo il dissacrato” in un lavorio continuo – che è il lavorio della poesia – che si fa crescita ed elaborazione di linguaggio per la consacrazione di una propria cifra poetica.
Nel poemetto, forma che ritornerà ancora nella produzione di Scrignoli, Le linee del fuoco (1991), dove confluirono poesie del libro … di queste rose/il malbianco, rifacendosi alla prefazione di Roberto Sanesi è il fuoco che diventa elemento essenziale e quasi fondante della poetica dell’autore. Visto oltre la propria natura – e qui sta la grandezza della poesia – ovvero “si dovrebbe leggere come luogo non di consumazione, o estinzione, ma d’energia che di nuovo prolifera e ricompone” il fuoco supera la rosa della prima raccolta. Così se la rosa era il simbolo del malbianco visto come necessità di scrivere – e di scrivere ricercando la verità – tanto da diventare una malattia di cui il suo farmaco, la sua cura è se stessa – come la rosa che si rigenera con la propria fecondità – il fuoco, affrontato in una sorta di viaggio infernale quasi dantesco, diventa il simbolo della mutazione necessaria nello scrivere. Così si interroga Scrignoli, sulla possibilità del movimento – da musicale a stilistico a concettuale – per un approdo illuminante dopo aver percorso tante scale – emblemi delle discese e risalite della vita – approdo che se pure non sarà una risposta definitiva, porterà a continuare coscientemente quel lavorio del fare poetico che ormai ha preso spazio considerevole nella sua vita.
Nella nota a Libro d’acqua (1994) tocca a Silvio Ramat esprimersi sulla nuova raccolta, ancora in forma poematica, di Scrignoli. E dopo il fuoco è l’acqua, l’altro elemento che diventa protagonista del percorso dell’autore, quasi a voler ricomporre la frattura fra i poli inconciliabili dove il filo conduttore pare la mano tesa dell’amico Roberto Sanesi, a cui il libro è dedicato, che assurge a guida del poeta. Una guida che ha a sua volta delle guide (quali Elliot), che ne hanno a loro volta altre (quali Dante) in una catena di alto valore letterario e umano che assume i toni, con le parole di Ramat de “l’avventura formativa d’un viaggio”. Qui l’autobiografismo, che pare ancora pervadere le pagine del lavoro, passa in second’ordine rispetto alla visione emotivamente forte che l’autore è capace di portare, dove l’acqua è trascinatrice, nella sua limpidezza, per unire – come dicevamo – passato e futuro.
Con Lesa Maestà (2005) – che ricomprende anche i testi di Buio bianco – il debito letterario e umano nei confronti dell’amico Sanesi – scomparso nel 2001 – è sentito così forte da far percepire costantemente la sua presenza, vuoi in testi dedicati, vuoi in testi dove i temi o i riferimenti ai versi sono più espliciti, come se al pensiero di un ricordo sottolineato in diverse modalità potesse legarsi la maggiore difficoltà dell’oblio, ricordo che in specie viene maggiormente sottolineato dai riferimenti alla musica per violino di Mahler. Vincenzo Guarracino, nella prefazione al libro, evidenzia come il centro della vita o dei sentimenti, dove convergono i pensieri e le parole, il centro da cui misurare le distanze, dal quale cogliere il segreto della vita stessa, sia per Scrignòli “il canto, la poesia, intesa come un luogo fisico e mentale di un’avventura conoscitiva e creativa” ricompreso in uno spazio dove “tutto potrebbe accadere” o “tutto è già successo” ma dove tutto, dal dolore alla gioia, porta al contatto col mistero dell’essere.
A conclusione di Regesto è il racconto in versi Vista sull’angelo (2009) per il quale, nella nota al testo, Alberto Bertoni parla di un apice raggiunto dalla poesia di Scrignòli, intesa ormai come una “poesia sapiente e sapienziale”. In effetti, l’indagine poetica dell’autore raggiunge qui una sorta di compendio nel compendio (Regesto) dove approdano temi, voci ed elementi tutti più o meno presenti nella precedente produzione. Ma è l’angelo, chiaramente, a diventare il narratore e il vero emblema del poemetto, un emblema sublimato dalle risonanze di tutte le voci che si porta addosso, appiccicate come marchi indelebili: da Rilke a Klee a Benjamin a René Char, dove l’accordo del canto conduce ad una felicità isperata e temibile dove gli elementi, quegli stessi elementi che hanno condiviso il percorso di Scrignoli, s’incontrano con tutti i maestri amati e frequentati dal poeta per innalzarsi in un volo – condotto dalla forza della parola – dove la transumanza conduce appunto alla “terribile felicità”.
Un libro dunque da leggere e da frequentare, dove è scritta oltre alla storia della poetica personale dell’autore anche buona parte della storia poetica e letteraria italiana ma, oserei dire, anche europea. Impossibile non conoscerlo e non apprezzarlo, come viatico di segnati percorsi interpretativi del nostro vissuto culturale.
Alcuni testi da: Regesto
Arriva e colpisce, non importa dove.
Colpisce. Cosí si rischiano i pensati figli
rovesciando lapsus e carni e miti precoci.
Per compensare le perversioni, diresti.
Rischiando la parodia e l’esodo
come chi nasconde nel ventre
il nesso tra gli indizî in lotta
e il seminabile.
(Forse è soltanto questo non volermi alzare.
Oppure è che non unisco a questa
assenza in sonnambula
nessuna corruzione tra le paure e le improvvise
evoluzioni. Le tanto care corruzioni
buone solamente per i vivipari
o per i germi che nascono già vivi.
Ma colpisce. E il suo segno rimane, pieno.
E la riproduzione in te di questo emblema
è così corrosiva dentro da smangiarmi
il coraggio alla sfida, mentre
l’idea di non volerlo cercare, di nasconderlo
pelle dentro pelle diviene già
cronico possesso).
da Lapsus? (1981)
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Così va bene, andiamo
ora che le donne non parlano più
nella stanza
andiamo a cenare con l’amico
dei leoni, il capo
dei capi
che vive nell’erba, laggiù,
vicino al sole, andiamo
a riprenderci il vento
per renderlo visibile mentre attraversa
e colora i capelli, mentre ci trasforma
in memoria.
Non temere
riporteremo qui il leggero
dei sonni viola
e il fuoco trasparente
che non brucia
affinché non sia soltanto di queste rose
il malbianco.
da Le linee del fuoco (1991)
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Del guscio intatto di un uovo
trovato più avanti nel vicolo per Athos
conservo, non visto, il peso
la linea odorosa appesa all’orizzonte
della parola, del rumore che non è nome.
Tienilo tu
ancóra per un poco,
appena di poco
sotto le palpebre.
da Libro d’acqua (1994)
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Regesto, ossi
Non è il regesto di una conoscenza
sul viso notturno il lampo
che dal pomerio invita e cattura,
né qui un riverbero
può definire condizioni estreme
per il distacco.
Conoscere del fuoco
il calore in bilico sulla fiamma
è già rapirgli un segreto,
è toccare lo spiraglio
dove la voce svia
verso l’abbandono.
Così, tacendo ti parlo
anche di tutto questo:
del contagio di una piccola silenziosa
parte dell’occhio, un’iride quieta
che come vento largo ci sfiora
per un istante, un brivido
appena il tempo necessario per conoscere
la differenza tra voce e luce,
per riconoscere la pronuncia
di quello che siamo, di quello che vogliamo.
da Buio bianco (1999)
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La timidezza del pavone
Di solito la differenza accade
tra mezzogiorno e un fiume
quando il sole corrode la pazienza
dei sogni e anche la strada si nasconde
dietro la sete di occhiali scuri
dove l’umiltà infinita delle muffe
insegue i sospetti dell’inverno.
Accade. E succede anche quando
seguiamo in silenzio la scia
di un aereo lontanissimo. Di solito
io riesco soltanto a immaginare
insegne sulle ali e vólti che salutano, tu
invece li vedi uno ad uno e unisci alle parole
i frammenti, gli spigoli perduti, avvicini
le vibrazioni delle ali
alle nuvole.
È una differenza leggera, breve
come la primavera di tutto. Eppure
basta a distinguere la timidezza del pavone
da chi conosce il rapimento di volare,
cadendo.
da Lesa maestà (2005)
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E tuttavia
per uscire dal mondo dovremo
intuire
decifrare
tradurre
l’angolo minimo di tempo dove
il pane è una luce verticale.
Si passerà da una porta assente
che si può immaginare dietro
le scale, in basso, all’opposto
del rosso che occupa le ore
per tutto il giorno. Il vecchio guardiano
conosce ogni passo, i lati insidiosi
eppure ripete
“Entrate entrate, poi
scendete sette scalini a destra.
Il luogo della fenice è un triangolo
vi accorgerete subito dove
conviene arrivare dove
non si dovrà andare”.
Si entra nel triangolo
e non si pensa a come uscire
se mai si dovesse tornare, o a fuggire
anche se nessuno dice da che cosa
ma è certo che accadrà
in un’altra parte del giorno.
da Vista sull’Angelo (2009)
Cinzia Demi
Bologna, dicembre 2015
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“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani. Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito o scrivendo direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinzia.demi@fastwebnet.it