In Missione Poesia: Massimo Morasso, un fine intellettuale di Genova e un poeta fra i migliori in Italia al momento. Proponiamo un commento al suo libro di poesia “La caccia spirituale”, uscito nel 2012 da Jaca Book Editore, che completa la trilogia de “Il portavoce”, e un accenno al bellissimo lavoro “Il mondo senza Benjamin”, raccolta di pensieri e saggi, edito di recente da Moretti&Vitali, imprescindibile per approfondire la conoscenza di Morasso.
Parola come mezzo di concentrazione, parola dal valore magico e poeta come anarca, ovvero colui che “si nasconde esteriormente nella normalità, può anche essere un ragioniere, un contabile, che esegue tutto ciò che l’ordine e la legge prescrivono, ma nel suo intimo, nella solitudine della notte, pensa e fa quello che gli pare”.
(Jünger)
MASSIMO MORASSO
Nato a Genova nel 1964, laureato in Lettere Moderne all’Università di Genova, con una tesi su Rilke traduttore di Michelangelo. Dopo un breve periodo come giornalista praticante nella redazione del quotidiano genovese « Il Lavoro », ha collaborato come consulente culturale con la sede regionale della R.A.I. Nel frattempo, ha incominciato a organizzare convegni letterari per conto e/o in collaborazione con alcuni dei principali centri culturali della sua città (Centre Galliera, Goethe Institut, Fondazione Mario Novaro, Centro Ricerche Scienze Umane, Festival Internazionale di Poesia…) e ha dato vita alla Società Letteraria Rapallo, un’associazione votata alla valorizzazione del patrimonio culturale internazionale di Rapallo e delle aree limitrofe. Convinto della necessità di un ripensamento radicale della questione ecologica, nel 1998 ha sviluppato la realizzazione del MUVITA (Museo Vivo delle Tecnologie per l’Ambiente) di Arenzano, che resta a tutt’oggi l’unico science center in Italia interamente dedicato alle scienze e alle tecnologie ambientali. Ha diretto il MUVITA nella sua fase di start-up. In quel periodo, ha ideato e realizzato il progetto « Per la Terra e Per l’Uomo », un’iniziativa che connette etica ambientale e poesia e che coinvolge personalità di assoluto rilievo di una quarantina di nazioni, compresi cinque premi Nobel per la Letteratura, un premio Nobel per la Pace e sei premi Pulitzer per la Poesia. Nel 2006, su mandato della Fondazione Carige e di una sua società strumentale ha assunto la direzione dei lavori di allestimento delle sedi di Genova e Palermo del Centro Culturale Europeo. In tale contesto ha svolto anche mansioni di PR e orientamento programmatico delle principali iniziative, organizzando convegni, presentazioni di libri e un ciclo di incontri con alcuni fra i più accreditati intellettuali europei (fra i quali George Steiner, Zygmunt Bauman, Edgar Morin, Tzvetzan Todorov…).
Tramite le varie consulenze culturali (per soggetti pubblici e privati, anche per Enel Liguria, Confindustria Genova, Hofima SpA…) ha maturato significative esperienze nel campo della progettazione di mostre, laboratori, attività ludo-didattiche. E’ stato l’ideatore e il Direttore Artistico della Festa del Teatro di Poesia di Sanremo. Nel 2009 per conto della Provincia di Genova ha coordinato l’allestimento del Genoa Port Center, un centro divulgativo-didattico dedicato al porto di Genova.
Sul versante creativo della sua attività di scrittore, ha pubblicato vari libri di poesia e critica letteraria con editori quali Marietti, Raffaelli, Jaca Book. Sono presente in antologie di rilievo nazionale (anche per Einaudi, San Paolo, Garzanti…). E’ stato tradotto in portoghese, tedesco, francese e greco. Ha scritto e scrive per alcune fra le più prestigiose riviste letterarie italiane e per « Genova Impresa », l’house organ di Confindustria Genova. Negli ultimi anni, ha intensificato le sue incursioni critiche nell’arte contemporanea. Sulla sua produzione letteraria esiste una cospicua bibliografia critica. Segnalo, fra una settantina di scritti, quelli di Daniela Bisagno, Carlo Bo, Giuseppe Conte, Marco Ercolani, Gianfranco Lauretano, Giuliano Ladolfi, Francesco Napoli, Giovanni Raboni, Davide Rondoni e Stefano Verdino.
In margine alle sue occupazioni principali, ha svolto mansioni di consulenza editoriale, tenuto corsi di scrittura e poesia, nonché lectures e testimonianze su temi letterari e ambientali in convegni e master universitari. E’ membro corrispondente della « Académie Européenne des Sciences et des Lettres » di Parigi. Attualmente, è un libero professionista impegnato a mettere a disposizione le sue competenze trasversali nell’ambito di progetti innovativi, e a dare visibilità alle aziende e alle realtà territoriali disposte a investire nell’idea di cultura come risorsa. Ultimamente ha lavorato alla costituzione della sezione italiana di Plant-for-the-Planet, l’organizzazione internazionale di bambini che si occupa, per conto dell’ONU, di sensibilizzare le generazioni più giovani su una questione di importanza epocale, i mutamenti climatici.
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Conosco Massimo Morasso da diversi anni. L’ho apprezzato da subito come poeta, scrittore, critico. Da subito gli ho voluto bene per le sue doti umane. E’ Massimo la quintessenza di quella che si dice: una bella persona. La sua poesia è altissima, forse la più alta al momento in Italia – se non ci fossero i soliti giochi di potere a spingere avanti i soliti nomi poiché, ahimè, l’abbiamo già detto… anche in questo campo non si prescinde da questo -.
Leggendo i suoi testi ci si accorge di quanto, certe volte, l’animo maschile e quello femminile nell’arte possono fondersi per dar vita ad opere che non si esagera a definire – spesso – tanto perfette da rasentare il sublime. La spiritualità e il tormento interiore di Cristina Campo, la bellezza e i dubbi sull’identità di Vivien Leigh – care all’autore tanto da avergli dedicato suoi scritti importanti – si uniscono all’eredità di un Montale e al confronto con la continua ricerca di Giorgio Caproni, tanto per citare qualche nome, per dar voce propria a testi di profonda spiritualità, visionarietà poetica e ricerca, riflessi non solo nella poesia ma anche nelle accurate, profonde e complesse analisi saggistiche – vedi l’ultimo lavoro: Il mondo senza Benjamin uscito per Moretti & Vitali nel 2014 – dell’autore.
In questo articolo ci occuperemo dell’ultimo libro di poesie di Morasso La caccia spirituale, uscito per Jaca Book nel 2012, libro che completa la trilogia de Il portavoce, ciclo poetico i cui precedenti lavori hanno avuto una complessa vicenda editoriale: il primo è uscito in tre plaquettes tra il 1997 e il 2000 per l’Editore L’Obliquo, il secondo è stato pubblicato invece da Raffaelli Editore nel 2010 col titolo Viatico. E poi ci occuperemo, anche se non in tutta la sua complessità, dell’appena uscito e già nominato Il mondo senza Benjamin , imprescindibile per approfondire il discorso su Morasso.
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La caccia spirituale
Come accennato sopra questo libro è l’ultimo della trilogia Il portavoce – un ciclo poetico di notevole entità per il quale l’autore ha lungamente lavorato -. Nelle note finali di questo libro Morasso ci dà, a dire il vero, molte spiegazioni che rappresentano la giusta chiave di lettura dei suoi testi nei quali, i riferimenti, le citazioni, le immagini collegate a riflessioni su personaggi storici, religiosi, filosofici e ai luoghi cari all’autore sono tanto fitte da rendere un lettore, non proprio coltissimo, la lettura di alcuni passaggi non completamente conforme alle intenzioni del poeta.
Vero è che la poesia è soggetta – e anche molto – a interpretazioni personali che nascono dallo stato d’animo, dal contesto culturale e di vita, dal momento storico in cui un testo viene letto e così via. Per questo, pur essendo grati a Morasso per le sue delucidazioni, di cui terremo debito conto, ci piacerebbe anche poter esulare in parte da queste e provare a “navigare a vista” andando a pescare nelle emozioni più immediate che la lettura dei suoi testi può suscitare, certi che non mancheranno altrettanti spunti di riflessione.
Dunque il libro risulterebbe diviso in tre parti: Genesi, Espiazione, Le oscurità e per ognuna delle quali, in estrema sintesi, l’autore avrebbe preso spunto temporalmente dall’alba, dal meriggio e dalla notte, avrebbe usato come unità di luogo la città di Genova, avrebbe rappresentato teologicamente le tre grandi religioni monoteistiche, rispettivamente: l’induismo, il cristianesimo, l’islam.
Ora, andando a leggere sia in modo consequenziale che non i testi del libro la prima cosa che salta all’occhio è, sicuramente, una sorta di dialogo interiore con il mondo che circonda l’autore: un dialogo fatto non solo di tematiche profonde con i maestri di scuola e di vita, ma anche rapportato alle piccole e grandi cose materiche, agli amici, agli incontri per strada, alla donna amata, alla natura che spesso si presenta come muta interlocutrice eppure leopardianamente presente.
In questo dialogo continuo è vera una cosa importante: lo sfondo è la città di Genova che, se pure non raccontata in una sequenza da litania come il noto testo Caproniano, è comunque grande ostensorio di profumi, presenze, colori, elementi naturali e, quasi personificata, si fa, per certi versi, accompagnatrice nei suoi antri più remoti e nei suoi spazi più aperti, della dimensione poetica del viaggiatore Morasso. Sembra di vederlo aggirarsi per le sue vie e le sue piazze, perlustrare le sue chiese e i suoi archivi, sbirciare le letture dei giovani seduti sui gradini di qualche casa, respirare l’aria del mare e osservare il meticoloso lavoro dei pescatori: io me lo immagino così il poeta Morasso, sempre dentro il fuoco sacro della ricerca, inquieto del suo vivere, desideroso di raggiungere la verità con la sua scrittura. Una scrittura che, attraverso la pratica dell’invocazione del nome, parte proprio, in questo libro, dalla Genesi… dall’inizio, dal cominciamento della ricostruzione del mondo:
Per ascoltare l’oceano nascosto nelle onde, il silenzio/al principio e alla fine del respiro,/osservo il timido balletto delle tortore/e provo a dare voce alla finestra della sala/quando è l’alba, l’alba/ che sboccia come l’ultimo dei sogni/mentre la schiera celeste canta il suo canto […].
Una scrittura che – passando attraverso la storia e il pensiero di Caterina Fieschi Adorno, ovvero Caterina da Genova e in specie il suo Trattato sul Purgatorio – prova a descrivere in realtà il Purgatorio corale e terreno in cui l’essere umano si trova a vivere:
Le anime che sono in purgatorio/non hanno altra elezione che di starci./ Non possono voltarsi verso se stesse/né possono più dire/ho fatto cose per cui merito la mia condizione,/né possono dire non vorrei aver peccato/così da potermene andare in paradiso/e neanche possono dire io me ne andrò da qui prima di quello/ o viceversa dire quello uscirà prima di me […].
Una scrittura che, riprendendo già in parte quello che sarà poi il tema dell’ultimo libro di Morasso , ovvero i ragionamenti intorno al pensiero di Walter Benjamin, porta l’autore a definire, insieme a Pavel Florenskij, di quanto la parola sia un metodo di concentrazione, di quanto abbia un valore magico (Novalis) e di quanto la figura del poeta assomigli a quella dell’anarca, a colui cioè che “si nasconde esteriormente nella normalità, può anche essere un ragioniere, un contabile, che esegue tutto ciò che l’ordine e la legge prescrivono, ma nel suo intimo, nella solitudine della notte, pensa e fa quello che gli pare” (Jünger):
[…] Lo sai, io/sono una febbre di poesia,/una festa d’anarchi.//Sono un’intermittenza in fondo, del visibile. Sto sotto/a un cielo nero attraversato dalle voci/come un qualsiasi parassita/intriso d’altro sangue, abbarbicato/a una più vasta, incontenibile//inconoscibile vita.
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Alcune poesie da: “La caccia spirituale”
(dalla sezione “Le oscurità”)
La notte sugli ormeggi: ecco arrivare l’estasi il fruscio di tutto
l’amore che confonde, che sciama dentro a Genova
le forme della notte come un delta del pensiero, ininterrotto.
Ecco che arriva l’estasi, che arriva,
e il cuore all’improvviso che riflette
la spalancata trascendenza di una gru
in questa accesa nudità dell’attimo.
Come conoscere, se riconoscere è sapere
che il mare qui mi esilia da me stesso?
Continua a interrogarti: la danza delle onde oltre la diga
non è la tua risposta. Seduto su una bitta non lo sai, non hai
neppure il desiderio di sapere, l’anima
è attratta da qualcosa di immortale
chissà da quali spazi va incavandoti la notte.
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Ci sono le persiane inchiavardate, la chiesa
qui tintinna controvento. Inerpicandomi
da Banchi fra i palazzi a San Matteo
calpesto una lattina, sfioro un gatto,
sento la piazza scomporsi e vacillare
e lei, la luna,
all’improvviso indosso come un raptus,
lampo che folgora
e subito dilegua.
Esiste un sole che è nemico della luce
e un tempo in cui s’azzera la memoria. Io mi ci accosto
per un attimo, o m’illudo, provo a scavare
nell’interiorità del mondo
dove i miei morti si intravedono fluttuando
zigzagano a mezz’aria nella notte
come sottili insetti iridescenti.
E poi non riesco più a raccogliere gli spazi,
troppa coscienza ottunde, l’ho imparato,
la strategia dell’ombra impone di scavare dentro al buio
con lo scalpello delle mie parole
dichiaro di aver visto una colonna sgretolarsi
e qualche placca che ruotava intorno a un uomo
simile a un razzo, e un abbagliante stormo di qualcosa.
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La notte il vento turbina, le nuvole
che scorrono in un impeto
di irrefrenabile tempesta
(ne è scosso tutto il corpo, e il mio gravato
cuore).
Lo sai, io
sono una febbre di poesia,
una festa d’anarchi.
Sono un’intermittenza, in fondo, del visibile. Sto sotto
a un cielo nero attraversato dalle voci
come un qualsiasi parassita
intriso d’altro sangue, abbarbicato
a una più vasta, incontenibile
inconoscibile vita.
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Il mondo senza Benjamin
ll mondo senza Benjamin è un lavoro composto da Morasso nel periodo che va dal 1998 al 2010. E’ una raccolta formata da dialoghi filosofici, poesie, pensieri di poetica, aforismi, brani di critica letteraria, ragionamenti intorno alle scienze alla teologia e alla mistica… e talmente tanto altro ancora da far sorgere al lettore il dubbio su come si debba leggere un libro del genere. Del resto è l’autore stesso a definirsi “pensatore antagonista”, spiegandoci poi di come: « […] il sapiente, uomo invidiabile, ha gettato via la paura, e con volontà risoluta opera su se stesso, mentre il pensatore antagonista arde di desiderio infinito, e tenta, per quanto ne è capace, dilaniato com’è dagli estremi della gioia e dolore che dettano il ritmo della sua continua, inappagabile ricerca, di sfruttare la tensione dei contrari, godendo con difficoltà del presente, ma dilaniandosi invece nell’idea del futuro e dell’irraggiungibile.»
Morasso è un autore complesso, ricco di contraddizioni sempre in cerca di colmare la sete di conoscenza, aperto al mistero e all’infinito che ritrova ed evidenzia anche nell’ordinario e nel consueto. E’ di lui dunque, è dello stesso autore che dobbiamo capire come affrontare la visione: secondo una prospettiva più intellettuale, scoprendo rimandi e passaggi più o meno compiaciuti, o secondo una lettura che si interpreta come testimonianza e confessione di un lavorare onesto intorno alla poesia e al mondo che la circonda? Optiamo chiaramente più per la seconda opzione e , non potendo affrontare – per problemi di spazio e tempo – tutto il libro ci limitiamo ad indagare su un piccolo capitolo molto intenso, e potremmo dire necessario, per affrontare non solo una modalità di scrittura ma, prima ancora, di visione della realtà su cui conferire.
Il capitolo si intitola: “L’opera della vista e l’opera del cuore. Nove modi di guardare una finestra” ed è suddiviso in cinque sottocapitoli. Lo spunto è dato da una scena del film Dancer in the Dark di Lars von Trier, ovvero dal momento in cui la protagonista ormai cieca, verso le fine del film, ci svela l’idea per la quale è in gioco tutta la visione del regista. Ella si avvicina al condotto dell’areazione e, da questo unico contatto col mondo esterno, sembra crearsi un’ineffabile armonia attraverso il canto nel quale vengono nominate le cose, la loro fisicità, il loro farsi evento in una dimensione ormai solo immaginifica. Finestra e corpo hanno bisogno di trovarsi e definirsi. Morasso individua nella scena tre finestre, due corpi e un unico paesaggio. Finestre sono il condotto materico dell’aria, la coscienza nelle immagini canore, lo spirito di quel corpo intravisto dall’implacabile inquadratura di un essere condannato a morte. Un corpo è quello della protagonista che già ha assunto un’identificazione quasi cristologica e un secondo corpo è quello del regista stesso costretto ai tagli di scena, a una partecipazione dolorosa a ciò che egli stesso sta creando. Il paesaggio, nel rapporto tra l’uomo e la natura, sta in quell’equilibrio che si crea tra la grata aperta sul condotto dell’aria dalla quale passa una musica esterna, la finestra interiore che si riempie di quell’aria che fa aprire la terza finestra quella di chi orchestra la regia, di chi mette in ordine il paesaggio mentale quale misura della visone.
Quali sono questi modi? L’autore ci parla dello sguardo del carcerato, del pazzo, del malato, dell’animale domestico, di lui stesso, dell’angelo, dell’animale non domestico, del senza casa o dell’innamorato, ne esamina ogni forma con dovizia di particolari e a questi nove modi ne aggiunge un decimo, quello di chi guarda il televisore come una finestra, come unico mezzo di relazione col mondo, un mezzo che diventa letale.
Vi lascio con la curiosità di sapere quali sono i punti di vista dei vari attori di questa vicenda, e raccomandandovi la lettura di questo libro che è tutta una continua scoperta, un continuo rinnovarsi di spunti di riflessione innovativi e coinvolgenti.
Cinzia Demi per Altritaliani.net