Con “Era farsi”, edito da Marsilio nel 2012, Margherita Rimi propone un’autoantologia di 30 anni di vissuto dedicato all’ascolto dell’infanzia: l’esperienza lavorativa e di vita diventa esperienza di poesia, le ferite e le rotture traumatiche assumono sembianze di perdita, di assenza, di mancanze, con la prontezza della dimensione accogliente e comunicativa scritta, che si fa testimone attraverso la voce della poetessa.
Margherita Rimi è nata a Prizzi (PA) e risiede in provincia di Agrigento. E’ poetessa, medico e neuropsichiatra infantile. Si dedica da anni ad un’intensa attività di prima linea per la cura e la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, lavorando in particolare contro le violenze e gli abusi sui minori e a favore dei bambini portatori di handicap.
Fa parte della redazione della rivista «Quaderni di Arenaria ». Collabora alle attività della Fondazione Antonio Presti-Fiumara d’Arte- La Piramide e a varie riviste italiane di poesia: «L’Immaginazione», «Poesia», «Il segnale», «La mosca», «Quaderni di Arenaria». Tra i suoi libri di poesia: Per non inventarmi, con prefazione di Marilena Renda (Castelvetrano-Palermo Kepos, 2002), La cura degli assenti, con prefazione di Maurizio Cucchi (Falloppio, LietoColle, 2007), Era farsi, Autoantologia 1974-2011, con prefazione di Daniela Marcheschi (Marsilio, 2012) che ha ottenuto, tra gli altri, il premio Laurentum 2012 per l’opera edita.
Del suo lavoro per LietoColle, Maurizio Cucchi, dice che si tratta di una poesia che: “È una parola arcaica e ricca di energia, […]. Una parola spesso ruvida, che si incide e affonda anche nel prevalente verso breve o brevissimo, che trova qui una piena giustificazione nello scandirsi faticoso e senza automatismi letterari della sua pronuncia. Dice del corpo e della sua imperfetta meraviglia; […]E dice della morte, che ci consuma istante dopo istante, che è un’ombra che ci accompagna, non richiesta eppure irrinunciabile quanto decisiva. Ma che è non di meno il messaggio e il richiamo costante degli assenti, verso i quali dobbiamo conservare memoria e fedeltà.[…] un’opera di sostanza, in costante tensione, capace di arrivare al cuore delle cose con una felice asprezza espressiva.” (Maurizio Cucchi, prefazione a La cura degli assenti).
Di questo libro riportiamo alcune poesie:
LA CURA DEGLI ASSENTI
Ci sono cose che
tardano a venire
come figli
attesi nella notte
Che trovo
ormai di me
Meglio mettere qualcosa in salvo
riprendere la cura
degli assenti
Coprirsi
del proprio corpo
alle gelate.
***
Finisco la sera
Finisco la sera
con le poche cose
che mancano che
mi accompagnano
Finisco di essere sola
con le poche parole
che arrivo a non dirti.
Si conclude.
Senza sogni e
senza realtà
Adesso
ci guadagniamo
Compiamo il lutto
dello specchio
La fuoruscita
dalle nostre parole
Adesso
quello che siamo
dopo detti
Quello che
non ci riconosciamo.
***
Ruote spuntate
Staranno sedute le loro anime
sul parapetto
fino a domani
senza le madri
Si può stare fino a domani
se non si ha più da mangiare
se non ci si può più svegliare
Ma i bambini sanno aspettare
senza le madri, le madri
tra il parapetto e il cielo
gambe su gambe su ruote spuntate
Ma se non si può più essere vivi
fino a domani
fino alle madri
non si può più morire.
***
ERA FARSI, AUTOANTOLOGIA, 1974 – 2011 (Marsilio, 2012)
Conosco Margherita Rimi da diversi anni, da quando ho cominciato a frequentare la Sicilia per attività culturali e non soltanto come turista. Da subito mi è sembrata un’autrice di grosso spessore linguistico e simbolico. Si distingueva dagli altri autori, con cui ero venuta a contatto in quel periodo, per una certa modernità stilistica, scevra da classicismi che in quell’area dell’Isola – e in specie tra le provincie di Trapani e Palermo – impera con tutta la sua veemenza e possibilità narcisistica. Non che ci sia nulla di male ad amare la classicità nella poesia, il lirismo – che io stessa frequento molto nei miei testi – o le forme di retorica tipiche della tradizione culturale sikana e ancorate, ormai in modo ineguagliabile, in molti scrittori e poeti anche contemporanei.
Ma, spesso, si ha l’impressione che il tempo si sia fermato a quelle forme, a quello stile, a quella – se pur indiscutibilmente immensa – cultura di genere, tanto da rasentare il vecchio più che l’antico, anche laddove si usa il verso nella lingua siciliana del luogo (possiamo fare un’eccezione per alcuni autori pubblicati dalla recente nata casa editrice Drepanum di Nino Barone, con sede a Trapani). Ed è come se la forma bloccasse anche i contenuti, o per lo meno questa è l’impressione che se ne ha dall’esterno. E’ quello che succede un po’ anche a Firenze, per certi versi, rispetto alla pittura: dopo il Rinascimento come proseguire? Cosa altro inventare che valga la pena? Cosa può mancare a tanta magnificenza? E si finisce col restare fermi, col non apprezzare il nuovo che avanza nell’arte, nel bene e nel male: si finisce a vivere di rendita vita natural durante.
La poesia di Margherita Rimi, invece, vince la sfida e il confronto con la tradizione. La poetessa agrigentina sembra più vicina al fervore e alla vivacità culturale della provincia di Catania dove, da sempre, la modernità ha attecchito di più. Poeti e scrittori come Grazia Calanna, Luigi Carotenuto, Francesco Foti, Alfio Patti (solo per citare alcuni nomi) che ruotano intorno alla rivista “L’estroverso” (sia cartacea che on-line), e alla casa editrice Prova d’Autore diretta dall’ottimo Mario Grasso, rappresentano certamente quella parte fattivamente più originale e innovativa che getta un ponte con il continente. E Margherita ne fa parte in toto con la sua voce potente. Il suo ponte è gettato, in modo peculiare, verso la sofferenza dell’età più debole, verso quell’infanzia offesa, violata, maltrattata che fatica chiaramente a trovare un dialogo col mondo, e preferisce isolarsi in una solitudine che si solidifica come schermo protettivo del male stesso.
Era farsi, edito da Marsilio nel 2012, è l’Autoantologia nella quale la Rimi propone al suo pubblico un lavoro poetico vissuto in 30 anni di ascolto dell’infanzia, originato dal suo lavoro di neuropsichiatra infantile. Si tratta di un ascolto reso attraverso una forma insolita per questa problematica, ovvero non attraverso una fredda analisi fascicolata in un repertorio medico con terminologia scientifica che racconta patologie, traumi e possibili cure diagnostiche, ma di un ascolto reso in poesia. Come si inserisce in questa forma letteraria il nucleo tematico di questa sofferenza? Coniugando la propria esperienza lavorativa e di vita, che diventa esperienza di poesia, e che va ad incidere le ferite e le rotture traumatiche che assumono sembianze di perdita, di assenza, di mancanze, con la prontezza della dimensione accogliente e comunicativa scritta, che si fa testimone attraverso la voce della poetessa.
E’ con queste modalità che sentimenti e silenzi diventano movimenti, strutture fisiche, si materializzano in corpi e pensieri con i quali, se è difficile ottenere un contatto diretto, diventa essenziale osservare e credere il loro vivere, il loro “farsi” attraverso la poesia. I corpi sembrano assumere facce riconoscibili, prendere nomi di battesimo, rappresentare il proprio dramma con gli spazi della poesia stessa, spazi che si fanno più silenzio che parola, che omettono, sottraggono più che proclamare, aggiungere. E’ una poesia dunque, quella della Rimi, che spinge ad esaminare e raccontare il dolore della crescita, che si inoltra verso il liminare, verso la soglia di passaggio dall’età bambina all’età adulta, zona che diventa luogo di insidie e drammi che prendono casa in una già difficile situazione emotiva e affettiva e vanno a decostruire corpi e pensieri, con tutto quello che comporta il tentativo della loro ricostruzione. Tra l’altro, è fatto esplicito riferimento, in una citazione, a Davide Dettore, psicologo presso l’Istituto Meyer di Genova e docente del Dipartimento di Scienze della Salute presso l’università di Firenze, che si è occupato nella sua carriera anche della scrittura di alcuni saggi intorno alla sessualità deviata e all’abuso sessuale nell’infanzia.
Ritornando poi al discorso iniziale, quello dello stile della poetessa, mi preme evidenziare come questo si caratterizza per un verso breve che dà al ritmo una sequenza veloce, che incalza il lettore ad andare avanti ma che lo pone di fronte, vivaddio, ad un linguaggio mai ostico, ma molto semplice e comprensibile, se pure alle volte soggetto a interpretazioni alterne e parallele. La forma è chiaramente in relazione alla poetica dell’autrice stessa che parte da quell’ “era farsi” a cui abbiamo accennato, come momento definito della crescita, del passaggio intimo e doloroso di costruzione di un essere, per rapportarsi con la solitudine, l’abuso, la mancanza di affetto quali elementi purtroppo esistenti nel percorso deviato di una certa tipologia di infanzia stessa.
Prima di riportare qualche testo esemplare della raccolta, corre l’obbligo di spiegare che, trattandosi di un’opera antologica, sono presenti anche testi tratti da altri libri precedenti, e alcune liriche –contenute nella sezione dal titolo “Carta nivura”- in dialetto siciliano.
Da: “I tempi dei bambini”:
Era farsi (a Ignazio mio gemello)
Ai piedi del letto il tempo non passava
Era farsi grande raccontare una storia
E la storia non era più una storia
era farsi padre
il suo disegna non era farsi grande
non era orizzonte la sua mano
Il dolore era farsi carta
farsi carta per i troppi desideri
Il suo mondo era grande ed impreciso
la forma del suo cranio
una farfalla
***
Paginatura
I tempi dei bambini
mi fanno zoppicare
mi segnano col dito
E quando toccano le cose
l’aria comincia a respirare a disegnare
la sua punteggiatura
***
La cin-cin-tura
E spaccano la parola in quattro
i bambini che non hanno lingua
La cin-cin-tura il cerchio che si inventa
un suono
la sillaba che curva le parole
C’è solo da rifare tutto intorno
tradire tra di loro le risposte
Da riparare
senza il logopedico discorso.
***
Il grafico dei non lo so
La bambina non prende gioco
alla bambina.
Per alcuni passi
va camminando così.
Non si arriva. Si scordano le prove
si difende la ferita:
il grafico dei «non lo so»
***
Da: “Quando il tempo si fa tempo”
Dove mi porti (con dedica)
Parlami così. Come si fa grande.
Come da qualche parte il tempo ricomincia
quando carta su carta è conta disuguale
quando io sono farfalla e tu sulle mie ali.
Parlami così.
Come risulta il mondo alle domande
quando alla fine non diventano parole.
***
Il mio
Riparami madre
tra le tue braccia
dai malcurati amori
dai tuoi terrori
Non parlarmi più
Devi trovarmi
Devi indovinarmi
E’ pure mio
tutto lo spavento tuo
di esistere.
***
Da: “Le voci dei bambini” (per Agota Kristof)
I
La madre pettinava la bambina
lavava la sua faccia
– Mi fai male nella testa –
E lei chiudeva gli occhi
Nascondeva le bambole
prima di addormentarsi
E a che nascondeva gli occhi
era un segreto
bianco sul foglio bianco.
II
Vado piano per la strada
Gli aquiloni lo chiamavano
per nome
potevo nascere due volte
– Papà dove mi porti?-
III
Il bambino cattivo
La storia nascosta
ricompare
patto di gomma e di matita
Neanche mia madre se ne accorge
A disegnare quelli che sono veri
ti voglio dire questo «gioco»
Qui ho il vetro nella gola
A disegnare quelli che sono veri
a disegnare per ultimo mio padre.
IV
Hanno detto che era una bugia
o forse che era un sogno
«Io sono il bambino cattivo»
«Non devo parlare»
«Non si tradiscono i segreti».
Cinzia Demi