Le principali considerazioni emerse dai recenti dialoghi italo-francesi per l’Europa della LUISS e di Sciences Po (22 settembre 2021).
Nell’imminenza degli incontri “Youth for climate” e “PreCop26” che hanno avuto luogo dal 28 settembre al 2 ottobre a Milano, i “dialoghi italo-francesi per l’Europa” della “LUISS Guido Carli” e di “Sciences Po” organizzati dallo Studio “Ambrosetti” con il contributo di “Edison” hanno lì riunito il 22 settembre presso questa e in webinar: la giornalista Maria Latella come moderatrice, la Vice Presidente della “LUISS” Paola Severino, l’Amministratore Delegato della “Edison” Nicola Monti, il Professore di Sociologia Politica a “Sciences Po” e alla “LUISS” Marc Lazar e il Presidente dell’“IPSOS Italia” Nando Pagnoncelli, il quale ha presentato l’indagine sul punto di vista degli italiani e dei francesi sulla lotta al cambiamento climatico effettuata dal 1° al 7 settembre su un campione di 1000 persone tra i 18 e i 75 anni d’età per paese.
Ne emerge che nonostante il livello culturale più alto tra gli intervistati francesi (34% di laureati) rispetto a quelli italiani (17%), e nonostante che la maggior parte di loro sia attiva professionalmente (66% a fronte del 56%), il cambiamento climatico è considerato come un’emergenza da affrontare più dagli italiani (81%) che dai francesi (72%), tra i quali sono di più (24%) rispetto agli italiani (16%) quelli che ritengono questo cambiamento una normale evoluzione planetaria. Anche il problema dell’aumento della temperatura media è sentito di più dagli italiani (71%) che dai francesi (55%) – ritenuto anch’esso normale, rispettivamente dal 26% e dal 41%- , pur tenendo conto che tra questi ultimi il 39% degli intervistati sono delle regioni più a sud della Francia (dalle latitudini dell’Auvergne a quelle della costa sul Mediterraneo e della Corsica).
Il richiamo a una maggiore sensibilizzazione delle responsabilità sembra più forte tra gli italiani che tra i francesi poiché, rispettivamente, i problemi della gestione dei rifiuti e del controllo delle emissioni appaiono prima degli inquinamenti dell’aria e idrici, e poiché le attività umane sono considerate rispettivamente per il 55% e il 47% come le principali responsabili del surriscaldamento globale: in particolare quelle del settore energia, petrolio e gas (primo nell’ordine per gli italiani e francesi), di quello chimico (secondo nell’ordine per gli italiani terzo e insieme al nucleare per i francesi perché per questi è al secondo posto quello del trasporto aereo, mentre gli italiani considerano al secondo posto quello dei veicoli privati).
Maggiori sono tra i francesi rispetto agli italiani le conoscenze dell’accordo di Parigi del 2015 (53% e 46%), della carbon neutrality ossia il bilanciamento tra emissioni di gas serra generate ed emissioni riassorbite (58% e 36%), ma minore è la loro fiducia nelle opportunità di lavoro offerte dalla transizione energetica, nei benefici anche paesaggistici dei nuovi impianti di produzione di energia verde, e nelle regole governative (24% e 30%), mentre rimane maggiore l’importanza della responsabilità delle aziende (34% e 28%). Anche perciò l’incentivo economico dello Stato è auspicato di più in Italia che in Francia, come il suo controllo dei processi produttivi e distributivi (rispettivamente 49% e 41%) e le certificazioni ambientali.
Riguardo all’informazione (e sempre in base alle percentuali delle risposte) la fiducia nei ricercatori scientifici e accademici è maggiore in Italia (44% rispetto al 33%), e quella nei giornalisti è inferiore (5% rispetto al 9%). Nei comportamenti, esclusi quelli dovuti alle differenze ambientali e d’infrastrutture (es.: minore rinuncia dell’aria condizionata in Italia: 50% rispetto alla Francia: 61%; o dell’aereo, rispettivamente: 49% e 53%), quelli volontari si differenziano in particolare nella scelta d’un minor consumo di carne (meno di 4 volte alla settimana) in Italia (45% rispetto al 39%), e d’un minor consumo d’acqua in bagno in Francia, poiché il 47% dei francesi a fronte del 42% degli italiani intervistati dichiara di non utilizzarla per la vasca o la doccia più di 2 volte alla settimana. Inoltre gli italiani preferiscono di più acquistare prodotti e servizi dalle aziende che salvaguardano l’ambiente (42% rispetto al 37%, e richiesta d’informazione sul loro impatto ambientale: 48% rispetto al 38%), mentre i francesi preferiscono di più i prodotti di seconda mano (42% rispetto al 32%). La raccolta differenziata è curata di più in Italia (68% rispetto al 60%), in particolare quella dei resti di cibo e simili (81% rispetto al 54%).
Allora gli italiani appaiono complessivamente più sensibili dei francesi alle esigenze relative al cambiamento climatico, e le loro richieste d’informazioni sembrano tanto più frequenti quanto queste (come ha confermato anche Latella) appaiono più diffuse tra i francesi; i quali (come ha concluso Pagnoncelli nel suo rapporto) restano complessivamente più scettici sulle opportunità di crescita, sviluppo e occupazione della transizione energetica.
L’utilità dei dialoghi si è ancora una volta confermata con gli esempi che Monti ha opposto a questi scetticismi, evocando sia la crescita occupazionale già avutasi dall’inizio della transizione, sia le misure per gli adempimenti ecologici che vieppiù diventano una responsabilità delle piccole e medie imprese (tipiche del sistema economico), dopo che quelle maggiori hanno dovuto inserirla come elemento determinante nella loro organizzazione. E si è ancora una volta confermata con le osservazioni di Lazar, poiché agli scetticismi che persistono (più tra i francesi che tra gli italiani) sulla parte dello Stato e degli enti pubblici rispetto a quella delle imprese in questa transizione, egli ha opposto come esempio la maggiore stima riconosciuta a quelli sanitari dove il covid-19 è stato più tragico.
Tutto ciò al di là delle contingenze politiche poiché, indipendentemente dal peso elettorale sia degli ecologisti che degli altri partiti (e dei loro leaders) nel sistema, i cambiamenti climatici e le transizioni fanno ormai parte di quei fenomeni di globalizzazione che, insieme agli esempi dei dissesti idrogeologici avutisi recentemente in Europa, uniscono sempre di più le coscienze dei giovani e dell’opinione pubblica, fino a ridurre le divergenze nei reciproci sentimenti tra Italia e Francia avutesi anche nel recente passato. E fino a dover tenerne conto non solo alla COP26 a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre, ma anche costantemente nelle iniziative della Conferenza sul futuro dell’Europa, del cui Comitato Scientifico per la partecipazione dell’Italia Severino è copresidente.
Lodovico Luciolli