Lo straniamento nel ritrovarsi nuovamente a Itaca

Leggendo “Il romanzo più bello del mondo – L’Odissea raccontata da Nicola Gardini” (Garzanti, 2025, pp. 240, 18 Euro) ho avuto la sensazione di vivere un viaggio nuovo e affascinante. Intendiamoci: non ero completamente digiuno di epica classica, anzi, conoscevo l’opera, la trama, i personaggi; conoscevo l’ambientazione e di certo ero al corrente di tanti riferimenti intertestuali come l’Ulisse nella Commedia di Dante e quello di Joyce. Avevo persino letto e apprezzato alcune opere più moderne (a chi non vengono in mente i versi di Tennyson e Pascoli, o l’idealizzata Itaca di Costantino Kavafis?). Recentemente avevo ritrovato – con piacere – Ulisse persino nelle letture più ricreative, avvicinandomi alla trilogia di romanzi intitolata Il mio nome è Nessuno di Valerio Massimo Manfredi.

Eppure, con l’Odissea, mai avevo ricevuto un’illuminazione più folgorante di quella che ho sperimentato leggendo il libro di Gardini. Lì la figura di narratore e quella di professore si incontrano e si mischiano magnificamente. Non c’è solo la voce dello scrittore, attento alle parole e alla trama, attento nell’offrire una traduzione dei passi più cruciali prestando l’orecchio all’aderenza del significato originale senza sminuire troppo la musicalità dell’esametro, la cui cadenza è parimenti evocata da Gardini nel verso in lingua italiana; lì c’è anche (soprattutto?) la voce del docente, che mostra relazioni lontane, che spazia da Ariosto ad Atwood, da Virgilio a Shakespeare, che rende visibile il non detto, che rievoca sapientemente le convenzioni culturali del tempo per gettare una luce più autentica sulle vicende narrate, favorendo un’esperienza ermeneutica più profonda e certamente più corretta. Per esempio, io non sapevo che lo starnuto fosse segno di buon auspicio, ma Gardini ce lo fa notare per interpretare meglio una certa scena dell’Odissea, poi ci ricorda che anche Catullo, tutto sommato, riprenderà questo particolare, e così crea un ponte inaspettato tra la tradizione greca e la poesia latina.
Questo fanno i veri appassionati che sanno trasmettere amore per la materia del loro studio: azzardano paragoni, accorciano le distanze, mettono in relazione cose lontane, e noi restiamo ammirati da questo turbine.

L’intertestualità, però, non è l’unico pregio di quest’opera. Gardini, con pacatezza e fermezza al tempo stesso, approfitta dell’Odissea per presentare e motivare alcune idee personali sulla vita, sul mondo, sulla cronaca. Non sono pertanto infrequenti i riferimenti alla contemporaneità e ai problemi che affliggono la politica, la storia, e la società odierna di cui si legge spesso sui giornali. Accoglienza, migrazione, guerra, avventura, lealtà, coraggio, introspezione, sofferenza… tutte queste cose, di cui l’Odissea è pregna, trovano dei riferimenti nella nostra routine quotidiana, e Gardini non perde occasione per regalarci le sue riflessioni a riguardo, sempre con tatto e delicatezza verso il lettore, senza imporsi ma convincendo con ragionevolezza.
Le storie millennarie di Omero si proiettano fino al presente, rivelandosi attuali, dimostrandosi all’altezza di generare riflessioni moderne. D’altronde, a cosa servono i classici se non si riesce a collegarli con la realtà contemporanea di chi legge? Gardini, uscendo dallo stile impersonale della saggistica accademica (da professore che insegna a Oxford, avrebbe potuto trincerarsi dietro una scrittura meno soggettiva e più distaccata), ci tiene a confidarci cosa l’Odissea abbia significato per lui, invitando in questo modo il lettore a trovare nei percorsi di Ulisse un riferimento alle intimissime vicissitudini, anche interiori, di ciascuno di noi.

Nicola Gardini

E adesso lasciatemi passare a una riflessione un po’ più personale. Gardini, come il sottoscritto, appartiene a quella schiera di persone (n.d.r. di Altritaliani !) che non hanno trovato spazio in Italia e che spesso a malincuore, o per lo meno con amarezza o nostalgia, si sono visti costretti emigrare pur di realizzarsi professionalmente. Certo, si è felici di aver un buon lavoro all’estero, di aver ricevuto il meritato riconoscimento per le proprie capacità, ma lo sguardo che si allunga verso la terra dell’infanzia si colora immancabilmente di malinconia. Magari si fa ritorno per una visita fugace, per una ricorrenza, per qualche settimana di ferie, ma la vita “vera” resta ormai altrove, spesso trapiantata in una terra fredda e nordica.

Ora, se c’è qualcosa di profondamente radicato nell’Odissea, quella è indubbiamente la solitudine e la nostalgia dell’eroe, che invece crede che la vita “vera” sia a Itaca soltanto. Ulisse è solo a combattere le proprie battaglie, è un’anima inquieta che desidera ardentemente il nostalgico rientro a casa. Nostalgia, si sa, vuol dire dolore per il ritorno.

Ecco allora i passi che mi hanno commosso e con i quali sono riuscito a entrare in sintonia, certo di aver compreso appieno anche i sentimenti dell’autore, che a ogni rientro in Italia immagino paradossalmente smarrito piuttosto che ritrovato.

Scrive Gardini commentando uno dei libri finali dell’Odissea: “Ulisse non riconosce Itaca. Si sveglia e non sa dov’è. Anche questo straniamento è bello. (…) Ulisse ha davanti la terra natia tanto cercata e si dispera. Stupendo ossimoro! Omero non avrebbe potuto inventare una situazione psicologica di maggiore intensità: l’alienazione del reduce. Rileggano questi versi tutti i facili celebratori del mito del ritorno! (…) C’è (…) una lentezza del cuore, che, muovendosi nell’ignoto, cerca di non smarrirsi. E l’ignoto, come mostra questo episodio, può essere addirittura la terra natia. Itaca non è lì bell’e pronta, come lui stesso credeva. Itaca va ricostruita e non c’è niente di strano, poiché niente di quello che crediamo di avere è definitivo. Ognuno di noi non fa che reinventare le cose della sua vita. La continuità è solo un’illusione. La memoria non basta ad ancorarci al presente. Noi non smettiamo un momento di ricominciare.”

Tutti abbiamo la nostra Itaca, anche chi non è mai emigrato ne porta una nel cuore. Itaca è uno stato dell’animo, un desiderio, un impegno. Questo ci insegna Gardini, rileggendo l’Odissea (anche) in chiave psicologica: che ciascuno di noi, ritrovando finalmente qualcosa che si era perduta, ha bisogno – come Ulisse – di ricominciare a ricostruirla daccapo.

Recensione di Giuseppe Raudino

SCHEDA DEL LIBRO E RIASSUNTO SUL SITO DELL’EDITORE

L’AUTORE:
In breve, Nicola Gardini è nato da padre mantovano e madre molisana nel 1965. E’ scrittore e pittore. Attualmente insegna all’Università di Oxford con il titolo di Professore di Letteratura Italiana e Comparata. Collabora con “Il Corriere della Sera”, il “Domenicale” del “Sole 24 ore” e “Times Literary Supplement”.
SITO DI NICOLA GARDINI QUI: https://www.nicolagardini.com/
BIO completa QUI: http://www.nicolagardini.com/biografia/

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Giuseppe Raudino
Giuseppe Raudino nasce a Catania nel 1977 ma vive a Siracusa fino agli anni del liceo. Si appassiona presto al giornalismo, attività che porta avanti insieme agli studi in Scienze della Comunicazione presso l’università di Siena, dove si laurea con una tesi in Semiotica su Umberto Eco nella quale ne analizza gli scritti teorici sul comico e i giochi linguistici. Nella metà degli anni 2000 si trasferisce definitivamente in Olanda per insegnare materie inerenti a giornalismo, teoria dei media, antropologia e metodologia della ricerca presso l’Università di Scienze Applicate di Groningen. Accanto all’attività accademica, Giuseppe Raudino si dedica anche alla narrativa. Tra le sue pubblicazioni più recenti ci sono due romanzi, entrambi usciti nel 2019: 'Mistero nel Mediterraneo' (Genesis Publishing) e 'Stelle di un cielo diviso' (Alessandro Polidoro Editore); nel 2022 'Quintetto d'estate' (Ianieri Ed.) e nel 2024 'Il fabbro di Ortigia' (Bibliotheka Edizion).

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