La storia è davvero maestra di vita. In occasione dell’anniversario della Repubblica, la nostra Festa Nazionale che unisce tutti gli italiani fuori e dentro i confini, ripercorriamo con Alberto Toscano cosa fu il 2 giugno 1946 per l’Italia che diventava repubblicana, che dava finalmente il voto alle donne, con il miracolo Costituzione che fu punto di compromesso e di unione tra le più diverse forze politiche. Un esempio di riconciliazione che farebbe bene anche oggi che la politica sembra eternamente divisa su tutto. Eppure, sugli interessi di parte, dovrebbe sempre prevalere la ricerca del bene del Paese.
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«Voi italiani avete la fortuna di avere sia la pasta al dente sia una Costituzione bellissima; la prima cosa la date per scontata, la seconda ve la siete dimenticata!», mi ha detto una volta, con un bel sorriso, una simpatica giurista francese. Il testo costituzionale italiano è stato il frutto di quelle straordinarie alchimie politiche e sociali che si verificano ancor più raramente delle eclissi solari. Soprattutto in Italia. La voglia di accordo e anche di compromesso ha avuto la meglio sulla ricerca di interessi settari o comunque particolari. «Compromesso» non è una parolaccia. A dispetto dell’assonanza, non indica affatto una disponibilità a «compromettersi», nel senso di una possibile violazione dei valori e delle regole.
L’oggi vituperato compromesso è il sale di ogni democrazia liberale, ovvero della maggior parte delle democrazie occidentali, come la nostra, l’alternativa proposta dalle cosiddette democrazie illiberali è il prevalere sistematico (e non democratico) di una parte sull’altra, nell’assoluto disprezzo delle minoranze e delle diversità che sono pur sempre il sale dello sviluppo culturale di un paese. Una democrazia efficace ha bisogno di tre cose: il prevalere degli uni sugli altri attraverso la libera espressione dei cittadini, l’alternanza al potere e appunto la capacità di riunirsi in momenti eccezionali per trovare un accordo molto ampio nel nome dei principi fondamentali e fondatori.
Questo è stato il 1946 in Italia : il momento magico in cui la volontà dei cittadini ha potuto esprimersi liberamente malgrado una netta divisione in seno all’opinione pubblica (nella scelta monarchia-repubblica) e quello ancor più magico in cui un’Assemblea costituente ha lavorato per dar vita alla Legge fondamentale, entrata in vigore il primo gennaio 1948. Le tensioni ci sono state, talvolta molto aspre, ma alla fine, nel nome dell’antifascismo e della riconquistata libertà, è stato lo spirito di sintesi a prevalere.
Un aneddoto curioso e assai poco noto illustra simpaticamente le tensioni di allora come la voglia dei Costituenti di non spingerle oltre il livello di guardia. Alla fine dei lavori dell’Assemblea, quando ormai si trattava di «battezzare» il testo costituzionale della neonata Repubblica italiana, i parlamentari comunisti decisero di salutare l’evento alzandosi in piedi nell’aula di Montecitorio per cantare in coro L’Internazionale. La voce circolò tra i corridoi del Parlamento e il giornalista-deputato Guglielmo Giannini – fondatore e leader dell’effimero, ma allora molto forte, movimento dell’Uomo qualunque (da cui la parola «qualunquismo», rimasta nel gergo politico italiano) riunì i propri parlamentari per organizzare la risposta. Tutti insieme, si sarebbero alzati a loro volta in piedi per cantare Dove sta Zazà e le due melodie contrapposte – la comunista e la qualunquista – avrebbero simboleggiato in aula, in modo al tempo stesso ironico e serissimo, l’esistenza di due Italie pronte a schierarsi l’una di fronte all’altra subito dopo il varo del nuovo testo costituzionale.
Guglielmo Giannini organizzò persino una prova generale del coro di Dove sta Zazà, canzone scritta nel 1942 dal paroliere e attore napoletano Raffaele Cutolo e assurta a simbolo di una certa «italianità qualunque». Alla fine prevalse il buonsenso e le propensioni musical-politiche rimasero nel cassetto, consentendo agli italiani di gustare quello spicchio di concordia nazionale sulle ceneri della Seconda Guerra mondiale.
Proprio «Il Buonsens » era il titolo del quotidiano creato da Guglielmo Giannini sull’onda del successo del suo settimanale politico-satirico «L’Uomo qualunque», nato a Roma nel 1944 e divenuto appunto il cuore di un nuovo partito politico di destra.
Questa vicenda mostra quanto fosse forte la relazione tra giornali e politica nell’Italia di allora. Non solo i giornali di partito («Il Popolo» per la DC, «L’Unità» per il PCI, «L’Avanti» per il PSI, «La Voce Repubblicana» per il PRI e così via) erano importantissimi, ma un partito è stato appunto figlio di un giornale. In un’Italia senza TV (il piccolo schermo italiano si accenderà solo nel 1954, molto in ritardo rispetto ad altri paesi europei) e con un’informazione radiofonica «ingessata», i giornali erano il vero veicolo dell’informazione e del dibattito. Giornali d’ogni genere, nazionali e locali, quotidiani e periodici, politici e generalisti. Ce n’era per tutti i gusti, anche se talvolta i giornali cambiavano pelle nella testata, oltre che nei contenuti, per far dimenticare alla svelta il loro passato legame col regime fascista (legame inevitabile, essendo il fascismo una dittatura, ma comunque ingombrante).
Ecco dunque il più noto settimanale italiano dell’epoca «La Domenica del Corriere», ribattezzarsi per un breve periodo «La Domenica degli Italiani», come se questo potesse far dimenticare centinaia di copertine di pura apologia fascista. La «Domenica» nuova versione venne affidata alla direzione di Indro Montanelli, che nel 1946 ne battezzò la rinascita e il rilancio.
Nei mesi della campagna elettorale in vista della duplice consultazione elettorale (referendum monarchia-repubblica e scelta dei membri della Costituente) del 2-3 giugno 1946, la «Domenica» si tenne distante dalle polemiche politiche, scommettendo su un’informazione pacata e rassicurante, come fece nello stesso periodo il «Corriere» diretto da Mario Borsa (direttore del quotidiano nell’anno della transizione, dal maggio 1945 all’agosto 1946).
Le elezioni del 2-3 giugno 1946 sono state e rimangono un momento straordinario nella storia degli italiani. Le spaccature monarchici-repubblicani, sinistra-destra, ex partigiani – ex fascisti, esistevano ed erano talvolta nettissime, ma la voglia di ricominciare aveva la prevalenza su tutto il resto. E quella voglia di ricominciare era simboleggiata da un evento che sembra oggi normalissimo ma che era allora un vero cambiamento di grande portata : il voto femminile.
Nel 1946 le donne italiane ebbero per la prima volta il diritto di voto. Questo fa parte del 2 giugno. Questo è un elemento essenziale del 2 giugno. Oggi sembra incredibile che in vari paesi europei (Francia e Italia in primo luogo) si potesse un tempo parlare di «suffragio universale» escludendo semplicemente le donne. Sembra incredibile che fino al 1945 la democrazia (anche quando esisteva) venisse ufficialmente considerata «una cosa da maschi» anche da chi da secoli si autodefinisce come «la patria dei diritti dell’uomo».
Nell’Italia uscita dalla Resistenza, nell’Italia del 2 giugno 1946, i diritti dell’uomo e della donna sono stati riscritti alla luce di una straordinaria volontà di cambiamento e di giustizia. È da lì che bisogna sempre ricominciare.
Buona Festa della Repubblica a Tutti !
Alberto Toscano