Chi, oggi, volesse applicare lo stesso sistema dei “gironi” dell’Inferno dantesco a un’opera di valutazione delle capacità degli attuali rappresentanti politici italiani – nel senso d’immaginare una serie di cerchi concentrici; dal primo, cui assegnare i più bravi e meritevoli, ai successivi, per quelli di livello inferiore, fino ai più scadenti – avrebbe un percorso già segnato.
Inesistenti presenze ai “piani alti” e grande calca a quelli inferiori!
Ciò, in effetti, non dovrebbe meravigliare se solo si considera che, tolto qualche outsider dell’ultima ora – peraltro, già perfettamente allineato alla scadente media – non esistono più i “cani di razza” della mai sufficientemente compianta Prima Repubblica, ma solo quelli che una volta rappresentavano le seconde, terze e ultime scelte.
Tanti tra quelli che, per intenderci, una volta erano i c.d. “portaborse”. Non è quindi un caso se anche le più alte figure istituzionali del nostro Paese, prodotti di quel “vivaio”, appaiono scialbe e senza appeal! E’ quindi in questo contesto che nasce il governo Gentiloni.
Un governo che, in tanti, si sono affrettati a definire “fotocopia”, per indicare la sostanziale coincidenza – dei suoi componenti – con la “squadra” che fu di Matteo Renzi.
Naturalmente, da un lato, ciò rivela già l’assoluta debolezza e inconsistenza politica del nuovo Premier, che si mostra incapace di individuare e costituire un proprio team di ministri e – cosa mai verificatasi in una democrazia occidentale, neanche nel nostro bistrattato Paese – preferisce ereditare i componenti del precedente governo dimissionario, piuttosto che sceglierne dei nuovi di suo gradimento.
Dall’altro, se la definizione di governo fotocopia è utilizzata, come io credo, per fare riferimento al famoso Spadolini II – che succedette allo Spadolini I – con lo stesso Premier e gli stessi Ministri, riconfermati (tutti) negli stessi incarichi, credo si commetta un grossolano errore.
Lo reputo tale perché, di là dell’abissale differenza tra il Premier dell’82 e l’attuale, Spadolini succedette a se stesso e, in ossequio alla coerenza, per rimarcare la bontà delle sue scelte originarie, riconfermò la stessa compagine governativa; finanche gli stessi sottosegretari, ad eccezione del defunto Francesco Compagna.
Nel caso Renzi/Gentiloni, parlerei, piuttosto, di governo “Ribollito”; servito al Paese da uno scialbo Mattarella.
Gentiloni, piuttosto, rinunciando all’assolvimento del primo compito istituzionale di un qualsiasi Primo ministro, la scelta, cioè, della lista dei ministri da sottoporre all’esame del Capo dello Stato, si dimostra succubo di volontà e decisioni altrui.
Una partenza a handicap, nel senso della mancanza di quell’autorevolezza che rappresenta una dote indispensabile per svolgere il gravoso compito cui è stato, comunque, chiamato.
Peraltro, un’altra chiave di lettura – non so fino a che punto volutamente ignorata dai mezzi d’informazione e da ogni altro commentatore – risulterebbe tanto chiara quanto inconfutabile; addirittura devastante per il precedente Premier. Unico punto positivo di tutta la vicenda, per il sottoscritto!
In questo senso, se la squadra del precedente governo aveva così positivamente espresso le sue capacità e efficacemente assolto ai suoi compiti – tanto da indurre il nuovo Premier a rinunciare alla sua prerogativa di nominare nuovi ministri e riconfermarla quasi in blocco – il solo avvicendamento del Primo ministro rappresenta, in modo inequivocabile e irreversibile che Renzi era l’unico non sufficientemente adeguato e all’altezza dei compiti assegnatigli.
Renato Fioretti