La poetica di Marco Vitale con alcuni testi da ‘Gli anni’

Per Missione Poesia presentiamo oggi Marco Vitale, un poeta che affronta nei suoi libri un percorso non scevro dalla paura del silenzio, dallo spauracchio del vuoto interiore, dalla visione di una solitudine infinita dalla quale è necessario sottrarsi: l’essere accomunato ad ogni uomo, in questo, è ciò che rende lieve il cammino e dona forza allo scrivere.

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Marco Vitale (Napoli 1958) vive a Milano, lavora alla biblioteca del Politecnico, ma opera anche per la traduzione letteraria e le collaborazioni editoriali. La sua poesia è raccolta nel volume Gli anni (Nino Aragno Editore 2018) e comprende i seguenti libri: Monte Cavo (Edizione del Giano 1993), L’invocazione del cammello (Amadeus 1998),  Il sonno del maggiore (Il Bulino 2003) (poi in Bona Vox, Jaca Book 2010), Canone semplice (Jaca Book 2007), Diversorium (Il Labirinto 2016). Numerose le sue edizioni a tiratura limitata in collaborazione con artisti come André Beuchat, Alberto Casiraghy, Elisabetta Diamanti, Carlo Lorenzetti, Gianluca Murasecchi, Giulia Napoleone, Enrico Pulsoni. Raccolte antologiche della sua poesia sono state tradotte in tedesco (Ein Winter, Josef Weiss Editore, Mendrisio 2008, a cura di Maja Pflug), in romeno (“Ramuri”, n. 9, 2019, a cura di Carmen Teodora Fageteanu) e in inglese Emblems of Sleep and Other Poems (Gradiva Publications, New York 2020, a cura di Barbara Carle). Due suoi racconti sono usciti in edizione d’arte con incisioni di Gianluigi Bellucci (La prima neve, Zatter&Zueca 2018). Ha pubblicato la monografia Parigi nell’occhio di Maigret, Unicopli 2000 (nuova edizione 2013) e curato il volume intervista a Evaldo Violo Ah, la vecchia BUR!: storie di libri e di editori (Unicopli 2011). Per la stessa casa editrice cura la collana “Le città letterarie”. Tra le sue traduzioni le Lettere portoghesi )Bur 1995), Gaspard de la Nuit di Aloysius Bertrand (Bur 2001), Stanze della notte e del desiderio di Jean-Yves Masson (Jaca Book 2008), Miseria della Cabilia di Albert Camus (Nino Aragno Editore 2011), Vita e opinioni filosofiche di un gatto, di Hippolyte Taine (Il ragazzo innocuo 2019).

Conosco Marco Vitale da diverso tempo come autore, e dall’estate scorsa personalmente. Posso dire che la sua poesia si legge con una levità che è pari al suo modo di scrivere, di essere e di sentire: nella profondità dei sentimenti che lo accompagna, nell’eleganza dei gesti e nella semplicità di relazione che lo contraddistingue, si svela l’essenza non solo dell’uomo ma anche del poeta. Mi ha, da subito, colpito la sua voce pacata e la modalità di espressione che traspare dalla sua visione, dai contenuti coinvolgenti e comprovanti un percorso di vita e di esperienze che non ha potuto non diventare esperienza poetica, anche per gli incontri con grandi autori contemporanei, suoi maestri; per la nascita e la formazione in diverse città italiane; per gli studi di alcuni grandi autori francesi che ha voluto tradurre. Il suo sguardo si posa sulle cose, ne coglie i particolari, ne rivela il nucleo pulsante e si traduce in testi che appartengono a pieno titolo alla grande poesia contemporanea.

 Gli anni, di Marco Vitale, Nino Aragno Editore (2018, 25€)

Per parlare della poetica di Marco Vitale, e in modo specifico dell’antologia Gli anni, che raccoglie un percorso di scrittura che va dal 1985 al 2017, è necessario partire da un’affermazione dello stesso autore, che ci permette di entrare nella sua duplice attività di poeta e traduttore. Infatti, egli dice: “Col passare degli anni la dimensione memoriale ha acquisito nel mio lavoro uno spazio maggiore, in un dialogo nel mondo degli affetti – compresi quelli letterari – che nell’assenza, e nel congedo, privilegia ormai per forza la pagina. Questo, e non è solo mia impressione, ha fatto sì che i testi più recenti inclinino a una maggiore narratività. È una dimensione in cui mi ritrovo […] Nel mio lavoro riconosco che un influsso importante mi è venuto dalla traduzione letteraria, per l’abitudine a riflettere sulla parola, a prendere le misure, a “entrare” in un testo come solo la traduzione consente di fare, fin nelle sue pieghe più riposte”.

Nell’ultimo articolo pubblicato nella rubrica Missione Poesia, a proposito della poetica di Davide Puccini (ma non è l’unico caso), abbiamo sottolineato di come la modalità “di racconto” che assume certa poesia sia di conforto, non solo per il poeta, ma anche il lettore che si ritrova in questa stessa modalità, si identifica con l’autore e il suo sentire e ne condivide l’esperienza di vita che diventa, appunto, esperienza di poesia. Ebbene, Marco Vitale, con l’ammissione di una svolta stilistica che corrisponde ad una necessità di racconto, dovuta alla corrispondente necessità di indagare maggiormente sulla dimensione memoriale e sul mondo degli affetti, ci conferma questa teoria. In tanti anni di lavoro sul genere se una cosa l’ho imparata è proprio questa: la poesia è necessaria, la poesia serve all’animo umano proprio perché riesce a dire le cose più profonde, come le più quotidiane, indagando nella coscienza del poeta che può così aprire le sue porte alla coscienza collettiva e universale, semplicemente raccontando. Raccontando non come la prosa, sia chiaro, e usando tutte le forme retoriche che sono congeniali al genere, ovviamente, altrimenti non possiamo più parlare di scrittura in versi ma, va detto che, addentrandosi in quelle pieghe strette, in quei cunicoli verticali, in quelli squarci saturi di sensi, è proprio così che la poesia, da sempre, conquista il cuore di tutti, dalla notte dei tempi, da quando venne eletta ad arte, risalendo antropologicamente ai primi uomini che la utilizzarono come mezzo per esprimersi.

Ecco dunque che, leggendo i testi di Vitale, passando da una raccolta all’altra, di questo grande, raffinato ed elegante contenitore, il libro Gli anni, che a cominciare proprio dal titolo simboleggia un percorso piuttosto lungo nel tempo, noi ritroviamo il racconto che ci serve per conoscere il poeta e condividerne l’esperienza. È così che i testi di Monte Cavo, prima opera edita di Vitale, delineano già piuttosto chiaramente l’indirizzo che prenderà la sua poesia partendo proprio dalla costruzione di un qualcosa, come fosse un palazzo, di cui si gettano le prime fondamenta, sapendo che le scelte successive viaggeranno in modalità uniforme per creare una casa in cui abitare i propri sentimenti, le proprie emozioni, nella presenza e nell’assenza, nei pieni e nei vuoti che saranno conseguenti allo stare al mondo. Ed è già proprio da questa prima raccolta che sarà evidente anche la liricità della cifra stilistica, a cui Vitale resterà fedele, se pur rinnovandola e caratterizzandola da un suo peculiare e prezioso disegno linguistico: Stese assorta la notte/sulla mensa/un drappo vivido/di piaghe, sul suo ligneo/incarnato/fu presto un vortice/di meraviglie.

Quando uscirà L’invocazione del cammello, la successiva raccolta che porta questo titolo piuttosto singolare (che riprende, come dice Giancarlo Pontiggia nell’introduzione, il riferimento alle Aventures prodigeuses de Tartarin de Tarascon) lo scarto tra l’ironia e l’affanno, impersonati dal lento e impacciato animale, lo renderanno portavoce proprio di quei valori e di quelle intenzioni che l’autore ci chiede di maneggiare con cura, come gemme preziose, perché custodiscono la memoria necessaria, quella che getta le basi per guardare al futuro traendone insegnamento e che costellerà la sua poetica: Un passero. E ti par poco?/Quella delizia che spezzo di Lesbia/il duro cuore e che pianse Catullo/la lasceresti per un bel piumaggio/tu da pavoncella/da egizia principessa in cinerama/ohimè, da Wanda Osiris?… così come avverrà per il racconto in versi Il sonno del maggiore che vede, questa volta, protagonista un prozio, fratello della nonna materna, un uomo che assurge quasi ad essere magico, muovendosi in tempi e luoghi diversi, con intrecci tra storia personale e macro storia, sullo sfondo di un deserto che pare quello dove Gesù passò il suo tempo di digiuno, con la sabbia a scandire la quaresima della vita: Forse il ritorno nella luce è segno/quaggiù nella colonia che è sparita//Buio fuoco dell’iride mi danna/ogni comando è sabbia.

Ma, ancora, con la loro maggiore complessità e apertura verso gli altri, verso i luoghi, verso i pensieri e verso la memoria stessa, sono le due raccolte finali del libro, Canone semplice e Diversorium, a rappresentare il cuore pulsante dell’intera opera: l’attenzione che Vitale dona a ogni segno svelando la grazia dell’ascolto, anche ai minimi dettagli, – attenzione che evidenzia il quid di questa poesia – (Canone semplice): Capivo che era tutta/lì, quell’indicibile dolcezza/quelle tinte quei rossi/qegli azzurri e i gialli/donati dalla Caritas/E niente, niente che non avesse/il peso di una neve/benefica o una carezza/tra il marciapiede e le stelle … il quid che è anche il desiderio di perseguire un principio che non prescinda dalla verità, intersecandosi inevitabilmente con l’amore, prima fonte d’ispirazione (Diversorium): Chi può dirtelo amore tutto il segno/a te nascosto che governa e/tocca anche le redini del giorno?/e se accade poi fugge e non lo/rendi più che festuca rilucente/in riva all’acqua. Eppure niente/niente più dolce che narrarlo/ancora illeso di tepore e d’enigma

Attenzione, verità e amore, dunque, sono gli elementi che rivelano testi plasmati per inventare qualcosa che va oltre, che va aldilà della consistenza del solo reale o del solo immaginario. È la capacità di creare un tempo e uno spazio nuovi, disseminati di dolori, affanni, inquietudini, perdite ma, al tempo stesso, anche di assaporare la vita con la lievità necessaria che può donare il gusto per gli affetti come per la bellezza, per la contemplazione come per l’ammirazione, in un’unità di misura che diventa la cifra utile a stabilire il ruolo che l’autore ritiene di avere all’interno di quest’arte: quello di custode e tramandatore della stessa, aprendosi a tutti coloro che vorranno condividerne contenuti e senso estetico, come in un affresco collettivo creato a più mani, per la funzionalità dei particolari e dell’insieme che ne è il risultato.

Ma, dicevamo all’inizio, un altro elemento molto significativo, che comporta un’influenza notevole sulla poetica di Vitale, è la sua attività di traduttore, per la quale egli si è occupato principalmente di autori francesi, sia moderni che contemporanei. In un’intervista il poeta dice che: “Fare i conti con un’altra lingua, le sue strutture, le sfumature del suo lessico è un esercizio a cui un poeta non si dovrebbe sottrarre. Si tratta di un aiuto a riflettere, un arricchimento di cui personalmente ho sentito il bisogno in più momenti del mio percorso letterario.” Oltre a questo, naturalmente, è innegabile che la frequentazione e la conoscenza di testi di autori, quali Francis Jammes, Guillaume Apollinaire, Pierre Morhange, Alphonse Daudet, non può passare in second’ordine e non può non incidere, in maniera considerevole, sugli scritti di Vitale che ne dà conto anche con diverse citazioni nelle varie sezioni dell’opera.

Si potrebbe concludere che la poesia di Vitale, ambientata in vari luoghi, quali Milano, Venezia, Cerveteri e Napoli, nella quasi totale brevità dei componimenti è popolata da figure che imprimono il sigillo sulla memoria per una proiezione nel futuro, come anticipato sopra, non senza la paura del silenzio, lo spauracchio del vuoto interiore, la visione di una solitudine infinita dalla quale è necessario sottrarsi così come ogni uomo, poeta o meno che sia, cerca di fare: ed è innegabile che la consolazione di questa dimensione, che accomuna tutti, è proprio quella che rende lieve il cammino e dona forza allo scrivere.

Alcuni testi da Gli anni:

(da: Monte Calvo)

Il malinconico giorno dei malinconici
nostri ritorni
forse non esiste
ma le stazioni appena un soffio
stravagate
lentamente si sfanno
e annotta il rosso come un melograno
sulle mie mostrine

***

(da: Canone semplice)

I muschi i dolci legni dei presepi
i colorati gessi e la plastica
leggera di grandi bambole
sedute sbigottite… il dopoguerra
che non mi hai detto
ed io ne immaginavo da una patina
che fa offesa al ricordo solo pochi
riflessi di una luce

Forse non era spenta
ancora quella luce
Oh non tutto
era finito per sempre

***

In fondo alla radice il lume
che racchiudi e che mi avvicina a te
da quanto caro tempo anima mia
e ti penso e non è foglia
lungo i rami ma teso
nero disegno delle fibre e delle acque

Parco nel gelo, i passi di un amico
luce come inganno di tortora. Tu
se risalivi insieme a me
fino all’idea di Montorio
ma era in che giorno, in quale
anno di trascorsa grazia? – o più giù
del lungotevere girando
per la chiesa degli orafi
e il cuore sente che non cassa
più lo tiene non laccio
che tu a lui non sia

***

(da: Diversorium)

Quante care parole e così dense
nodi quasi tra corpi
di desiderio ci siamo detti amore,
era ancor buio e ne vibravano
così lontane stanze, fuori
ancora un transito di stagione
che già riaccende nel brusio i suoi lumi
d’accorato rimpiangere,
di piaga non sanata e avvia
verso un più duro punto. Ma tu
cuore in alto serbato, votivo
giorno di pienezza in ambigui
muri di novembre e più distanti
sortilegi, e fiori
di un’impossibile offerta, tu
segui il tuo corso, al mio pensiero impigli

***

A volte una poesia è soltanto un piccolo
commento su una foto
un soffio fatto di niente come dire
guarda, come sorridevate
qui quando la luce
dorava un giorno senza fine, guarda
come eravate giovani, che buffi
gli abiti di allora. Dove siete?

Cinzia Demi
Bologna, 12 dicembre 2021

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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