Proprio come il pescatore che cala l’amo in limpide acque per catturare pesci, così Robert Doisneau cala il suo amo, la storica Rolleiflex, per catturare immagini in ogni angolo del mondo. Ma prima di rileggerne il lungo percorso artistico, è importante tracciare anche il profilo umano di uno dei più grandi fotografi del Novecento, di cui l’Arengario di Monza ospita la mostra.
“Robert Doisneau. Le merveilleux quotidien”, una selezione di ottanta fotografie originali che ripercorrono i primi quarantaquattro anni della carriera del maestro francese, dalla sua prima immagine scattata nel ’29 a soli diciassette anni, fino alla sua opera del 1973, periodo storico in cui i protagonisti dei suoi lavori diventano soggetti e luoghi a lui molto cari come le banlieue parigine.
La rappresentazione del mondo che vede prende forma attorno a lui e da grande narratore, attraverso le immagini della realtà che è stato in grado di immortalare, ne proietta le scene della vita di tutti i giorni.
Quello che io cercavo di mostrare, dichiara l’artista, era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere.
Un’affermazione che pur retrodatata di alcuni decenni, si rivela capace di sdoganare la realtà storica contemporanea, una visione di storicità delle umane vicende che solo ai grandi è riservata, e che la dice lunga sulle narrazioni dei governanti di turno: una profondità di riflessione, una sorta di insolenza nei confronti del potere e di chi dovrebbe detenerlo per rendere meno triste l’attraversamento degli uomini nel loro breve viaggio sulla Terra. Ma ripeto! Chi è Robert Doisneau?
Nato a Gentilly, in Val di Marna, nel 1912, frequenta l’Ecole Estienne, dove dai quattordici ai diciott’anni studia l’incisione. Dalla bottega nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés all’acquisto della Rolleiflex, che diventerà una compagna fedele per molti anni, il cammino verso l’arte della fotografia si materializza, quando nel 1939, grazie a Lucien Chauffard, conosce Charles Rado, ideatore dell’Agenzia Rapho, ed inizia a lavorare come fotografo ed illustratore free-lance. La guerra alle porte che per molti mesi travolgerà la Francia e l’Europa, lo costringerà a fermare la sua attività. Sono gli anni delle riprese sulla difficile vita di Parigi fino all’insurrezione del ’44. Di questi anni sono le foto dei rifugi antiaerei, delle code per gli alimentari, delle tappe della Liberazione, dove ne documenta le fasi più importanti compreso il corteo con a capo il generale De Gaulle che partendo dall’Arco di Trionfo percorre gli Champs-Elysées accompagnato da una folla festante.
Sono immagini che una volta pubblicate lo mettono in contatto con Pierre Betz editore della rivista “Le Point” di cui diventa fotografo ufficiale. Superate le fasi del conflitto, la Francia del dopoguerra va alla ricerca di immagini per illustrare i giornali e le riviste e Doisneau anche per far fronte alle difficoltà economiche, inizia un lavoro intenso realizzando reportage, oltre a numerose immagini per uso pubblicitario. Nel 1945, conosce ad Aix-en-Provence Blaise Cendrars, lavora per Raymond Grosset, realizzando reportage per il settimanale “Action”.
È la Parigi magica del ‘900, crocevia di incontro per intellettuali ed artisti d’ogni campo, periodo dove conosce Jacques Prévert e Robert Giraud, guadagnandosi il prestigioso Prix Kodak. Sono gli anni in cui si viene strutturando quello che verrà definito nella storia della fotografia il reportage umanistico, un racconto visivo della realtà che pone al centro le vicende umane, l’uomo come protagonista di ogni immagine, i diversi momenti della vita, dai luoghi di lavoro o di passaggio, una valorizzazione dell’aspetto creativo del fotografo che si materializza attraverso il Gruppo dei XV, tra i cui esponenti troviamo anche Jean Michaud, Marcel Bovis, Henry Lacheroy e Willy Ronis, un insieme di artisti che riesce a conferire dignità alla fotografia, attirando l’attenzione non solo sugli aspetti più astratti dell’immagine, ma anche creando una poetica su di una Parigi riscoperta nei toni grigi dei selciati nelle prime luci del mattino, nelle strade che raccontano la straordinarietà e la bellezza del vivere quotidiano. E’ il racconto di una capitale sospesa tra la fatica di affrontare le piccole o grandi difficoltà e la capacità di rallegrarsi anche dei piccoli piaceri.
Negli anni sessanta, l’entrata della televisione nelle case cambia le strategie e le dinamiche di diffusione del mondo della stampa. Il lavoro che diminuisce consente all’artista di dedicare più tempo alla sua ricerca, dall’immagine sperimentale della Tour Eiffel deformata fino alla documentazione sulla trasformazione del quartiere di Les Halles. I viaggi in America ed in Russia lo riportano a Parigi con un atteggiamento critico rispetto al mondo surreale dell’ambiente americano di Palm Springs o di quello moscovita dove non riesce a muoversi con libertà.
L’ultimo importante incarico che lo vede protagonista è dato dalla partecipazione al progetto DATAR (Delegazione interministeriale alla gestione del territorio e all’attrattiva regionale), un progetto di grande respiro che lo vede impegnato insieme ad altri quattordici grandi fotografi europei, per la documentazione di paesaggi, luoghi di vita e di lavoro della Francia del 1980. Una sfida che Doisneau decide di risolvere con l’uso di immagini a colori per descrivere quelle banlieue a lui tanto care, ma che una lenta trasformazione in quartieri con edifici sempre più grandi, squadrati e senz’anima con le strade svuotate dalla gioia e con un’immensa solitudine che tronca il respiro, lo metterà di fronte ad una triste realtà.
Un “Maestro dello sguardo” è stato definito Robert Doisneau, come i tanti compagni di viaggio che come lui erano ben consapevoli dell’importanza della fotografia, da Lartigue ad Atget, da Henry Cartier-Bresson a Brassai, da Willy Ronis a Edouard Boubat, da Marcel Bovis a René-Jacques, da Robert Capa ad André Kertész, tutti “ladri” di immagini non solo legate ai grandi eventi ma soprattutto alle piccole storie, quelle degli ultimi.
E sono queste che contano di più, perché storie di grande umanità, dalle quali i potenti, gli “Inquisitori” di turno, potranno aggiornare il loro bagaglio umano molte volte miserevole e tirannicida. Le immagini di Doisneau coincidono con la sua visione del mondo, alla continua ricerca dell’uomo attraverso il suo girovagare per Parigi, alzandosi presto alla mattina, con i giardini, i passanti, i bistrot, la galanteria urbana, la Torre Eiffel, l’arredo urbano fatto anche di sedie e piccioni, e i personaggi incontrati nei caffè alla ricerca di una umanità di cui oggi restano solo brandelli.
Mi rifiuto di mostrare il lato nero della vita, diceva Doisneau, non amo la bruttezza, mi fa male fisicamente… ma la piccola malinconia, la commozione sono valori minori che però mi toccano più d’ogni altra cosa.
Fuori dall’Arengario di Monza, inoltrandomi per strade e stradine della linearia ed elegante cittadina lombarda, ho potuto cogliere appieno il senso della riflessione del grande fotografo d’Oltralpe. M’inoltro a captare immagini, a scavare meraviglie, proprio come un ladro d’immagini amico di Prévert, nell’incanto della Villa Reale da un lato, tra magnolie faggi e castagni dell’immenso Parco, e lo stupore degli affreschi della Cappella di Teodolinda all’interno del Duomo, dove fa bella mostra di sé la corona della principessa bavara, sposa di consorti longobardi, Autari prima e Agilulfo poi.
Raffaele Bussi
INFO PRATICHE:
Arengario di Monza
Piazza Roma – 20090 Monza
Dal 19 marzo – 3 luglio 2016
Orari:
Lunedì chiuso
Martedì, mercoledì e venerdì: 10.00-13.00 / 14.00-19.00
Giovedì: 10.00-13.00 / 14.00-22.30
Sabato, domenica e festivi: 10.00-20.00
25 aprile, 1 maggio e 2 giugno: 10.00-20.00
Biglietti
Intero: 9€ – Ridotto: 7€ (compresa audioguida)
Sito della mostra: https://arengariomonzafoto.wordpress.com/archivio-mostre/