Una nuova pagina di Missione Poesia. Adele Desideri: raccontare storie d’amore e dolore. La poetica esistenziale che assurge a universo sacro, pescando dalla storia delle storie del mondo, il racconto biblico, magma e riflessione per uno stile al femminile, unico e riconoscibile che si fa poesia.
Adele Desideri, poeta, saggista e critica letteraria, vive e lavora a Milano. Ha pubblicato quattro libri di poesia: Salomè (Il Filo, 2003) con nota critica di Vito Riviello, Non tocco gli ippogrifi (Campanotto, 2006) con postfazione di Ottavio Rossani, Il pudore dei Gelsomini (Raffaelli, 2010) con prefazione di Tomaso Kemeny, Stelle a Merzò (Moretti&Vitali, 2013) con postfazione di Paolo Lagazzi e nota critica di Tomaso Kemeny.
Altre sue opere sono presenti in numerose “plaquettes”, antologie, mostre, volumi storici, e sono state tradotte soprattutto in lingua spagnola.
È stata finalista al Festival di Poesia San Pellegrino Terme (2006), e vincitrice del Premio di poesia inedita Satura – Città di Genova (2011). È curatrice del volume La poesia, il sacro, il sublime (FaraEditore 2009), che raccoglie gli atti dell’omonimo convegno svoltosi a Milano, ideato e organizzato in collaborazione con Alessandro Ramberti.
È curatrice, inoltre, del convegno Etica e bellezza (coordinatore Gilberto Isella, relatori Michele Amadò, Giuseppe Curonici, Tomaso Kemeny, Quirino Principe). P.E.N. International centro della Svizzera Italiana a retoromancia, in collaborazione con USI – Università della Svizzera Italiana. Lugano, 26 novembre 2013.
Collabora con Il Quotidiano della Calabria. È membro del P.E.N. Club della Svizzera italiana e retoromancia.
Conosco Adele da diversi anni, ovvero dal 2009, da quando partecipai al Convegno organizzato da lei e da Alessandro Ramberti (FARAeditore) a Milano sul tema “La poesia, il sacro, il sublime” da cui nacque e venne edito l’omonimo volume. Di primo acchito mi parve una persona cortese ma distante, molto seriosa, sobria nel vestire, nella gestualità e nel contegno e non mi occupai subito di lei. Lasciai che il tempo, come sempre grande mediatore delle cose, facesse la sua parte e lasciasse sedimentare le impressioni troppo istintive per lasciare il passo alla riflessione.
Ho rincontrato Adele in varie occasioni, abbiamo avuto lunghe conversazioni al telefono, ci siamo scambiate impressioni sulla poesia e gli autori contemporanei. Ho letto in anteprima alcuni suoi inediti. La mia prima impressione è chiaramente cambiata. Ho capito che dietro la sua poesia c’è una scrittrice con molto da dire, con un vissuto anche drammatico che l’ha resa ossimoricamente più forte ma anche, alle volte, vulnerabile. Con lei ho condiviso alcuni momenti molto intensi come la presentazione a Milano del mio lavoro sulla figura di Ersilia Bronzini Majno, analizzato da Adele con cura e attenzione, con valorizzazione dei punti focali del racconto. Da lì siamo partite per un’avventura di scambi culturali che ci ha fatto scoprire un comune cammino di ricerca e solidarietà femminile, di poetiche e interessi comuni, di voglia di raccontare e di farsi ascoltare, di desiderio di trovare il nostro posto nel mondo.
Di Adele è stato scritto molto, molto si trova nel web, oltre che su riviste e volumi cartacei. Trascrivo qualche poesia per chi volesse trovarsi subito di fronte ai suoi testi, presi dalle precedenti raccolte, senza tanto cercare… per comodità, per poi parlare in modo approfondito del suo ultimo libro “Stelle a Merzò”.
Da Salomè (Il Filo, 2003)
E’ meglio tacere
Amici mi rifiutano,
altri evitano
semplicemente,
il mio strano amore.
Abitudini eccepibili,
e dolci alcove.
Figure a tutto tondo.
riflettono i nostri sguardi.
Giochi di ruolo
ineffabili.
Non si può dire
ciò che è da tacere.
E, a noi noto,
offre
armonia di sensi.
*****
Delitto senza castigo
E balbettavi…
madre amante
serrata in rigida armatura.
Ma vuota, dentro,
io incerto
ancora lattante
avido d’affetti
e di possesso.
E balbettavi…
padre muto
in ostile inerzia.
Tu non ricordi:
agita fu violenza
di mani,
di sguardi feroci,
di agghiaccianti messaggi,
di porte chiuse a chiave
di armadi chiusi a chiave.
Tu, piccolo e solo,
sempre più invasivo
reagivi,
ossessivo.
Affetto maturo anelavi.
E intanto i fratelli
crescevano,
al tuo riparo.
Poi, fu il terremoto.
L’armatura si liquefece
nel gelido inverno dell’amore,
che, unico scelto,
e per sempre,
rifiutava
chioccia inebetita
ed i suoi pulcini.
E tu ancora
guerriero di pezza
a proteggere il nido,
e la madre impazzita.
Battaglie tutte vinte,
amore mio,
ma troppi cadaveri
sparsi al confine
tra la realtà e la follia,
mia.
E rabbia tua grande fu:
e liti,
e scosse elettriche,
e fughe,
e porte chiuse a calci in culo
e telefoniche rotture.
Tutto ciò fu
e più non dev’esser.
E’ patto tra noi,
saldo,
ma il perdono sempre dietro l’angolo.
Ma il padre
tale oscura rabbia non vide.
Né permise.
Pacata pigrizia
avvolgeva,
ed asfissiava
ogni giusto
tuo minimo franger di spada.
Non perdonasti
il non avere potuto
dichiarar guerra.
Di sua intimità ti sei appropriato.
Vendetta è compiuta.
Vittima è Edipo,
non Laio.
Scontare un rimorso
rubato
a chi ti doveva
amore,
cura,
rispetto?
E’ nostro
il rimorso,
è nostra,
la colpa.
Regalami,
io unica consapevole,
poiché l’altro che ti generò
giammai ne sosterrebbe il peso,
(è inerme, lo sai)
la pena.
Sei libero:
nel mio cuore custodirò
per te questo dolore.
Innocente,
cresci…
cresci…
cresci…
non ti fermare.
Ardito,
vola alto:
sarai il riscatto
delle mie
e tue
atrocità
subite.
*****
Da: Non tocco gli Ippogrifi (Campanotto, 2006)
Marta
Infinita tenerezza dei tuoi occhi
sottili
bionda chioma che adorna
il tuo volto
triste e silente
in attesa di un affetto remoto.
Sguardo muto
offre parole
che feriscono il cuore
di chi, madre,
cerca ancora
nel volto di molte
la tenerezza materna
perduta per sempre.
*****
Si muore, vivi
Eppur
si muore,
vivi.
E
morti,
infine,
si vive.
*****
Trame e spilli
Le trame a tinte accartocciate
pencolano in tralice dal soffitto
mi spunto l’anima
con uno spillo di letizia.
*****
da: Il pudore dei Gelsomini (Raffaelli, 2010)
Del dolore e dell’amore
Una vita spesa
a bruciare crocefissi
nei giorni appesi ai chiodi.
È fobia di meschine carestie.
Sono legni di vetro e spine di riccio.
Non sono degna neppure
di una croce, quando le spalle
rinnegano scivolando.
E’ come Pietro la mia ira,
una tempesta di fughe e viltà.
Troppe volte ho scritto
a nuovo
l’incipit della vita.
La mandibola si dilata rapace
e macera l’inquietudine.
Amo il doppio di Venere,
ma Giove e Marte
si contendono lo scudo.
Ho conosciuto
Sodoma e Gomorra,
non voglio perire
nelle macerie di Babele.
Rivendico il diritto di sognare.
*****
Una lettera mancata
Una lettera mancata, Tantalo
del desiderio, è un chiodo
infilzato nel ciuffo d’erba
tra le strade di ghiaia.
Sono un ruscello umido, canto
l’attesa del tuo vento di pioggia
che morbido e potente lambisce
le sponde e le accende, lì, dove
è brivido o fiamma nella notte.
*****
Testamento
Sarò concubina leggiadra e disperata,
sarò farfalla di una notte,
cicala delle torride estati,
luna calante,
giovinetta del ballo assassino.
Non avrò nelle mani
le perle dei giorni trascorsi,
non sarò lanterna, faro, fortezza.
Sarò pioggerellina di marzo,
girasole distratto, mantide religiosa.
Di Edipo seguirò la sorte, mi caverò
gli occhi che non hanno veduto
quei secondi tra l’utero e la fossa,
che marchiano come pecora al macello.
Lascerò tre soli: tra i loro raggi qualcuno
potrà scorgere un volo amoroso
celato nel decomposto ghigno.
*****
Stelle a Merzò, l’ultima raccolta poetica di Adele Desideri
(Moretti&Vitali, 2013)
Il modo con cui Adele Desideri parla dell’amore e ne racconta le storie – come nel suo ultimo libro Stelle a Merzò (Moretti&Vitali, 2013) – fa pensare agli amori da colpo di fulmine, a quegli incontri veloci e imprevisti, dove il tempo e lo spazio si bruciano interiormente, si logorano come se raccolti dall’eternità, eppure consumati nel giro brevissimo di un passaggio di cui non può tuttavia non restare traccia. Cosa cerca la Desideri – dal cognome tanto significativo che pure è quello che fu della nonna paterna – cosa prende dagli incontri, dalle visioni, dai ricordi per riportarci nella sua dimensione preferita, quella del canto diseguale e doloroso delle anime difformi allo spietato vivere? Può il suo verso corrispondere alla sua poetica? Quale platea raccoglierà il suo racconto necessario, la sua paziente filatura del testo, il suo pacato e quasi distaccato sguardo, tradito – forse inavvertitamente o magari volutamente – dalla partecipazione al dramma?
Cercherò di parlarvi di questo suo ultimo lavoro con i toni delle considerazioni che nascono dall’impressione che ne ho avuto alla lettura, ripetuta in più momenti, ai ripensamenti e alla messa in ascolto di una voce tra le più significative del panorama poetico nazionale.
L’autrice, in apertura di libro, è d’obbligo citarlo, dichiara di apprestarsi a scrivere di una storia d’amore che le è stata raccontata… Già, quante storie d’amore sentiamo nella nostra vita? Quanti racconti appassionati, dolorosi, autentici attraversano il nostro percorso? Quante volte abbiamo pensato di farli nostri e di riscriverli, magari aggiungendo particolari, emozioni, o anche finali diversi…
Adele prende spunto dunque da un desiderio legittimo di appropriarsi di questa storia per raccontarla. Lo fa con tale dimestichezza, non facile per la forma che intende usare, quella del linguaggio poetico (o meglio ancora della prosa poetica, come lei stessa dichiara), tanto da sembrare il racconto di una storia propria, di un amore di cui nient’altro vuol svelare che la storia vera, tanto vera da sentirla sua. Ma lo fa anche – ed è questo il mistero e il miracolo della poesia – trasformando in accadimento poetico una storia d’amore che si fa universale, dove si nascondono, tra le pieghe dei versi, rimandi all’amore sacro, riflessi di quell’amore materno che Maria riversò in Gesù, che il Padre riversò nel figlio e il figlio portò nel mondo.
La frequentazione biblica e la passione per il grande libro della religione cristiana, infatti, danno alla poesia della Desideri la forza del racconto che trasforma i resti di un amore comune, quasi dozzinale, in un amore unico, eterno, da fare proprio e conservare per sempre: come unico sembra agli amanti, ogni volta, il proprio amore nel momento dell’innamoramento. Ma Adele fa di più: trasforma l’amore – con la magia della parola sacra che compare a sprazzi tra le righe – in un racconto che si fa anch’esso sacro, del quale – sembra quasi– non si potesse non parlare. Adele diventa così Aedo, cantore ineguagliata di passaggi, luoghi, oggetti e sentimenti che riusciamo a toccare con mano, che ci appartengono nel divenire del nostro vivere.
La donna che racconta la storia alla poetessa dev’essere non più giovane, forse è bella, ma di una bellezza ultima, che sta per lasciare il posto alla rilassatezza del corpo e che sente questa sua condizione, ce ne accorgiamo da certi lacerti e strappi del cuore, ma per noi lettori è questo che le dà intensità, che ce la rende viva e vera. L’uomo con cui condivide la storia d’amore, invece, non riusciamo a vederlo: somiglia a troppi altri, è indistinto dalla torma di anime simili di troppi secoli di storie. Ma lei ha forza d’immagine per tutti e due. Anche quando è sconfitta. Anche quando, finita l’estate, torna alla sua vita di sempre, col peso del doloroso fardello di una perdita sul collo.
Le stelle di Merzò sono le spettatrici ideali di questo teatrino amoroso. Ne aprono il sipario, ne calcano insieme agli amanti le scene, applaudono agli amplessi, si allontanano a palco vuoto. Eppure diventano parte del titolo della raccolta, come elemento primario d’importanza, uniche e mute testimoni dell’accaduto.
Lo stile dell’autrice, molto diverso, e più convincente – a mio avviso – di quello delle precedenti raccolte è serrato nell’intensità del racconto ma indugia di più sui particolari, ne coglie il profumo e l’importanza, ci rende oggetti e paesaggi con la verticalità dello sguardo che – a volte come una macchina da presa – riprende mettendo a fuoco ciò che è rilevante per quel momento, per quel passaggio del racconto stesso. La musicalità che tiene su molti testi, tra rime interne e chiasmi, richiami a composizioni note e quasi fiabesche (Carducci, Davanti a San Guido), assonanze e consonanze è cercata e voluta, con un lavoro che lega certo forma e contenuto in modo specifico, a volte maniacale ma necessario. Come se la disciplina a cui si è sottoposta l’autrice nel comporre questa sorta di poemetto – perché potremmo anche pensarlo in questa forma – fosse stata dettata dalla necessità di raccontare tutto con ordine – come spesso compaiono stanze ordinate, con gli oggetti al proprio posto, proprio nel testo -.
Con l’attenzione e il rispetto dovuto al dolore per la mancanza, con l’irrequietezza e l’euforia che porta con se l’innamoramento, con la consapevolezza iniziale già di un dramma annunciato, l’autrice ci accompagna dunque, con il suo stile alto e nuovo, in una storia di tutti i tempi e di tutte le stagioni, se pure, complice l’estate e ruffiane le sue stelle, proprio qui trova maggiori possibilità di accadimento
Una storia che inizia un 28 luglio a Merzò e finisce il 31 ottobre di nuovo a Merzò. Tre mesi circa, il tempo di quest’amore. Un tempo che, per poco che sia, ha l’intensità di una vita.
da: Stelle a Merzò (Moretti&Vitali, 2013)
19 agosto, Merzò
Le stelle di Merzò
brillano di luce impura
– anche il ragno, nel vano
della finestrella, tesse la sua tela
di finzioni e verità.
Il basilico cresce rigoglioso,
ma sul tappeto liso di mia madre
quei passi estranei dell’anziana visitatrice
non potranno lasciare né orme, né tracce.
La mia voce nei notturni voli
dei tuoi sogni è appena un sibilo.
Ora che tutto qui è così ordinato e lindo,
ora che ogni oggetto risiede
nel suo preciso posto, questo calice
di vino separa le nostre mani.
Le stelle di Merzò – hai ragione tu –
sono incollate al cielo.
Ma il cielo – vedi, te lo mostro –
non ci riflette più.
Ancora ci respireremo,
ancora ti indicherò
la strada che attraversa i boschi
e conduce al colle della segreta cripta.
Ancora ci chiederemo: “se, quando, perché”.
Ma le stelle – a Merzò –
non le vedremo più.
La luna girerà le spalle,
e nella notte matrigna
ci perderemo.
All’alba, due piccoli cinghiali,
una volpe, il cerbiatto, il cucciolo
di lepre saranno nostri amici,
mentre le tue lacrime scorreranno
lungo fiumi diversi, lontani dai miei.
Guarda, se ne vanno, le stelle di Merzò.
Ora se ne vanno, risucchiate
in un gorgo di oblio.
Dopo, un vento furioso
travolgerà la cascina,
il tuo furgone,
il mio tavolo sbilenco.
A Merzò resteranno solo ombre,
desolate tracce di fugata quiete.
Non morire in battaglia,
non lasciarti ferire.
Quando tornerai dalla guerra
_ – che sia vinta o persa –
passa da Merzò.
Sul gradino a fronte del poggiolo
mi troverai seduta,
con una stella stretta al petto.
La lancerò nel cielo, ti osserverò,
e penserò: “Sempre lo stesso,
nemmeno è invecchiato.
Lui è così, soldato ragazzo,
uomo di mille parole
– mio ostinato figlio,
mio torturato amore”.
*****
24 agosto, Carro
Ondeggia, smuovi le acque.
Aggredisci, dilaga, percuoti gli Dei,
la terra – le femmine stolte.
Travolgi ogni certezza! Stai sulla destra,
taglia la curva – inclinati –
scomponi e disponi
le rotte sulle lenzuola.
Domani, tornerai al lavoro
nei polsi segnata col sangue.
C’è un uomo che corre lungo la strada,
pretende un fiasco di vino,
e in tasca conserva la mirra.
Sarà strage di ogni innocente
– il primo che passa, uno qualunque.
Poi sarà croce, e sacerdozio d’amore,
per le anime afflitte umiliato lucore.
*****
2 settembre, Milano
Sono fidati gli amici tuoi,
come certi cani, come il tuo mondo,
che vive di strada e mal-affari.
Se c’è una via di fuga,
è sul ponte – che ha il nome
di una santa – lungo la statale.
Il nome della figlia è, invece,
l’ultima parola del sermone
di una madre distratta.
Io mi fermo vicino alle mura
della città di Ambrogio,
seguo i passi dell’ambulante,
del barbone, della donna
che vende le sue carni.
Il reo lo metto in gattabuia,
all’anziano despota consegno i sigilli.
Spazio cinema, Sudan caffè,
serata a costo zero, che non vale,
però, quanto le stelle di Merzò,
quando, all’imbrunire, girano su se stesse
e consegnano alla luna
l’universo di nuovo spezzato
della mia mente – questa follia,
questa corrosiva, insensata mania.
*****
31 ottobre, Merzò
C’è troppo buio, aspettate!
Non può essere doppio il futuro!
La casa che esplodeva d’amore
ora muore – chiusi i battenti –
con una festa imbevuta d’angoscia
– undici slip nella lavatrice.
A voi, gemelli col desiderio invertito,
amanti nell’inerme nostalgia,
io destino l’ultima profezia:
la perduta fiducia – dopo Merzò –
segnerà la strada che porta alla follia.
Cinzia Demi