La Fondazione Musei Civici di Venezia omaggia uno dei più importanti artisti visionari nel mondo pittorico della seconda metà del Cinquecento. Si tratta del pittore olandese Jheronimus Bosch del quale sono da poco trascorsi cinquecento anni dalla sua morte e che è stato onorato con mostre importanti nella sua città natale e al Prado di Madrid. A Palazzo Ducale, nell’appartamento del Doge, si è voluto tributare al maestro delle visioni oniriche un percorso interessante e alquanto originale, intitolato “Jheronimus Bosch e Venezia” con l’esposizione di alcune sue opere, raccolte da uno dei più raffinati e colti protagonisti della scena veneziana, il Cardinale Domenico Grimani (Venezia, 19 febbraio 1461 – Roma, 27 agosto 1523).
La Mostra è co-prodotta dalla Fondazione Musei Civici di Venezia (presidente Mariacristina Gribaudi e la direzione di Gabirella Belli) e dal Museo Nazionale Gallerie dell’Accademia di Venezia (direttrice Paola Marini) con il patrocinio del Dipartimento di Culture e Civiltà dell’Università di Verona, con il curatore Bernard Aikema.
Bosch (il cui vero nome era Jeroen Anthoniszoon van Aken, nato a ‘s-Hertogenbosch, “Boscoducale”, 2 ottobre 1453 e morto il 9 agosto 1516) è noto per le sue immagini cupe e nel contempo fantastiche, nelle quali sono raffigurati visioni infernali “chimere e stregozzi” come li definì il critico d’arte Antonio Maria Zanetti nella sua documentazione del 1733 “Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia”. Altre opere dell’artista sono andate in possesso di importanti sovrani, come il re Filippo II di Spagna, che ne divenne un vero collezionista, con il maggior numero di lavori conservati al Museo del Prado, e al Monastero dell’Escorial a Madrid.
Nella mostra possiamo quindi ammirare il “Martirio di santa Ontcommernis” (Wilgefortis, Liberata) che rappresenta una santa crocifissa, i “Tre santi eremiti” con San Girolamo e altri due santi. Opere realizzate nella bottega d’arte di Bosch, nella quale lavoravano famigliari e apprendisti ed eseguite su commissione.
All’inizio i committenti erano stati effigiati sulle tavole laterali di profilo. In seguito, poiché la vendita non aveva avuto successo, l’autore aveva rimosso le immagini e le aveva rimpiazzate con altre figure, tipicamente “boschiane” per un cambiamento di destinatario nell’ultima fase della lavorazione. Questo si è scoperto in anni recenti, attraverso radiografie scientifiche che hanno permesso origine e datazione. Bisogna tener presente che Bosch non datò mai i suoi dipinti e solo alcuni lavori recano la sua firma.
Al centro dell’esposizione sono le quattro suggestive tavole a olio “Paradiso e Inferno” (Visioni dell’Aldilà) datate 1505-1515 c.a., e conservate presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia, che narrano la caduta dei dannati, l’inferno e l’ascesa in paradiso, il cui accesso è immaginato attraverso un tunnel che si innalza e un’apertura circolare luminosissima dove passano le anime. Quest’ultima opera è stata realizzata senza tratti preparatori, ma direttamente su tavola con colori su colori che sono tutt’oggi, molto brillanti.
Come ben sottolinea il curatore della mostra, Bernard Aikema, Bosch viene distinto per tre caratteristiche raffigurative di genere fantastico: incendi, sogni e figure infernali. Infatti i “mostriciattoli”, talvolta bardati di corazza e elmo, sfiorano l’orrorifico nell’atto di aggredire o divorare esseri umani, ritratti spesso nudi e inermi. Anche gli animali sono presenti ovunque, sia sulle tavole che nelle incisioni nell’atto di ghermire altre prede. Le opere del periodo sembrano risentire ancora di superstizioni e leggende ancestrali e medievali, oltre a visioni infernali dantesche, probabilmente in una moda artistica che percepiva gli influssi di una controriforma religiosa che stava delineandosi.
L’influsso di Bosch su altri artisti coevi e successivi è stato notevole. Infatti nella mostra sono presenti oltre 50 opere di contesto, provenienti da collezioni internazionali pubbliche e private, che dimostrano come il genere abbia avuto successo. Dipinti di autori anonimi si accostano a quelli di firme più famose come Quentin Massys, Jan Van Scorel, disegni e bulini straordinari di Dürer, Bruegel, Cranach e Campagnola. Ed ancora, bronzi e marmi antichi, preziosi e rari manoscritti e volumi a stampa, tra i quali il celebre romanzo allegorico “Hypnerotomachia Poliphili”, pubblicato da Aldo Manuzio nel 1499.
La mostra si conclude con la “riscoperta” di Bosch nel Seicento, dove l’artista viene reinterpretato secondo i gusti dell’epoca, con l’idea di nuova rinascita e l’illusione dell’eterna giovinezza. Tra questi spiccano un “Orfeo agli Inferi” di Roelandt Savery (1576/78-1639), “Alchimia”, “L’elisir della Giovinezza” e“Medea ringiovanisce Esone” di Joseph Heintz il Giovane (1600-1660).
Alla fine del percorso si può vivere un’esperienza sensoriale. Grazie a un’innovativa tecnologia che sfrutta la realtà virtuale, attraverso gli “Oculus”, un visore elettronico, ci si può immergere virtualmente nell’opera di Bosch e muoverci a 360 gradi negli anfratti dell’Inferno e nelle luci del Paradiso in un percorso emozionale e cognitivo davvero suggestivo.
Andrea Curcione
Da Venezia
JHERONIMUS BOSCH E VENEZIA
Palazzo Ducale
Appartamento del Doge
San Marco,1
Dal 18 febbraio al 4 giugno 2017
Orario
Fino al 31 marzo
8.30-17.30
Dal 1 aprile
8.30-19.00
Per informazioni:
palazzoducale.visitmuve.it