Io voto NO alla riduzione del numero di parlamentari, e vi dico perché.

Verso il referendum… Il 20 settembre voterò convintamente un grosso NO alla riduzione del numero dei parlamentari, per le seguenti principali ragioni :

1) La riduzione dei parlamentari è oggettivamente criminogena
2) La riduzione dei parlamentari produce un difetto di democrazia
3) La riduzione dei parlamentari produrrebbe un risparmio (teorico) risibile e, soprattutto conseguibile con altre (doverose) misure
4) La riduzione dei parlamentari sarà accompagnata da una legge elettorale proporzionale, facendoci ripiombare nella prima repubblica (56 diversi governi nei primi 50 anni)
5) La riduzione dei parlamentari provocherà un ulteriore rallentamento della azione parlamentare.

Provo ad argomentare le ragioni appena elencate con un minimo di ragionamento.

1) La riduzione dei parlamentari è oggettivamente criminogena : La Repubblica Italiana conta 630 deputati e 315 senatori (più i senatori a vita), per un totale di 945 parlamentari eletti, cioè un parlamentare ogni 63mila abitanti. In altri paesi questo rapporto varia. Senza arrivare ai casi limite di Malta, con un parlamentare ogni 6mila abitanti, seguita dal Lussemburgo (1 ogni 10mila) e dall’Estonia (1 ogni 13mila), il caso più virtuoso mi sembra essere quello del Regno Unito, con un rappresentante ogni 46mila abitanti. In termini assoluti, infatti, gli inglesi sono gli unici con più di 1000 parlamentari (1432). La democrazia inglese è una delle più vecchie ed efficienti del pianeta. Non a caso non ha prodotto nessuno dei mostri del secolo scorso, come nazismo, fascismo e comunismo, che hanno fatto svariate decine, se non centinaia, di milioni di morti. Un modello dal quale imparare. Infatti, un alto numero di parlamentari comporta collegi elettorali molto piccoli. Nei quali il rapporto tra elettori ed eletti è diretto e facile. 46.000 persone sono meno degli abitanti di un terzo di un quartiere di Roma e meno di quelli di un qualsiasi nostro capoluogo di provincia. Fare una campagna elettorale dovendosi rivolgere a soli 46.000 potenziali elettori è facile e poco costoso. Non serve nemmeno fare manifesti, comprare spot in tv, ecc. Si può fare praticamente porta a posta. Man mano che aumentano gli elettori da contattare, con l’aumento delle dimensioni dei collegi elettorali, conseguenti alla riduzione del numero di parlamentari, i costi della campagna elettorale crescono. E sono alla portata solo dei ricchi, oppure di esponenti di lobbies, o, peggio, di camarille di malaffare. Quindi una legge che riduca il numero dei parlamentari è oggettivamente criminogena, essendo i parlamentari maggiormente indotti a illeciti comportamenti, per ripagare i debiti contratti in una campagna elettorale molto più costosa, in quanto condotta in un collegio molto più esteso rispetto a quello attuale.

2) La riduzione dei parlamentari produce un difetto di democrazia : la attuale proposta di riduzione dei parlamentari in Italia, dagli attuali 945 a circa 600, produrrebbe la aberrazione che per alcune regioni minori non ci sarebbero in parlamento loro rappresentanti per il secondo e terzo dei partiti che compongono l’attuale parlamento, lasciando ancora più soli ed impotenti gli amministratori locali di quelle sventurate terre e privi di rappresentanza parlamentare larghi strati di quelle popolazioni. L’attuale ministro degli esteri, Luigi Di Maio, il principale paladino della riduzione del numero dei parlamentari, ha dichiarato che gli attuali membri delle camere sono troppi e che presentano troppi emendamenti, e che, così, rallentano l’azione di governo (sigh!). Parafrasando una celeberrima battuta di Humphrey Bogart, nel film « L’ultima minaccia » del 1952, di Richard Brooks, mi piacerebbe rispondere a Luigi Di Maio : “È la democrazia, bellezza, e non ci puoi fare niente!”.

3) La riduzione dei parlamentari produce un risparmio (teorico) risibile e, soprattutto conseguibile con altre (doverose) misure : il risparmio, sbandierato come principale, se non unico motivo forte, sarebbe di 57 milioni di euro all’anno, cioè meno di un caffè all’anno per ogni italiano (avete letto bene, non al giorno, non al mese, ma all’anno, meno di un euro all’anno per abitante). Ridicolo, anche se raffrontato con l’attuale costo di camera e senato di circa 1.5 miliardi di euro all’anno, rappresentando solo il 3.8% di tale spesa. Un simile risparmio si potrebbe, infatti, facilmente ottenere con una riduzione degli stipendi del personale del parlamento (scandalosi se raffrontati ai salari medi degli altri lavoratori italiani) e, soprattutto, dei parlamentari (oggi circa 18.000 euro al mese), visto che sono pagati il doppio dei loro colleghi inglesi e addirittura 6 volte di più di quelli spagnoli (nella Repubblica Veneta, chi voleva far parte del Gran Consiglio, non solo non era remunerato, ma doveva lui stesso pagare una grossa somma. In effetti pagava il grande prestigio che ne guadagnava, esattamente quello che guadagna il parlamentare odierno. Non sarebbe forse una cattiva idea rispolverare la saggezza dei nostri avi…). E si potrebbe ottenere anche limando (meglio se “tagliando con la motosega”…) gli osceni privilegi della “casta”. A cominciare dalla assistenza sanitaria da nababbi, che comprende prestazioni di cui nessun comune cittadino italiano gode, come le cure odontoiatriche, visite omeopatiche, balneoterapia, shiatsuterapia, massaggio sportivo ed elettroscultura (ginnastica passiva), occhiali, ecc. Privilegi che sono, per giunta, estesi ai familiari dei parlamentari, e perfino ai loro conviventi in more uxorio (anche dello stesso sesso: che visione moderna, ma solo per la casta), i quali, per il resto degli italiani comuni, non godono di nessun diritto. Peraltro, se i parlamentari dovessero usufruire del servizio sanitario nazionale, come tutti gli altri italiani, magari ne avrebbero (e/o ne avrebbero avuto) più cura, senza ridurlo ad una macchina sguarnita ed impreparata ad affrontare le emergenze come il covid19.

4) La riduzione dei parlamentari sarà accompagnata da una legge elettorale proporzionale, facendoci ripiombare nella prima repubblica (56 diversi governi nei primi 50 anni) : il patto di governo (scellerato per la specie) tra Movimento 5 Stelle (che ha fatto della riduzione del numero dei parlamentari una sua bandiera ideologica non negoziabile) ed il Partito Democratico, prevede che tale riduzione debba essere accompagnata, necessariamente, da un radicale cambiamento del sistema elettorale, riportandolo al proporzionale puro. Al sistema, cioè, della prima repubblica, che ha prodotto 56 diversi governi nei primi 50 anni di storia repubblicana. Una durata media di 11 mesi. Che ha prodotto la costruzione del terzo debito pubblico al mondo (il governante che ha una prospettiva di così breve durata, e’ indotto, naturalmente, ad afferrare tutto l’afferrabile, nel più breve tempo possibile…). Con i partitini dell’1 o 2 per cento che avevano elevatissimo potere di ricatto sulla fiducia ad un governo ballerino, che usavano, nella migliore e più pulita delle ipotesi, per portare acqua al mulino delle proprie camarille. Insomma, una sciagura nella sciagura.

5) La riduzione dei parlamentari provocherà un ulteriore rallentamento della azione parlamentare : chi ha una idea, seppur vaga, del funzionamento delle nostre istituzioni parlamentari, sa che con “soli” 600 parlamentari, anziché gli attuali 945, il funzionamento delle commissioni, il cui lavoro propedeutico e’ indispensabile alla attività legislativa delle camere, sarebbe fortemente rallentato, al limite della paralisi. Rendendo le camere molto meno efficienti di quanto non lo siano con l’attuale numero dei parlamentari. (Una maggiore efficienza si potrebbe, invece, conseguire con una profonda riforma del bicameralismo perfetto, lasciando alla sola camera dei deputati la fiducia al governo e la maggiore attività legislativa). Inoltre, in caso di taglio lineare del numero dei parlamentari, da 945 a 600, per sopperire al maggior carico di lavoro nelle commissioni del singolo parlamentare, si farà ricorso, con ogni probabilità, a consulenti esterni. Con aumenti del costo di funzionamento del parlamento, aumenti che vanificherebbero, in tutto o in parte, lo sbandierato risparmio annuo teorico di 57 milioni di euro.

Mi piacerebbe osservare, a proposito del supposto, e molto enfatizzato risparmio dei soldi dei contribuenti, conseguibile con la riduzione del numero dei parlamentari, che sin dall’insediamento del governo giallo-verde Conte 1 (M5S e Lega), lo spread con i bund tedeschi si è subito innalzato sopra i 200 punti, sfiorando più volte la quota 300. Segno inequivocabile della ridotta fiducia dei mercati nell’acquisto dei nostri buoni del tesoro. E d’altra parte, i risultati non potevano che essere questi se autorevoli esponenti di quel governo dichiaravano un giorno si ed altro pure “Chi se ne frega delle regole europee sui vincoli di bilancio”, “valutiamo se uscire dalla Unione Europea ed anche dall’euro”, “sforiamo i parametri di Maastricht”, “facciamo il reddito di cittadinanza”, “fermiamo le grandi opere, chi se ne frega degli impegni internazionali presi” (vedi AV Torino-Lione), “facciamo la tassa piatta”, “a quel paese gli investimenti produttivi”, e via cantando. Quel balletto intorno ai valori alti di spread è già costato ai contribuenti italiani più di 8 miliardi di euro, per i maggiori interessi sul debito pubblico da pagare. Ed i nostri governanti, invece di occuparsi di questo, che è uno dei problemi più seri, si occupano della riduzione del numero dei parlamentari. Con un risparmio, per gli stessi contribuenti, previsto in meno di 60 milioni di euro, cioè lo 0.75%, cioè meno dell’1 per cento degli 8 miliardi bruciati con lo spread. E non mi pare di aver visto un giornalista, uno, che abbia incalzato i governanti, di allora e di oggi, su questo aspetto.

Tutto ciò premesso, cosa succederà il 20 e 21 settembre?

Mi pare che il risultato sia scontato. E lo vorrei rappresentare, con quello che mi riesce più congeniale, la citazione di una famosa frase dal cinema. Mi riferisco, questa volta, forse alla più celebre battuta dei film di Sergio Leone. Da “Per un Pugno di Dollari, del 1964, nel quale il “cattivo” Ramon, magistralmente interpretato da Gian Maria Volonté, dice a Clint Eastwood” : “se un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto!”. (Anche se un famoso ex-poliziotto, ex-magistrato, ex-politico molisano direbbe che “c’azzecca” poco con la specie, relativamente a questa frase, vorrei condividere con il lettore che fosse arrivato a leggere fino a qui, un aneddoto gustoso. Sergio Leone si era innamorato di uno degli splendidi borghi del Molise, Castelpetroso. E ci passava le estati. Sentendosi in quei luoghi molto libero, aveva preso a girare con un carabina in spalla. Sparacchiando agli uccelli, senza peraltro mai beccarne uno. Lo faceva, però anche in vicinanza delle case. Provocando spavento e comprensibile apprensione tra i tranquilli abitanti del posto. I quali si rivolsero al Sindaco. Quest’ultimo mandò a casa di Leone il suo vigile urbano, con tanto di pistola di ordinanza (probabilmente in appariscente fondina di pelle bianca). Leone, con il suo fare sornione e la sua proverbiale ironia, disse al vigile “se un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto!”. Il poliziotto municipale, di tutta evidenza a corto di cultura cinematografica, sbiancò, prendendo tremendamente sul serio le parole del regista, come una reale minaccia di morte nei suoi confronti. E tornò di corsa dal sindaco per riferire. Il sindaco, che invece aveva visto il film, si fece una risata e tranquillizzò il vigile. Andò a parlare personalmente con Leone e tutto finì a tarallucci e vino (molisani).

E torniamo al referendum del 20 settembre. Parafrasando la celeberrima frase di Leone, si potrebbe dire : “se un uomo con un ragionamento incontra un uomo con uno slogan, l’uomo con il ragionamento è un uomo morto!”. Io mi sento l’uomo con il ragionamento (quello che ho provato a fare sopra), e quindi un uomo morto. Credo proprio che la maggioranza degli italiani che si dovessero recare a votare, ammesso che vengano a sapere che si vota, faranno fede allo slogan “i parlamentari sono tutti ladri, meno ce ne sono, meno rubano!” (al proposito, appare quanto meno sospetta la tempestività con cui, a metà agosto, dopo 3 mesi dal bonus dei 600 euro, è stata diffusa la notizia, che provoca comprensibile sdegno, secondo la quale 5 parlamentari avrebbero percepito il bonus stesso). E quindi, voteranno di pancia, dicendo SI al taglio dei parlamentari. Se invece gli capitasse di usare (anche) la testa, magari potrebbero riflettere sul fatto che i soli 600 parlamentari superstiti, forse ruberanno di più di quando erano in 945, avendo dovuto spendere molto di più per la campagna elettorale e dovendo “ripagare” debiti più ingenti di quelli contratti dai loro più numerosi predecessori. Da questo punto di vista, sarebbe desiderabile e nell’interesse del contribuente di aumentare, piuttosto che ridurre il numero dei parlamentari, per consentire campagne elettorali su collegi più piccoli e quindi meno costose e, verosimilmente, comportamenti più virtuosi da parte degli eletti.

Che dire infine : se anche uno solo dei lettori che si fosse avventurato fino a qui, avesse cambiato opinione sul taglio dei parlamentari, seguendo il ragionamento, mi sentirei soddisfatto. Ricordando, magari, che nel famoso film, l’uomo morto fu quello con il fucile!…

Catello Masullo

FONTE: IL PARERE DELL’INGEGNERE 

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Catello Masullo
Catello Masullo, giornalista, membro del Sindacato Critici Cinematografici Italiani, direttore responsabile della testata giornalistica Il Parere dell'ingegnere, presidente del Cinecircolo Romano e redattore della sua testata QUI CINEMA (https://www.cinecircoloromano.it/category/qui-cinema-on-line/ ), direttore artistico del Premio Cinema Giovane & Festival delle Opere Prime, Presidente della Giuria PREMIO DI CRITICA SOCIALE VENEZIA 2015-2016-2017-2018-2019 (membro della giuria nel 2014) (premio Collaterale riconosciuto dalla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia), membro della Quinta Commissione di Revisione Cinematografica della Direzione Generale per il Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in qualità di esperto di Cinema (dal 2009 al 2016).

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