Domenica 23 aprile primo turno delle presidenziali francesi e si decide già molto. Grande incertezza con almeno quattro candidati papabili e molti elettori che dichiarano che ancora non hanno deciso. Un voto che potrà pesare negli equilibri geopolitici in Europa e nel mondo. Un voto che potrebbe essere anche paradigmatico sulle prossime elezioni italiane.
Tra pochi giorni si voterà il primo turno per le presidenziali francesi. Un voto importante se è vero che con la globalizzazione dobbiamo abituarci a considerare i fatti della politica estera come sempre più incidenti nelle realtà nazionali. Il voto francese avrà un peso negli equilibri geopolitici e sul futuro dell’Europa, ma più in generale sarà anche un segnale sulla tenuta delle democrazie occidentali.
Se in Turchia si assiste alla vittoria, sia pure risicata, di un referendum che riduce ulteriormente la democrazia in quel paese, in Austria ed Olanda, pur rischiando, questa tenuta democratica si è riaffermata contro le tentazioni xenofobe ed autoritarie dei partiti populisti. Ora c’è una verifica ben più importante, quella francese, anche perché spesso la Francia ha anticipato nel mondo e in particolare in Europa i processi politici e storici con le sue evoluzioni o involuzioni a seconda dei punti di vista.
Diamo per scontato che le scarne cronache italiane siano sufficienti a raccontare queste elezioni presidenziali francesi che appaiono le più incerte della quinta repubblica.
Tuttavia ricordiamo ai meno avveduti alcuni passaggi dalle vicende francesi, che avranno inevitabilmente un peso sui destini europei e di riflesso anche sulla politica italiana, alcuni fatti essenziali che potrebbero incidere in questa campagna presidenziale.
Le prime sorprese si sono avute nelle scelte uscite dalle primarie repubblicane e socialiste. Nelle prime a sorprese Fillon ha prevalso sui favoriti Sarkozy e il sindaco di Bordeaux Juppé, nelle seconde ha prevalso, ancora a sorpresa, l’ex portavoce della segretaria Martine Aubry, Benoit Hamon, vincitore sul molto più quotato Manuel Valls, che da gran parte degli analisti politici era stato indicato come il rinnovatore della sinistra e in particolare del PS.
L’altra novità è stata la nascita del movimento trasversale “En Marche” fondato da Emmanuel Macron che per tempo si era defilato dal governo Valls uscendo cosi dal cono d’ombra del presidente Hollande.
La favorita, almeno al primo turno era ed è ancora Marine Le Pen del FN. La destra dura ed antieuropeista che vede tra i suoi alleati la Lega Nord di Salvini in Italia. Ricandidato ancora una volta Jean Luc Mélenchon sostenuto da formazioni dell’estrema sinistra e dal PCF francese (i comunisti).
In realtà si tratta di ben undici i candidati di cui quattro a sinistra, mancano all’appello Philippe Poutou del partito anticapitalista e Nathalie Arteaud di Lutte Ouvrière (Lotta operaia), gli altri si dividono tra nostalgici di De Gaulle e finanche colonizzatori della Luna e di Marte (le stravaganze in Francia non mancano mai).
I colpi di scena sono alla base di una campagna elettorale che alla vigilia sembrava di facile soluzione, con lo scontato ballottaggio a destra tra Fillon e Le Pen e la vittoria del primo con il concorso dei voti della sinistra (un déjà vu ai tempi di Chirac e Le Pen padre) .
A sparigliare le carte ci ha pensato ancora una volta (come accade in Italia) il combinato informazione e magistratura. Con la prima che tira fuori un dossier su Fillon che avrebbe sistemato in parlamento moglie e figlio maggiore, in ruoli amministrativi, facendogli percepire alti stipendi senza nessun impegno lavorativo. Su questa inchiesta è intervenuta anche la magistratura che ha iniziato a fare le pulci al candidato repubblicano che da quel momento ha visto franare giorno dopo giorno i suoi consensi, perdendo amici ed alleati, senza tuttavia voler desistere, nell’imbarazzo del suo partito che, alla fine, ha ceduto alla sua testardaggine venendo costretto a fargli quadrato intorno a pochi giorni dal primo turno di voto.
Il secondo colpo di scena è stato Macron che arrivato senza un partito, conducendo una campagna che parla alla destra come alla sinistra, ha visto crescere i suoi consensi. “En Marche” si presenta come una forza innovativa fuori dai classici schemi della politica, con una dirompente volontà di rinnovare volti e programmi, ma attenzione il movimento di Macron non ha nulla a che vedere con fenomeni populisti né con politiche liquide, il suo programma e netto, chiaro e credibile e alla base di tutto c’è un convinto europeismo, la volontà di cambiare l’Europa nello spirito che fu alla base della sua nascita, quindi nessun proposito di abbattimento e tanto meno di Fréxit, come invoca la Le Pen.
Settimana dopo settimana Macron ha conquistato consensi fino ad arrivare ad un testa a testa con la Le Pen per il primo turno e se cosi fosse al ballottaggio il giovane Emmanuel Macron diventerebbe con altissima probabilità il nuovo presidente dei francesi.
Prima di avventurarci nelle nostre forse fallaci previsioni, occorre fare qualche piccola riflessione. In primo luogo la casa socialista dopo le votazioni del 23 aprile e del 7 maggio, non sarà più la stessa o semplicemente non sarà più. Con uno spirito che ricorda una certa sinistra nostrana i socialisti hanno scelto il suicidio al rinnovamento e con pervicacia degna di miglior causa hanno scelto Hamon un uomo d’apparato, che non ha mai rivestito ruoli di particolare pregio. La sua vittoria alle primarie fu festeggiata con entusiasmo, ma la realtà fuori dalla rue Solferino è tutta un’altra e cosi il candidato socialista, malgrado utopiche proposte come quella per le revenu universel (una sorta di reddito di cittadinanza) dall’improbo costo di 100 miliardi di euro all’anno, si è visto ridimensionare nei sondaggi fino all’8% venendo in tal caso addirittura umiliato nel derby con Mélenchon che addirittura doppierebbe i suoi consensi.
Lo stesso riformatore Valls non se l’è sentito di sostenere Hamon, finendo per dichiarare il suo appoggio a Macron, cosa che di fatto, nel silenzio generale dei media, gli è costata l’iscrizione al partito (chissà se in Italia fosse stato espulso D’Alema per i suoi comitati per il no, cosa sarebbe successo).
Insomma, un candidato ad estrema destra, uno di destra, uno trasversale e quattro candidati a sinistra. E’ il caso di dire che la sinistra in settarismo non si fa mancare nulla.
Morale della favola o vince la destra o il movimento democratico e trasversale di Macron che almeno sul piano dell’esperienza qualche incognita la determina, anche perché due mesi dopo le elezioni, per il sistema francese, deve assicurarsi la vittoria alle legislative, se cosi non fosse il sistema politico francese si troverebbe bloccato pericolosamente con una crisi istituzionale dalle insondabili conseguenze.
Giochi fatti? Neanche per idea! L’abbiamo detto all’inizio, i sondaggi in questi ultimi giorni danno risultati poco chiari e netti. In primo luogo a pochi giorni dal voto e per la prima volta in Francia il 38% degli elettori si dichiara indeciso e molti sostengono che alla fine almeno il 30% dei francesi rinuncerà al voto. Ed ancora gli scarti di percentuale tra i primi quattro sono davvero ormai minimi ed ogni previsione non puo’ che essere tale.
I quattro cavalieri dell’apocalisse sono in ordine di arie politiche partendo da destra a sinistra: Marine Le Pen, Francois Fillion, Emmanuel Macron e Jean Luc Mélenchon. Come dire il Fronte Nazionale, i Repubblicani un tempo UMP di sarkoziana memoria, il movimento trasversale En Marche e la France Insoumise che è alleata al vecchio PCF.
In forte ascesa Mélenchon, che ha tenuto a chiarire che lui non è di estrema sinistra. L’uomo risulta sempre carismatico con la sua oratoria accattivante e ricca di ironia.
Difficile credergli visto che alle sue spalle ha i comunisti francesi che sono sempre stati dei duri e puri. Tuttavia, Mélenchon, che è il classico comandante unico, sta conducendo una campagna in prima persona non dando spazio ai suoi collaboratori, mostrandosi come un leader sulla cui personalità la sinistra puo’ fondare molto di più che su Hamon, che fa difetto proprio sul piano della credibilità dell’efficacia.
Nei confronti televisivi hanno fin qui prevalso proprio Mélenchon e il volto rilassato giovanile e rassicurante di Macron, mentre Le Pen e Fillon hanno difficoltà a sfuggire dalle proprie magagne giudiziarie, la prima con la Commissione Europea e il secondo come detto in patria.
Tuttavia, Le Pen conta sulla Francia profonda, quella che non ne puo’ più di musulmani ed immigrati, mietendo voti anche in quelle aree che un tempo erano i bacini prediletti della sinistra. Ma occhio anche a Fillon che è un combattente, uno abituato, l’ha dimostrato nelle primarie repubblicane, a sovvertire anche i pronostici più scontati. Peraltro, gli ultimi sondaggi lo danno in crescita, per ora è al terzo posto un filo dietro Le Pen e Macron appena sopra a Mélenchon, ma l’abbiamo detto a questo punto i candidati sono tutti in un fazzoletto.
Quello che appare evidente è che sia Macron che Fillon al ballottaggio avrebbero vita facile con la Le Pen, il discorso cambia se arrivassero al ballottaggio i due antieuropeisti Mélenchon e Le Pen in questo caso la vittoria lepenista potrebbe arrivare con buona probabilità.
Quest’ultima ipotesi sarebbe un autentico incubo per le istituzioni europee e per gli europeisti convinti. In Italia Renzi spera nel successo di Macron che darebbe un importante segnale dopo quello olandese di una ripresa per il futuro dell’Europa una seconda chance che andrebbe poi confermata in Settembre con il voto tedesco. Certo Macron suonerebbe come un argine al pericoloso e variabile vento di Trump, un segnale di equilibrio in un mondo che, tra Siria, Irak, Ucraina, Nord Corea, con le due potenze Russia e USA in pericolosa tensione e con la Cina costretta nel ruolo inedito di arbitro, mostra tutta la fragilità di questo nuovo millennio apertosi con fenomeni globali che sono difficilmente governabili e gestibili.
Nicola Guarino