“Ferveva il lavoro intorno alla fornace. In cima ai ferri da soffio il vetro fuso si gonfiava, serpeggiava argentino come una nuvoletta, splendeva come la luna, scoppiava, si divideva in mille frammenti sottilissimi, più esigui dei fili che si vedono al mattino nelle foreste tra ramo e ramo… straordinariamente agili e leggeri erano i gesti umani intorno a quelle eleganti creature del fuoco, dell’alito e del ferro, come i gesti di un donna silenziosa”.
(Gabriele D’Annunzio – Il Fuoco – 1900)
Prendo a prestito questa parte de Il Fuoco del poeta pescarese per cercare di descrivere, con parole mie, l’arte del vetro che qui, dove si è sviluppata, ha dato un ennesimo primato artistico alla città e la definitiva consacrazione a Murano, l’isola dove il vetro viene lavorato ancor oggi.
A “due bracciate” dalla lunga riva delle Fondamenta Nove, l’isola accoglie ogni anno, e soprattutto d’estate, un numero immenso di visitatori curiosi. Le cifre sono da capogiro (5-6 milioni di visitatori), irresistibilmente attratti dai capolavori, in parte custoditi presso il locale Museo del Vetro, in parte creati sotto gli occhi sorpresi degli stessi che, dalle porte aperte delle fornaci, accorrono a vedere le magie del vetro fuso che si trasforma in oggetti artistici.
Quella del vetro artistico è una bellissima storia che inizia nella notte dei tempi e viaggia parallela a quella millenaria di Venezia, la città che ha custodito gelosamente i segreti della sua lavorazione per secoli e secoli.
Ma non starò a raccontarvi delle sue origini, nate, forse casualmente lungo le coste della Fenicia, dove la leggenda racconta che “…approdò una nave di mercanti di nitro che si sparsero per la spiaggia a preparare la cena. Poiché non c’erano a portata di mano delle pietre per sollevare i pentoloni, essi usarono come sostegni pezzi di nitro presi dalle navi e questi, accesi e mescolati con la sabbia della spiaggia, produssero rigagnoli lucenti di un liquido ignoto: questo sarebbe stata l’origine del vetro”.
Così narra Plinio il Vecchio nella Naturalis historiae. Ricerche successive attribuirono però questo primato alla Mesopotamia (Gianfranco Toso, Il Vetro di Murano, Arsenale Editrice, 2007).
Da noi le cose andarono diversamente. In tempi recenti (1961) a Torcello, isola vicina a Murano, sono state trovate le fondazioni di una vetreria, probabilmente attiva tra il VII e l’VIII secolo d.C. Il suo sviluppo nell’area lagunare racconta di produzioni di “fiale”, recipienti per liquidi dal collo stretto. I primi maestri vetrai si chiamavano “filari” proprio a ragione di queste ampolle, oggetti da regalo per visitatori illustri.
Lo sviluppo dell’arte vetraria, così come la conosciamo oggi, è avvenuto per gradi, ma ciò che maggiormente sorprende è che il vetro, da oggetto di grande interesse economico, ha saputo via via ricavarsi altri spazi, esprimendo concetti e funzioni nuove, collocandosi in ambiti il cui prestigio era esclusivo appannaggio di altre forme d’arte.
Nonostante la storia dell’isola fosse legata a quella di Venezia, gli assalti della concorrenza si fecero sentire. La Cecoslovacchia nel giro di qualche tempo, riuscì ad imporre il suo “Cristallo di Boemia”, ritenuto più resistente a ragione della miscela di cloruro di potassio e gesso, conquistò la sua fama nella produzione di lampadari che si imposero un po’ dappertutto, sottraendo a Murano una certa parte del suo mercato.
Successivamente Murano seppe riprendersi, differenziando la sua produzione. Da oggetto ornamentale il vetro divenne manufatto artistico, le cui qualità sono state ripetutamente apprezzate anche alla luce dei miglioramenti usati nella lavorazione stessa. Ancor oggi c’è quel tocco di magia, che sorprende sempre chi guarda e che viene dall’aver saputo coniugare tradizione e modernità.
La crisi economica del tempo presente non ha certo risparmiato l’isola portando serissime ripercussioni sull’intero comparto del vetro artistico. Le fornaci più importanti, una dopo l’altra hanno chiuso definitivamente o solo per qualche periodo i loro forni, castigando pure tutti quanti in esse vi lavoravano. Centinaia e centinaia i dipendenti costretti a cercare lavoro altrove.
Ma chi ha saputo resistere lo ha fatto anche per orgoglio. Tra questi c’è la Dino Rosin Arte Studio. Fondata sul finire degli anni 50, ha una storia curiosa che val la pena di raccontare.
Ho conosciuto il titolare, Dino Rosin, durante una breve visita all’isola.
Mi accoglie nella sua fornace raccontandomi la sua storia. Parlando entrambi il dialetto locale, la conversazione è immediata. “La nostra fortuna” – mi dice – “è stata la conoscenza di artisti fra i più grandi di allora”. E mi fa i nomi di Pablo Picasso, Salvador Dalì, Marc Chagal. “Allora a Venezia venivano un po’ tutti e loro non erano certo da meno, sempre pronti ad aprire nuove collaborazioni in campo artistico anche con chi non conoscevano affatto. Mio fratello Loredano, allora titolare della fornace assieme all’altro fratello Mirco, venne a sapere che La Fucina degli Angeli cercava un maestro disposto a realizzare il primo progetto di sculture in vetro su disegno di Picasso: Ninfee e Fauni. Da quel momento tutto cambiò. Si stabilirono modi e tecniche nuove. La grande massa di vetro usato esigeva una trasformazioni tecnica della lavorazione del vetro mai impiegata allora. Era nata una nuova linea che ci permise, dieci anni dopo, di aprire uno studio nostro con il quale siamo andati avanti fino ad oggi.”
“Ma loro, Picasso, Dalì, sono venuti ancora?”, gli chiedo.
“Certo, venivano in incognito con i rotoli dei disegni sotto braccio. Si parlava, si discuteva sui colori, le forme, poi si mangiava assieme”.
Ma qui la faccia di Dino ha una smorfia di dispiacere che gli torna ogni qual volta ripercorre quegli anni. Mi racconta dell’incidente mortale dove morì il fratello Loredano. “Lui veniva in ‘fornasa’ (fornace) in motoscooter. Alla svolta di un canale, un barchino a velocità sostenuta lo ha preso in pieno, uccidendolo.”
Riesco a capire che, pure a distanza di molti anni, quella morte pesi a Dino più di qualunque altra. “Era lui l’anima della fornasa, il vero artista. Morto lui ho passato diverso tempo a chiedermi se sarei stato in grado di fare qualcosa come la faceva lui”.
Poi, dopo un caffè bevuto assieme a tutti gli altri suoi figli, Dino mi porta nella sala di esposizione. Qui rimango affascinato da alcuni dei tanti oggetti creati dalla sua mente e dalle sue mani. Vedo alcuni strumenti musicali, una tartaruga, un volto di Cristo (“Me lo ha chiesto l’ufficio del Vaticano per Papa Ratzinger, prima che si dimettesse”, mi dice senza nessuna presunzione). Poi mi porta nella fornace vera e propria, nella molaria (la stanza dove viene molato, cioè levigato il vetro). Alla fine del breve percorso, saluto la figlia Dania (si occupa della segreteria) e ritorno da dove ero venuto.
“Questa è una copia, l’originale si trova dentro ad una delle grandi navi che attraversano gli oceani”, mi dice buttando gli occhi su una struttura semicircolare che forse ricorda un pianeta. Ha un diametro di un metro ed è composto da centinaia e centinaia di tessere di vetro. Sono meravigliato, forse anche un po’ stordito per quanto ho ascoltato e visto.
Saluto Dino, un vero artista.
Massimo Rosin
Da Venezia
Tutte le immagini sono opere di Dino Rosin Arte Studio :
www.rosinartestudio.it