Il premio Goncourt 2012 è sbarcato nelle librerie italiane, catturando l’interesse di molti lettori. Ritorna il romanzo filosofico. Nel tempo della liquidità delle idee, una riflessione sulla volatilità delle epoche storiche e sull’effimera esistenza umana. Tema centrale: la necessità della fine, un tema controtendente in un mondo che ha perso la cognizione della morte.
L’interesse per il romanzo premio Goncourt 2012 di Jérôme Ferrari (edizioni e/o, 2013) nasce innanzitutto dal titolo “Il sermone sulla caduta di Roma”
Il titolo richiama col termine sermone l’ars retorica dei predicatori medievali che ammonivano sull’imminenza dei tempi ultimi ed insieme la suggestione di S.Agostino che reagiva con ammonizioni costanti al popolo di Dio allo choc tremendo della caduta di Roma nel 610, all’avanzata dei Visigoti. Roma l’eterna era in realtà effimera, apparteneva alla caducità come tutte le potenze terrene.
Nel testo vi è traccia del sermone agostiniano in alcuni capoversi messi in epigrafe ai vari capitoli ed allora si comprende come il discorso sull’effimero è per cosi’ dire interno o almeno sotterraneo, subliminare
Tutto passa. Passano anche le immani tragedie e la caduta degli dei, dei mondi.
E tutto si rinnova. Non si tratta dell’eco dell’Ecclesiaste, si tratta di una posizione filosofica piu’ profonda che un semplice epicedio.
E’ l’idea che l’assenza, la fine sono necessarie. Necessaria all’evoluzione, al mutamento.
Occorre che il mondo che ci circonda scompaia perché altri, nuovi mondi appaiano. L’assenza e l’evoluzione dunque sono i temi sotterranei del romanzo, che puo’ certo definirsi filosofico. Non a caso l’incipit è costituito dalla fotografia del 1918 del gruppo familiare quasi inghiottito dalla nebbia tanto la fotografia è sbiadita. In essa c’è un’assenza clamorosa, quella di uno dei protagonisti nascosto ancora nel ventre della madre ed in cui la data, il 1918 appunto, segna la fine alla lettera di un mondo. Il nascituro proclama l’avvento di un mondo nuovo di cui i protagonisti visibili nella foto sono inconsapevoli. Letterariamente c’è in tutta la struttura narrativa un elemento notevole.
Mentre le epifanie narrative, come ha dimostrato Proust, possono partire da oggetti minimi, vedi la madeleine, qui gli oggetti provocano la sommersione, l’assenza dell’insieme.
Tutto il discorso, poi, porta con se’ un elemento tradizionale nel romanzo europeo, la narrazione generazionale.
L’evoluzione si fonda sulla sparizione-assenza di alcuni personaggi e dall’apparizione di altri, pur legati ai primi da rapporti familiari.
E’ un andamento patriarcale, biblico per cui alle generazioni che si susseguono è concessa la durata nello scenario della storia.
Il primo personaggio della catena generazionale è Marcel, il presente-assente della fotografia iniziale che con la sua resistenza per la sopravvivenza ha un che di epico, sempre in procinto di morire. In realtà acquista una sorta di immunità come deve accadere ai mondi sorgenti.
Poi sopraggiunge Mathieu; è il mondo nuovo, la terza generazione rispetto alla fotografia. Ed egli vive anche la seconda apocalisse, la seconda guerra mondiale.
Ma lo sguardo dello scrittore si sofferma sulla fine dei mondi e non del mondo giacche’ ogni nuovo mondo è destinato al declino, alla sparizione ineluttabile. Tutti i mondi sono destinati a crollare ma il bello è il lento emergere del nuovo, il suo organizzarsi. _ Nel mondo che si costituisce si muovono figure bizzarre, straordinarie nella loro inconsapevolezza, come il personaggio abbandonato dalla moglie che ne vanta la bellezza fisica e ne descrive per filo e per segno l’intimità in pubblico, senza vergogna. Come in Cent’anni di solitudine le microstorie costituiscono il mondo particolare che i personaggi animano.
Mathieu ha un amico Libero, insieme acquistano il bar intorno a cui si costruisce il loro mondo. Uno studia Agostino e l’altro Leibniz, quello dei mondi possibili. Nel mondo di Mathieu entra oltre l’amicizia, l’amore. Ma lentamente come per gradi.
E poi come nel gran finale di un’orchestra importante, ecco apparire a tutto campo, il sermone, il sermone della caduta di Roma, il sermone di Agostino, che dà come il suggello della grandiosità, dell’epicità alle singole vicende umane e che ne esprime il significato.
I mondi possono cadere ma Dio ha promesso non la loro eternità bensi’ l’eternità dell’anima. Cio’ che nasce dalla carne, con la carne perisce
Vent’anni dopo la caduta di Roma anche Ippona cadrà e Agostino morente circondato dai discepoli vedrà, sentirà la sua fine ma non dubiterà dell’inalterabilità della città eterna
Carmelina Sicari
Descrizione dell’editore:
Perché un mondo nasca bisogna che ne muoia un altro, solo le cose eterne sono eterne: è l’assioma che sottintende a questo romanzo travolgente in cui si accavallano per tre generazioni le vicende di un’unica famiglia originaria di un paesino della Corsica. Ognuno di noi durante la propria vita crea un mondo fatto di legami, di progetti e di sogni che si cancella con la propria morte. E così Marcel, nato poco dopo la Prima guerra mondiale, passa attraverso la malattia infantile, l’emigrazione sul continente, la Seconda guerra mondiale, il matrimonio, l’esperienza nell’Africa coloniale francese e la vecchiaia componendo un mondo che si esaurisce con lui, non diversamente da quello che accade a Matthieu, il nipote, che due generazioni dopo rivoluziona la vita del paesino corso aprendo un movimentato bar che richiama gente da tutta la regione e dove si svolgono vicende al limite del surreale in un crescendo catartico che porterà, ancora una volta, allo spegnersi del mondo da lui creato.
Bisogna credere nei mondi che creiamo? Bisogna illudersi che siano eterni? O seguire l’ammonimento di Agostino, vescovo di Ippona, che risponde allo sgomento dei fedeli per la caduta di Roma a opera dei visigoti dichiarando la vanità delle cose terrene?
Il sermone sulla caduta di Roma. Jérôme Ferrari arriva in Italia.
Segnalo che nel testo è scritto che la caduta di roma è avvenuta nel 610.