Gli stranieri notano subito il nostro modo di gesticolare mentre parliamo, anche se noi non ce ne accorgiamo nemmeno. Il “New York Times” ha recentemente dedicato un intero servizio interattivo alla nostra abitudine di muovere le mani mentre parliamo. Attraverso un grafico animato l’articolo passa in rassegna tutti i significati dei nostri gesti. Le riflessioni di un’Altritaliano emigrato a Montréal (Canada) sull’argomento e il link all’articolo del noto giornale statunitense.
Emigrando, la percezione che noi italiani abbiamo della nostra maniera di vivere e di sentire “collettiva” acquista per la prima volta un forte rilievo. Prendiamo il gesticolare ed il parlare a voce alta, che in Italia sono gli atteggiamenti un po’ di tutti. Ma pochi abitanti della Penisola si rendono conto di questa loro particolarità, perché essa costituisce la maniera normale, diffusa, “nazionale” di fare.
Noi espatriati, invece, ci troviamo a vivere in una società dove diversi nostri atteggiamenti si distaccano da quelli della maggioranza. E così finiamo col prendere coscienza di certe nostre caratteristiche. In Canada, ad esempio, solo i giovanissimi parlano ad alta voce in autobus e in metrò. Noi italiani, invece, abbiamo la tendenza a farlo a tutte le età. E lo stesso dicasi per il nostro gesticolare.
Il gesticolare, o se vogliamo usare un termine più nobile la “gestualità”, è l’espressione di una grande capacità di comunicazione. È una marcia in più che gli Italiani hanno rispetto ad altri popoli. La mimica raggiunge nel Napoletano e in Sicilia addirittura forme d’arte. Che si legga quel che Barzini ha scritto in “Italians” sulla capacità espressiva dei Siciliani… Apro una parentesi: se Barzini riuscì a capire tante cose degli Italiani ciò avvenne anche perché visse per molti anni all’estero, in America.
I gesti, la mimica, aggiungendosi all’oralità che perfezionano e arricchiscono, costituiscono un linguaggio ricco e complesso. Sul linguaggio dei gesti sono stati scritti numerosi articoli e persino libri. Chi ama il parlare, il dire, il comunicare, chi è estroverso ricorre alla gestualità. Una gestualità non fatta a caso, non disordinata, non incoerente, ma che ha una sua razionalità, una sua tradizione, una sua economia, un suo ordine: essa costituisce, insomma, un linguaggio. E come quando si parla, per farsi capire si usano parole conosciute dall’interlocutore, quando si gesticola si fa ricorso a gesti dal significato preciso. Tutto ciò istintivamente.
I gesti sono un linguaggio in più. Gli analfabeti della mimica, ossia i popoli nordici, pensano che la nostra mimica corrisponda ad un’agitazione scomposta. Ci avrete fatto caso: in molti film stranieri, il personaggio italiano è falso: invece di gesticolare nella maniera dovuta, si agita scompostamente. I suoi gesti non rispettano alcun codice, non costituiscono insomma un linguaggio. Ma ce ne accorgiamo solo noi spettatori italiani. Gli altri, al solito, ridono prendendo la caricatura per vera. «Quello lì è un individuo italiano perfetto», devono dirsi…
Le culture più antiche e raffinate amano l’espressività dei gesti. In altre culture, la gestualità è invece impacciata, rattrappita, stitica. Corrisponde ad un semplice balbettio. I popoli nordici, composti in genere da individui introversi e dalle poche parole, rifuggono dai gesti corporei perché temono l’estroversione, l’avvicinamento all’altro, il contatto… Di qui anche la loro propensione al bere. Solo in tal modo riescono a lasciarsi andare. Allora sì che diventano esuberanti, e così gesticolano, si sfiorano, si toccano addirittura… Sotto gli effetti dell’alcol la loro mimica si arricchisce. Comunicano intensamente. Diventano per un momento espressivi come noi.
Diventano mediterranei.
Claudio Antonelli
Il link all’articolo del NewYork Times
Il link al breve lessico interattivo proposto dal New York Times
Pubblicato il giovedì 1 agosto 2013