Ma l’Europa è destinata a consegnarsi alla destra nel prossimo futuro?
È inevitabile, per chi vuole scongiurare questa ipotesi, guardare a sinistra e lì si può vedere come inevitabilmente, siano proprio lì, le ragioni principali di queste “porte aperte” alla Le Pen in Francia, a Salvini e Meloni in Italia, per restare ai due paesi che per ragioni editoriali ci sono più vicini.
Anche in questi paesi è difficile parlare di sinistra e, come consiglia lo studioso Luca Ricolfi, meglio sarebbe parlare di sinistre. Oggi esistono due sinistre ben diverse fra loro e spesso finanche contrapposte. Si tratta di differenze non solo nel modo di pensare, nel lessico, ma anche nei valori, nelle analisi della nostra contemporaneità. Solo che quella che potremmo per comodità definire nuova sinistra, in Francia non ha una rappresentanza chiara. Il partito di Macron tenta la sfida di un superamento degli schieramenti come intesi nel XX secolo. Una posizione che suscita interpretazioni ambigue, tanto che a turno, il presidente francese è tacciato come esponente di sinistra dai lepenisti e di destra dalla, a questo punto, “vecchia”, se non fosse altro che per origine, sinistra francese.
In Italia, alleato a Macron è il neonato Italia Viva di Matteo Renzi, che è un partito ancora con poca voce ed in evidente costruzione, una cosa che richiede tempo e quindi restano, in primo piano, le vecchie sinistre francesi ed italiane, che si muovono spesso in modo contradittorio, approssimativo e che faticano a cogliere le novità nel mondo, del nuovo secolo e nuovo millennio.
La vecchia sinistra ha il gap di non aver mai fatto, cosa accaduta nella formazione della “nuova”, una seria e severa autocritica del suo pensiero. Si è allontanata dalle esperienze socialiste senza mai davvero disconoscerle, restando avvinghiata ad un’ideologia privata dei suoi contenuti, ma viva solo nelle sue liturgiche modalità.
Da una parte c’è chi aspira ad un rinnovamento della sinistra in chiave liberale, facendo particolare attenzione al futuro, sia per le inquietudini ambientali, che sono già del nostro presente, sia per le nuove generazioni, sempre più dimenticate dal dibattito politico. Una sinistra che nel corso di alcuni decenni ha fatto un percorso di revisione sofferto, abiurando all’ideale socialista, come un ideale ormai vinto e superato dalla storia, e considerando l’ideale democratico come la vera conquista della sua evoluzione. Tutto questo (valori liberali, ambiente, democrazia) ha portato a battersi maggiormente sui diritti civili (matrimoni gay, più diritti per le donne, ius soli e/o culturae, diritti degli emigranti e la loro integrazione, affermazione del merito e visione di un mondo come opportunità, contro i nazionalismi e piuttosto il sogno di realizzare gli Stati Uniti d’Europa, sono solo alcuni esempi indicativi). Per questo, a Marx, Che Guevara e Fidel, questa nuova sinistra contrappone nuove figure, Barack Obama, Kennedy, l’eretico Pasolini e più di recente simpatie sono state manifestate a Greta Thunberg e al fenomeno spontaneo (o quasi) delle Sardine, in Italia. Una delle foto della diversità che si vive a sinistra è stata proprio il caso del venezuelano Maduro, difeso e osannato dalla vecchia, liquidato come un dittatore da combattere dalla nuova (in Italia i renziani ma anche +Europa). Questa sinistra dai tratti radicali e liberali che trova riferimenti in quella che fu l’esperienza di Giustizia e Libertà, vede il “nemico” non più nel Capitalismo, ma nelle sue degenerazioni, i grandi gruppi finanziari e della rete, tuttavia con i distinguo necessari alla complessità di un mondo globale. Guarda al futuro con politiche che debbano favorire le potenzialità, specie nei giovani, nel misurarsi con i continui cambiamenti ed evoluzioni del lavoro. Parola d’ordine di questa nuova sinistra è “cambiamento” e dunque la lotta a tutte quelle caste e lobby piccole e grandi che impediscono ogni evoluzione all’Occidente ed ai singoli paesi come Francia ed Italia, in nome dei propri privilegi.
Emblematicamente, la vicenda dell’annoso sciopero nei servizi pubblici in Francia, che ormai ha battuto ogni record di durata e la cui fine non appare prossima, è la cartina di tornasole di questa divisione nella sinistra. Sbaglia chi cerca la divisione in motivi di leadership ridimensionando il tutto ad uno scontro tra clan per la mera conquista di quell’area politica. Lo scontro è tutto sul merito, è sui valori ed i contenuti alla luce dell’evoluzione del pianeta.
Paradossalmente, vecchie guardie della sinistra come Mélanchon in Francia, contrappongono, al controverso progetto di riforma delle pensioni di Macron, il mantenimento dell’attuale status quo. Un qualcosa che in una sinistra meno sclerotizzata dovrebbe far sussultare.
L’attuale status quo prevede infatti ben 42 tipi di pensionamento diversi: si va dalle ballerine che si pensionano a 42 anni, ai conduttori di treni che vanno in pensione tra i 52 e i 55 anni, in virtù di una vecchissima legge, in tempi in cui i treni e i trasporti erano ben più impegnativi dell’attuale.
Una giungla sperequativa che per prima la sinistra dovrebbe voler cambiare e semplificare, anche perché in questa giungla si celano mille diseguaglianze e, soprattutto, nega una pensione a quei tanti giovani che già oggi faticano a trovare un lavoro stabile.
Ebbene, con evidente miopia politica, questa vecchia sinistra deflagrata politicamente (il PS francese è in pratica scomparso e che dire dei comunisti?) ma che ha ancora voce nei sindacati politicizzati alla Martinez (forti specie nei servizi pubblici, quasi assenti nelle imprese private ed industrie, e anche questo dovrebbe far riflettere) e in alcuni settori proprio di quelle lobby che la nuova sinistra vorrebbe colpire (università, editoria, media, spettacolo, insomma i salotti buoni che hanno tuttavia ancora un’egemonia non indifferente specie sui media e l’informazione) si trova fieramente ad appoggiare uno dei più corporativi scioperi di questo nuovo millennio.
Chissà cosa avrebbe pensato il buon Di Vittorio che fu il leader della CGIL in Italia di uno sciopero che avesse colpito obbiettivamente non un padrone ma la società nel suo insieme, e tanti lavoratori, spesso precari, in particolare.
Come ha rilevato anche Pascal Bruckner dalle colonne de Le Figaro e poi da Il Foglio in Italia, nella Francia è in corso una drammatizzazione di un qualcosa che viceversa andrebbe salutato con piacere. I francesi che fanno sciopero non vogliono andare in pensione a 64 anni, non sembrerebbe una tragedia, visto che altrove, direi in quasi tutti i paesi del mondo, si va in pensione a 65 anni se non a 67 (come in Belgio, Germania) senza tanti piagnistei. Il tutto in un paese che ha il minor numero di ore lavorate in Europa (fonte Commissione europea).
La nuova sinistra si schiera compatta con Macron, la vecchia si schiera per mantenere lo status quo. Del resto va considerato che in politica estera più volte Mélanchon, che oggi è indubbiamente la figura più rappresentativa della anemica sinistra francese, è stato spesso su posizioni sovraniste e prossime finanche alla Le Pen come nel corso delle ultime elezioni politiche francesi, un tentativo maldestro di recuperare terreno nelle fabbriche, una cosa analoga con identico insuccesso l’ha fatta Corbyn, altro campione della sinistra all’ancienne, in Gran Bretagna, quando restò a guardare sul guado a proposito della Brexit, per timore che, schierandosi contro, perdesse consensi tra gli operai, cosa che puntualmente è comunque accaduta.
Ed allora, una sinistra così vecchia da diventare miope, pur di colpire Macron si prepara ad aprire le porte alla Le Pen. Già a proposito dei Gilets Jaunes, si preferì appoggiare la violenta contestazione settimanale nelle strade francesi, senza ricordare che ad originare tanta violente contestazione fu che Macron voleva imporre una tassa per favorire l’ambiente specie dopo il fortunato trattato di Parigi. Invece, ancora una volta, quella sinistra, preferì logori slogan, ormai fuori dal tempo oltre che dalla storia, che di abbracciare la causa ambientalista.
Anche in Italia la sinistra conservatrice è nel caos e, con queste premesse, c’è da prepararsi all’avvento dell’autoritario Salvini. Dopo aver fatto una guerra continua alla leadership di Renzi, che aveva raggiunto la segreteria del PD con il preciso mandato di rinnovare la sinistra, creando continui ostacoli a quel tentativo di rinnovamento, Zingaretti e soci oggi sembrano molto più occupati a colpire Italia Viva (che stenta a decollare nei sondaggi) che a proporre un progetto chiaro e coerente per il futuro del paese.
Si è arrivati al paradosso, dopo anni di offese reciproche, di proporre ai populisti di M5S di fare un’organica alleanza per tutte le elezioni e dulcis in fundo di indicare Conte, uomo di Grillo e Di Maio, come nuovo leader della sinistra e successore di se stesso alla guida del paese, dopo averlo guidato indifferentemente con i sovranisti di estrema destra della Lega.
È ovvio che in Italia come in Francia, la vecchia sinistra fatica a rinnovarsi. La sua ideologia dominante per gran parte del secolo scorso, è stata sconfitta. Il capitalismo è più forte che mai, chi invece è in estinzione è proprio quella classe operaia che avrebbe dovuto dominare il mondo. Di quella sinistra sono rimaste le liturgie, una sempre più debole egemonia “culturale” in alcuni settori della società. Così, da una parte c’è una sinistra vivente ed in evoluzione che guarda al moderatismo dei toni e che vuole innovare nei contenuti, ma ancora minore e per certi versi, come in Italia, minoritaria; dall’altra parte c’è l’enorme involucro sempre più vuoto di una sinistra che non ha contenuti nuovi e davvero rivoluzionari da proporre e che sembra perpetuarsi, fino a quando? solo per una sua presenza in alcune lobby, quelle ricordate, ma che appare incapace di un sincero e profondo rinnovamento. Una sinistra che rimane legata religiosamente ad un dogma ormai senza nome. Di fronte c’è una destra, ma si dovrebbe parlare anche in questo caso di destre, che sono pronte a cogliere i frutti del ritardo culturale dei propri competitor.
Nicola Guarino
Gentile Signor Jean-Claude, il suo commento è la fotografia del conflitto che vi è nella sinistra oggi tra vecchie e nuove posizioni. Per la verità io ho detto che Macron sembra voler superare la contrapposizione novecentesca tra destra e sinistra. La sua è una politica più pragmatica e meno ideologica. In questo Renzi e Macron sono piuttosto simili e, abbandonata la superata (dalla storia) ideologia socialista, puntano ad un progetto più democratico con contenuti liberali. Renzi ad esempio cerca di colpire le lobby, le caste ed entrambi aspirano ad una società sì più equa ma anche più libera e che dia valore al merito anche individuale.
Rompere con il capitalismo, come lei propone, mi pare appunto una vecchia idea ormai anacronistica. L’ideale socialista non ha sconfitto il capitalismo, semmai è la figura della classe operaia che ormai è in crisi. La realtà è che la sinistra dovrebbe fare una forte autocritica rivalutando anche un certo capitalismo che ha favorito lo sviluppo culturale, economico, sociale, tecnologico e scientifico. Demonizzare o peggio combattere il capitalismo è stato un errore, semmai va combattuto un certo tipo di capitalismo, quello delle speculazioni finanziarie, quelle che tendono di monopolizzare il mercato finendo per impedire la libera competizione produttiva e commerciale.
Si j’ai bien compris, Macron serait de gauche ? Stupéfiant ! Ce serait peut-être une gauche mal à droite qui aurait oublié que le petit peuple existe. Il est petit, mais il existe. La preuve… Rompre avec le capitalisme, c’est possible, et même vital et ce n’est pas le duo Renzi-Macron qui conduira ce combat, vous ne pensez pas ?