Per Missione Poesia segnaliamo Il carro dorato del sole, una prima e preziosa antologia in lingua italiana che raccoglie la poesia bielorussa del XX secolo. La curatrice, Larisa Poutsileva, vive e insegna la lingua russa in Italia dal 1988. È un’ottima conoscitrice della nostra lingua. Nelle intenzioni della Antologia è evidente la necessità di sottolineare come gli autori ricerchino l’affermazione della propria identità storico culturale, attraverso il canto espresso con la propria voce. Per la nostra cultura l’opera diventa un punto di riferimento per quanti vogliano accedere ai testi in traduzione.
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Larisa Poutsileva, dottore di ricerca in scienze filologiche, è stata docente di Lingua russa per stranieri all’Accademia Politecnica Bielorussa di Minsk, all’Università degli studi di Algeri; trasferitasi in Italia nel 1988 ha insegnato la lingua russa alle Università degli studi di Perugia, Bologna e Milano. Ha pubblicato articoli di linguistica e letteratura contemporanea russa in Italia, Russia, Bielorussia, Germania, Francia e Ungheria; sussidi didattici e la monografia Lessico russo. Lessicologia e fraseologia (CLUEB, Bologna, 2003). Ha realizzato contributi sulla letteratura bielorussa ai Congressi internazionali di slavisti in Macedonia, Bielorussia e Serbia. Nel 2015 ha scritto La letteratura bielorussa per la IX Appendice all’Enciclopedia Italiana Treccani. Ha tradotto in italiano le poesie di N. Gumilev e in russo le poesie di alcuni autori italiani. Per CartaCanta (Forlì, 2020) ha curato Il carro dorato del sole, antologia in italiano della poesia bielorussa del XX secolo.
Conosco Larisa Poutsileva da tantissimi anni. Abbiamo cominciato a incontrarci ad eventi di Poetry Slam quando frequentavamo entrambi gruppi diversi di attivisti poetici (come li chiamavamo allora). Siamo da subito entrate in sintonia anche se, nel corso del tempo, a volte ci siamo perse, poi ritrovate, andando a periodi alterni con le nostre frequentazioni. Ultimamente ci siamo frequentate molto, anche dopo il suo trasferimento da Bologna a Milano. Lei è dolcissima, sempre piena di attenzioni garbate, ama la poesia e cerca di divulgarne la sua conoscenza, anche attraverso incontri con autori e lezioni con i suoi allievi, affrontando spesso percorsi linguistici e storici. Lo dimostra del resto la curatela di questa bellissima e importante antologia, di cui vogliamo rendere conto nel nostro articolo: un lavoro che certo mancava e che arricchisce il nostro bagaglio culturale in un campo poco frequentato di lingua e poesia.
Il carro dorato del sole
L’antologia curata da Larisa Poutsileva, Il carro dorato del sole (CartaCanta 2020), di cui oggi parliamo, oltre ad essere la prima nel suo genere, contiene testi di ventisei poeti bielorussi appartenenti a vari periodi storici: dal Rinascimento nazionale del Primo Novecento al ‘Realismo socialista’ degli anni sovietici e fino al periodo postmoderno.
Nella prefazione al libro, Davide Rondoni, scrive: “La voce della poesia bielorussa ha l’accento indiscutibile di una terra che non ha confini precisi, perché si chiama libertà. Una terra martoriata di dolore, voci di poeti coinvolti nel destino di sofferenze del proprio popolo in un modo che molti dei cosiddetti poeti odierni, ripiegati sull’ombelico e sul vocabolario, faticano persino a comprendere. Ma, appunto, una antologia di tale poesia è salutare, riapre certe dimensioni comunitarie e responsabili della storia spesso assenti in una poesia postmoderna ormai resa esausta dei suoi stessi modi, nell’oscillare tra camera da letto e tinello con la caffettiera.”
E, in effetti, non possiamo che concordare su questa lettura dell’opera in quanto appare evidente che la curatrice stessa intende mettere in risalto proprio questo, ovvero come la dimensione dell’appartenenza a una radice storico culturale ben definita, tenga unite le fila dei poeti bielorussi che, dai primi del ‘900 ai nostri giorni, attraverso il canto e l’uso della propria antica lingua, tendono ad affermare il diritto alla loro identità e alla libertà. Del resto, dalla pubblicazione del volume è infatti possibile prendere spunti per apprezzare le modalità di rappresentazione della cultura poetica Belarus’, specie nel momento in cui, la sua uscita, coincide con una fase di massima repressione di ogni tentativo di espressione da parte della dittatura politica di Lukashenko, repressione avvolta in un atteggiamento europeo piuttosto imbarazzante, che non ha appoggiato sino ad oggi le denunce insorte contro la dittatura stessa.
Dunque poesia come mezzo per raccontare un’identità nazionale, e antologia per raccogliere le voci che contribuiscono a questo racconto, voci che, nonostante il supporto di alcuni eminenti slavisti, sono tuttavia, in massima parte, isolate e sconosciute alla comunità letteraria internazionale se pure, il processo che sta alla base del tentativo di affermazione, dura da diversi secoli. Non deve essere stato facile tradurre poeti che hanno fatto e che fanno parte della storia stessa del paese, anzi, possiamo immaginare che chi ha operato in tal senso si sia sentito investire di una grossa responsabilità. Ma il risultato può essere definito eccellente, e il libro è stato accolto nelle biblioteche universitarie, restando così disponibile per la lettura agli studenti e a chiunque intenda conoscere la poesia di quella terra e, attraverso essa, comprendere meglio anche l’anima dei bielorussi, compreso inevitabilmente il loro desiderio di resistere al regime. Riprendendo parte di un’intervista, rilasciata dalla curatrice sul web, ci piace ricordare come: “La poesia vive adesso nelle strade di Minsk e di altre città bielorusse, alcuni poeti sono stati arrestati, come E. Akulin e D. Strocev. Le opere incluse nell’Antologia si possono sentire tra i manifestanti: le poesie Pahona di M. Bahdanovič (1916) e La preghiera di N. Arsenneva (1943), ad esempio, sono diventate i nuovi inni nazionali. I cori del teatro di Opera e Balletto, della Filarmonica e gli altri li hanno cantato nelle strade di Minsk. I lavoratori della più grossa raffineria bielorussa Naftan hanno letto su internet la poesia Bielorussi (1905) di Ja. Kupala.”
Ecco, quanto reso noto nell’intervista, ci sembra un bel modo per evidenziare come, ancora una volta, attraverso la poesia – poiché questo vale per tutti i popoli di tutti i paesi – si possa davvero contribuire a collaborare con la storia, a integrarla, a diventarne parte e supporto fondamentale perché le voci dei poeti, quelli veri, sanno toccare corde interiori di complessità e profondità a cui la storiografia da sola non arriverebbe. Siamo grati quindi, per concludere, a chi ha lavorato su questi testi, a chi ha deciso di raccoglierli e di presentare, nell’introduzione al volume, anche un exursus sulla storia della poesia bielorussa, a chi ha accolto l’idea di pubblicarli… siamo grati per averci dato la possibilità di entrare in questa poesia che, davvero, leggendola, ci fa conoscere un mondo che, diversamente, ci sembrerebbe forse lontano, e un popolo del quale non possiamo che condividere il desiderio di libertà e indipendenza.
I testi di alcuni autori dell’antologia: Il carro dorato del sole
Alaiza Paškevič
(1876 – 1916)
Aquile, sorelle, datemi le ali,
la vita quaggiù mi è venuta a noia.
Dall’alto ognuna mi lanci una sua penna,
quaggiù la vita amara sopporto a mala pena.
Con voi vorrei, aquile, volare
sopra i monti, sopra le valli,
vorrei con l’ala le nubi tagliare,
e con audacia il cielo guardare.
Viver vorrei in mezzo ai cirri,
le ali nella lotta feroce ferirmi,
il sangue ber dal cuore della gente,
e sul monte portarlo sotto il vento.
Aquile, sorelle, datemi le ali,
la vita tra la gente mi è venuta a noia.
Dall’alto ognuna mi lanci una sua penna,
quaggiù la vita amara sopporto a mala pena.
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Uladzimir Duboŭka
(1900 – 1976)
Oh Belarus’, mia rosa selvatica,
foglia verde – fiore scarlatto!
Non morirai sotto il vento furioso,
non ti invaderà l’assenzio-černobyl’.[1]
Io diventerò i suoi petali,
sui giavellotti lascerò la vita.
Amo i tuoi radiosi occhi
di color grigio chiaro.
Mai il vento furibondo
arrufferà le tue trecce.
Aspiri alla Comunità di Luce[2]
per far fiorire dappertutto la gioia.
Non si sfugge l’ostilità del destino:
lo spirito si rafforza negli ostacoli.
Oh Belarus’, mia rosa selvatica,
foglia verde – fiore scarlatto!
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Larysa Henijuš
(1910 – 1983)
Il carro dorato del sole
Le ali della notte bussano alla porta,
il forte vento forza il catenaccio,
tutto rimane già scritto sulla carta,
ciò che ho nel cuore, lo porto via con me.
Domani scenderà la neve color ciliegia
e fiorirà al sole un arbusto di lillà.
C’è una parola uscita dalle fiabe,
strappata dalle costole: Belarus’.
Il nemico non cederà per poco l’orizzonte,
negli schiavi umiliati è schiacciato l’orgoglio,
sono ormai caduti i titani della patria
nei luoghi remoti, dietro i fili spinati.
È ancora molto il taciuto e non il fatto,
non sono state vendicate le lacrime e il sangue.
Lascerò a voi le mie angosce,
lascerò a voi il mio amore.
E al cuore provato auguro dei sogni
con l’odore di primavera, il bianco fumo dei ciliegi,
il carro dorato del sole,
la bandiera della libertà e l’inno della vittoria.
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Jaŭhenija Janlščyc
(1948-1988)
Chiamami. Parlami.
Perdiamoci nell’erba inebriante.
Dall’amore comincia tutto,
anche le cose meno importanti.
Non mancate di sincerità
lungo la strada della vita.
Dall’amore comincia tutto,
i primi passi, i primi successi.
Si addomesticano gli usignoli,
i paesaggi cambiano nel tempo.
Dall’amore comincia tutto,
anche l’odio e la ripugnanza…
Chiamami. Parlami.
Ho cento vie dietro le spalle.
Dall’amore comincia tutto,
e non si vive in altro modo.
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Viktar Žybul
(1978)
Sono un passeggero
Sono un passeggero. Viaggio senza biglietto
su un treno colmo di controllori.
Per nulla al mondo scenderò dal treno,
ho perso la vergogna. Da tempo non mi vergogno.
Al finestrino si distende la vastità
e il vento affoga nelle distese.
Forse sono l’unico passeggero
su un treno colmo di controllori.
P.S. I traduttori della antologia sono diversi: Marco Ferrentino, Paolo Galvani, Maya Halavanava, Svitlana Korolyova, Serjej Logish, Lina Ventura e Larisa Poutsileva.
Bologna, 19 gennaio 2022
Cinzia Demi
[1] černobyl è il nome di una pianta selvatica – l’assenzio (lat. artemisia vulgaris); černobyl’ è anche il nome della città in Ucraina dove è accaduto l’incidente nucleare nel 1986.
[2] Comunità di Luce, una metafora, si intende la Bielorussia nuova, indipendente e socialista.