Leoni d’oro per Rosi e Pasolini. No, non siamo negli anni ‘60 e ‘70, siamo alla 70. Mostra di Venezia datata 2013, ma quei nomi nobilissimi del cinema sono riapparsi, come per incanto. Non sono Francesco (Rosi) e Pierpaolo (Pasolini), bensì Gianfranco e Uberto.
Hanno una forte eredità nel cognome che portano, e che la 70. Mostra di Venezia, presieduta da Bernardo Bertolucci, ha loro conferito la massima onorificenza: Leone d’Oro al film di Rosi “Sacro GRA” (ben girato e scorrevole, prima volta per un documentario) e il Leone della rassegna parallela “Orizzonti” per “Still Life” di Uberto Pasolini, dolcissimo e pieno di vitalità, pur sospeso fra la vita e la morte. Pasolini da anni opera in Gran Bretagna.
Un gran bel riconoscimento per l’Italia (ma non chiamiamolo patriottismo solo perché a presiedere la giuria è il maestro Bertolucci), bensì una testimonianza verso un cinema che sa offrire ancora lampi di genio. E lo dimostra pure la Coppa Volpi per la migliore attrice attribuita all’ottantaduenne Elena Cotta, intensamente espressiva (e senza parole) nel buon film d’esordio di Emma Dante “Via Castellana Bandiera”.
Non si ricordava da molti anni una consistente affermazione del cinema italiano a Venezia, l’ultimo Leone d’oro per Amelio quindi anni or sono, ritornato quest’anno con l’eccellente “L’intrepido”.
Eppure di ottimi film se ne sono visti anche in questa 70^ Mostra, e non solo in concorso, forse soprattutto fuori concorso e nelle rassegne parallele. I criteri per i quali inserire un film in gara ed altri nelle altre proiezioni rimarrà un mistero che almeno venti anni fa ponemmo all’allora direttore Gillo Pontecorvo, ma senza averne risposta. Certo, premiare con il Leone d’argento il greco “Miss violence” del giovane Avranas e nel contempo miglior attore lo stesso protagonista Panou, diventa un atto di coraggio ulteriore verso un film che potrebbe avere difficoltà di accettazione da parte del pubblico. In conferenza stampa azzardammo (su questo film) che si trattasse di una metafora della difficilissima situazione in Grecia, dove l’”orco” del film è il potere economico del capitale mondiale che detta ogni legge, stuprando i deboli (nel film la famiglia in quel pur elegante appartamento), e alla fine una ribellione a porte chiuse culminata come in una tragedia greca, quale momento di rivalsa e riappropriazione della identità civile. Una metafora appunto, cui il regista (per diplomazia) ha sottaciuto aggiungendo: “non vedo al momento in patria personalità in grado di fare “rivoluzioni”.
Gran Premio della Giuria (immeritato) per il Taiwanese “Stray dogs” (Cani randagi), con lunghissimi indugi di primo piano da assopirsi per la noia. Noioso come l’altro Premio Speciale per il tedesco Groning del film “La moglie del poliziotto”, lucido (sul tema della violenza domestica) ma lungo di 175 minuti, interminabili. Sarà pure poetico il taiwanese, e audace il tedesco, ma quale distributore li prenderebbe mai? E per quale pubblico, la cui maggioranza è sempre più abituata ai ritmi televisivi?
Ecco dunque, l’antico dilemma avanzato spesso dai critici e quest’anno in particolare: se i film rimangano nel chiuso delle sale del Lido (con lo scalpore del momento) oppure debbano aiutare lo spettatore a fruire (comunque) di un’opera d’arte, andandovi incontro. Evitare insomma (lo spiega Mereghetti) “i film da museo”, andare incontro ai gusti giovanili evitando scimmiottamenti da video-arte.
Per quel che ci riguarda, da osservatorio “periferico” dell’Italia, la Mostra di Venezia continua a darci “lezioni” (lo fa da oltre 26 edizioni), con alti e bassi certo, avendone seguito di “scandalose” o “azzardate”, di “innovative” e talvolta”piatte”, ma per noi sempre accademiche e di grande stimolo: perché il Cinema continuerà ad avvincerci, a manifestarci, a farci crescere.
Armando Lostaglio