I biglietti cinesi di Puppo. Dalla Città proibita a Le terre del riso

Per la rubrica “Italiani in giro” dell’estate 2025, riceviamo altri splendidi biglietti dalla Cina, le cronache di viaggio a firma di Maurizio Puppo, accompagnati come sempre dalle sue splendide foto. Buon viaggio!

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V – Padre e madre: la città proibita

Padre è il partito, il governo, lo stato. Madre è la terra cinese, i cui confini, visti da Pechino, appaiono così remoti da far dubitare della loro reale esistenza. Madre perduta, la Città Proibita. Vecchia residenza dell’imperatore, e della sua corte di concubine ed eunuchi; proibita agli altri fino al 1925. La si può cominciare a vedere dall’alto di un parco bellissimo, il Jingshang, “Collina del carbone”. I visitatori (in maggioranza locali) si accalcano per fare fotografie, a migliaia (ma cosa sarà di questo cimitero di immagini che si accumula ogni giorno nei nostri telefoni?).

Per entrarci, nella Città Proibita, si passa da Piazza Tienanmen. Controlli, uno dopo l’altro: passaporto, borse, ispezioni. Code interminabili. Non appena superata una postazione, già se ne vede un’altra, da cui ci separano una distanza e una folla apparentemente insormontabili. Forse (viene da pensare) i controlli dureranno in eterno. Invece si entra. Piazza Tienanmen è un’allucinazione di cemento, grande sei volte Place de la Concorde. C’è il ritratto di Mao sopra la porta che conduce alla Città Proibita.

Qui fu proclamata la Repubblica Popolare, nel 1949. Qui l’esercito sparò sui manifestanti, nel 1989: circa 300 morti secondo i dati ufficiali, molti di più secondo la Croce Rossa Internazionale. Una volta entrati nella Città Proibita, la folla si disperde. Ci si può sedere in disparte in un angolo di ombra e silenzio, tra le terrazze di pietre smaltate bianche e gialle, i tetti arancioni, le statue di draghi. Tra il 1986 e il 1987 Bernardo Bertolucci girò qui «L’ultimo imperatore», film fatto (benissimo) per il grande pubblico e per le giurie internazionali; ma non privo anche di un fascino più sottile e malinconico. È la storia di Pu-Yi, imperatore a tre anni, nel 1908; costretto dalla rivoluzione nazionalista ad abdicare nel 1912, catturato dai sovietici alla fine della Seconda Guerra Mondiale, riportato in Cina da Mao.

Dopo dieci anni di rieducazione in un campo di prigionia, finirà a lavorare come guardiano. Le ragazze cinesi in visita alla Città Proibita, che per gioco si vestono con i costumi tradizionali, del massacro del 1989 probabilmente non sanno nulla: a celare quel che accadde, il regime ha eretto una grande muraglia.

VI – La grande muraglia

Centoventi chilometri a nord di Pechino, nella zona di Jinshanling, c’è un tratto ben conservato della Grande Muraglia, meno affollato di altri. Ha piovuto molto, il cielo è gonfio d’acqua calda e di una luce buia. Si sale su per i gradini di un serpente che si snoda nel verde. La lunghezza della Grande Muraglia è stimata da alcuni a più di seimila chilometri, da altri a quasi novemila. Difficile censirla tutta.

Fu costruita ventitré secoli fa, per difendere la frontiera nordica dell’impero dalle invasioni dei popoli mongoli. Una volta si diceva che fosse l’unica costruzione umana visibile, a occhio nudo, dalla Luna: cosa, a quanto pare, infondata. Una ragazza francese sale gli impervi gradini appoggiandosi, con difficoltà, sui tacchi. La sua amica, meglio equipaggiata, la attende. Ci si saluta tra viandanti, come si fa in campagna. L’attesa è finita, le torrette che scandiscono il percorso sono deserte, nessun Giovanni Drogo ad aspettare, come nel Deserto dei Tartari, la grande ora, o il grande inganno, della vita.

Qui nessuno teme più l’invasione di misteriosi nemici dal Nord. Tra i primi occidentali a visitare la Grande Muraglia ci fu Matteo Ricci, gesuita italiano del Cinquecento, missionario ed evangelizzatore. Uomo di intelligenza prodigiosa, imparò il cinese tanto bene da ricevere il titolo di mandarino, pubblicare in Cina una carta geografica universale, tradurre gli Elementi di Euclide, raccontare il De rerum natura alla corte imperiale, studiare i testi di Confucio. Attraverso di lui Cina e Occidente si aprirono, ognuno, al mondo dell’altro. Nel Millennium Museum di Pechino, Matteo Ricci, con Marco Polo, è il solo occidentale ad avere un ritratto. Un gesuita alla corte di un paese comunista e culturalmente, prima che politicamente, ateo (nella cultura filosofica e religiosa cinese c’è poco spazio per la trascendenza e per l’idea di Dio per come è intesa nelle religioni monoteiste). Per i gesuiti, si trova Dio in tutte le cose; persino dove non c’è.

Ora, sulla strada del ritorno, un negozio distribuisce hamburger. Verso Ovest, si apre quella che fu forse la prima strada della globalizzazione: e a millesettecento chilometri da qui, c’è Dunhuang, un’oasi sulla via della Seta.

VII – Dunhuang, un’oasi sulla via della Seta

C’è stato un tempo in cui tutto passava da qui, a Dunhuang, sulla via della Seta. Un’oasi nel deserto, attorno a un lago a forma di mezzaluna. Verso Occidente passavano giada, porcellana, tè; la seta, che il tedesco von Richthofen scelse nell’800 per dar nome alla via; le spezie, ricercatissime (pepe, cumino, zafferano, zenzero, chiodi di garofano).

Dall’India arrivò il Buddismo: di questo passaggio, a Dunhuang restano le statue e gli sterminati affreschi delle grotte di Mogao. Il governo (mi viene detto) ha investito molto per sistemare uno dei più grandi tesori archeologici e artistici del mondo. Però. Però ora deserto e grotte sembrano una Disneyland fatta per turisti in cerca di emozioni pronte all’uso. In Cina è emersa, negli ultimi vent’anni, una classe media di proporzioni gigantesche: almeno quattrocento milioni di persone (cioè più dell’intera popolazione degli Stati Uniti). Persone che ora, fortunatamente, possono partire in vacanza. Ci sono gli alberghi enormi con cammelli finti all’ingresso, e le guide che snocciolano le loro litanie.

I turisti, ad occhio, si dividono in apocalittici e integrati. I primi décrochent, come si dice in Francia, e non ascoltano. I secondi fingono un interesse che forse non hanno. Nel deserto, vengono organizzate gite in parapendio a motore o in elicottero. (Ma basta spostarsi di qualche centinaio di metri per trovare il silenzio e il soffio del vento sulla sabbia). La sera c’è uno spettacolo di luci: vedo una enorme svastica nel cielo. Per il buddismo cinese, eternità, illuminazione, perfezione. A me sembra di essere in quel celebre libro di Philip Dick, in cui i nazisti hanno vinto la guerra e sottomesso il mondo. Per fortuna, a Dunhuang, c’è un bellissimo mercato notturno. Un artista vende i suoi disegni e si rattrista quando deve separarsene.

Di nuovo sento la giovinezza della nazione: la gioventù che mira ed è mirata, le famiglie che girano tra le bancarelle, siedono nelle piazzette e mangiano il cibo comprato nei chioschi. La Cina deve far mangiare il 20% della popolazione mondiale (con il 10% di terre coltivabili). In un piano di sicurezza alimentare del 2019 si diceva: “Le ciotole dei cinesi devono poggiare solidamente nelle nostre mani”. Per questa ragione, sono importanti le terre del riso.

VIII – Le terre del riso

Il Guangxi, nella Cina meridionale, è una regione autonoma: ci vivono 18 milioni di persone del gruppo etnico degli Zhuang, il secondo in Cina (dopo gli Han, più del 90% della popolazione). Gli Zhuang hanno un loro ceppo linguistico (che si dirama in una miriade di dialetti locali), una tradizione culturale, una loro identità.

Il clima è umido, caldo, piovoso. A nord della città di Guilin si trovano le terre del riso: le verdi e gialle colline di Longsheng. Al mattino, come nella canzone di Paolo Conte, sono immerse in un bicchiere di acqua e di anice. Poi la nebbia si alza e appaiono le risaie in terrazza, dette “spina dorsale del drago” per la forma. In una trattoria campagnola, una cuoca prepara il pranzo tagliando, davanti ai clienti, la testa a polli i cui corpi decapitati continuano a dimenarsi invano. Non c’è nessuna differenza rispetto all’acquisto di carne in un supermercato, lo so. Ma qui, la crudezza di una condanna pronunciata ed eseguita in pochi istanti, di un castigo senza delitto, appare in tutta la sua oscenità.

Anche i contadini sono condannati, nei campi acquosi, a seminare il riso che sarà raccolto più tardi. Lungo la strada, donne del popolo Yao (altra minoranza etnica) offrono di sciogliere, in cambio di denaro, i capelli, lunghissimi secondo tradizione. Qualche turista accetta e scatta una fotografia.

A qualche chilometro, il villaggio di Yangshuo, sul fiume Li, è circondato da una irreale distesa di colline carsiche a forma di “pan di zucchero”. Tutto sembra immerso in un’acqua tiepida. La sera, sul fiume c’è un famoso spettacolo musicale: Impression Sanjie Liu. Il regista è Zhang Yimou, conosciuto per il film Lanterne rosse (Épouses et concubines, in Francia) e la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi del 2008. Cinquemila spettatori, tutte le sere, dal 2014. Lo spettacolo, che racconta un’antica leggenda Zhuang, è meraviglioso. Il pubblico è frenetico, rumoroso, in certi settori si mangia, tanti sfollano prima della fine, non per delusione ma per evitare il traffico.

All’uscita, chiacchiero con una donna che parla francese. Chiedo se si interessa di politica. La politica (mi risponde), non è roba per le persone normali, come me. È imbarazzata, sorride. “Se guardi la televisione, sembra che tutto vada bene. Se guardi su Internet, sembra il contrario”. Forse non vale solo per la Cina.

(continua – arriva una terza e ultima puntata…)

Maurizio Puppo

Link alla prima puntata – Biglietti I a IV

I biglietti cinesi di Puppo. Da Hong Kong a Pekino passando per Lamma e Macao

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

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