Il principe Andrej giaceva moribondo.
Intorno la guerra.
Intorno le infinite miserie e crudeltà che essa comporta.
E lui moriva.
Intorno il pianto di madri orbe dei figli, quello di fanciulle invano fidanzate e lui moriva e il sangue scorreva.
Ho sempre pensato che Tolstoj, l’autore di Guerra e pace, creatore di personaggi indimenticabili come Andrej appunto, fosse un profeta e lo è in questo caso.
Andrej è la grande anima russa che muore mentre intorno impazza la crudeltà e la miseria umana.
La situazione è oggi rovesciata.
Allora era la Russia ad essere invasa da Napoleone ed oggi è l’invasore. Allora il dolore, la morte veniva portata ed ora è Putin a portarli.
La Russia ha dimenticato la sua grande anima morente, quella che la legava all’Europa, ha dimenticato la tradizione, tutto.
Ha intorno popoli che hanno ugualmente dimenticato, hanno dimenticato la lezione di un’altra grande anima: Gandhi.
Ricordo quanto ho pianto alle immagini della lotta per il sale, in India.
Una fila di persone che correva a farsi bastonare per la disubbidienza senza cedere un millimetro.
La non violenza. Il dettato fondamentale della civiltà.
Riprendere questo cammino, riprendersi l’anima. Questo significa pace. Significa anche abbandonare la tristitia della morte.
In Viaggio di Argonauti nella Marca, un racconto della Langgässer, la grande scrittrice tedesca, i viaggiatori tornano in patria attratti da un ricordo, una piccola frase: gaudeamus domino deo nostro. Tornano per ritrovare il gaudium, la gioia.
Il richiamo alla gioia. Anch’essa dimenticata. Riprendendo il cammino si potrebbe davvero ricostruire una realtà diversa.
Vengo da una terra, la Calabria, dove c’è un’altra profezia, quella dei bronzi strappati al mare in modo misterioso, i Bronzi di Riace, che rappresentano l’uomo non come è oggi ma come dovrebbe essere e sarà. L’uomo, non quello greco, che non è mai esistito in quella forma altera, forte, protesa al futuro. È da loro profetizzato, l’uomo del superamento.
Costruire questo orizzonte sarebbe proprio compito dell’anima russa per la sua profondità, per la grandiosa intuizione dell’icona sacra.
Abbiamo indicato alcuni contenuti di Guerra e pace, i novissimi, ma tutta la vera letteratura è l’invettiva contro la guerra e il grido della pace.
Basta pensare all’intensità drammatica del verso di Petrarca:
Io vo gridando pace, pace, pace.
Ma forse le parole più intense in direzione dell’analisi del sentimento di pace sono quelle di Manzoni in due passi de I promessi sposi, quello del perdono e l’altro di Cecilia.
Nella scena del perdono, c’è il rifiuto dell’immagine, della specularità dell’orgoglio.
La pace si nutre di un sentimento fondamentale, l’umiltà, il riconoscimento dei propri limiti, l’abbandono dell’orgoglio.
E così il perdono che è il primo stadio della pace.
Cristoforo vede lo schieramento dei nobili, venuti per avere una soddisfazione comune, ma non cade nella trappola e procede chiedendo il pane del perdono che avrà con sé tutta la vita.
Cecilia.. tenero fiore reciso, suscita la pietà perfino nei monatti usi a qualsiasi spettacolo di crudeltà.
L’elemento principe è la pietà.
Senza pietà non c’è pace.
Carmelina Sicari