La cartolina… Una piccola ed enigmatica cartolina postale che Gramsci firmò con Giulia Schucht e spedì alla sorella di lei, Eugenia, il 16 ottobre 1922 da Ivanovo-Voznesensk, a circa 250 kilometri dalla capitale. Questo misterioso messaggio inedito, apparentemente minore, fino a oggi quasi ignorato, si è rivelato grazie al saggio “La Cartolina di Gramsci. A Mosca, tra politica e amori” (Donzelli, Roma 2016), della studiosa Noemi Ghetti, una miniera di indizi e di informazioni sul periodo meno indagato della vita politica e sentimentale di Antonio Gramsci, e su un momento storico cruciale e appassionante (1922 -1924). Una recensione di Antonio Dessì, Dirigente del Consiglio Regionale della Sardegna.
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Davvero stimolanti, le duecento pagine di Noemi Ghetti.
Un saggio nel quale si intrecciano più livelli di ricerca, tutti estremamente affinati, quello storico-politico, quello filologico-letterario, quello dell’indagine psicologica e sentimentale, focalizzati sull’intenso, ancorché breve periodo di permanenza di Antonio Gramsci a Mosca, tra il 2 giugno 1922 e il novembre 1923, con un’estensione al soggiorno viennese dal dicembre 1923, fino al rientro a Roma nel maggio 1924 e all’arresto, l’8 dicembre 1926.
È il periodo nel quale Gramsci viene in contatto fisico diretto col crogiuolo incandescente di eventi europei che segneranno la storia mondiale del XX secolo. Fa parte della delegazione del PCd’I guidata da Amedeo Bordiga, giunta nella capitale sovietica per partecipare ai lavori del Comitato Esecutivo allargato dell’Internazionale Comunista. All’ordine del giorno la verifica dei rapporti tra i partiti operai nella realizzazione della politica del Fronte Unico contro il fascismo deliberata dal III Congresso dell’Internazionale. Il PCd’I è oggetto delle dure critiche dell’Esecutivo guidato da Zinov’ev per avere ignorato quella decisione nel suo congresso di Roma del 1922 e per aver perseguito nello scontro col Partito Socialista Italiano di Turati, col quale invece a Mosca si auspicava se non l’immediata riunificazione, almeno la riconciliazione e l’unità d’azione, in contrasto con l’improduttivo settarismo imposto da Bordiga.
Bordiga lascerà Mosca per fare rientro in Italia subito dopo i lavori del Comitato, lasciando al resto della delegazione il compito di arrivare a un chiarimento che non si era concluso soddisfacentemente. A questo compito cercherà di attendere Gramsci, che vi si accingerà “senza esser stato informato nemmeno di un decimo delle questioni in corso”, come scriverà tempo dopo a Togliatti. Sarà anche di questo argomento che Gramsci, raccontandone tempo dopo a Camilla Ravera, discuterà con Lenin nell’incontro del 25 ottobre 1922 col capo bolscevico appena parzialmente rimessosi dal primo degli ictus che progressivamente lo porteranno all’invalidità e infine alla morte, avvenuta il 21 gennaio 1924, quando Gramsci ormai era a Vienna.
Appena trentenne, Gramsci, forse per la prima volta nella sua vita, si trova in una contingenza esistenziale straordinaria. Un profondo stato di stress psico-fisico fa sì che egli venga invitato, su indicazione dello stesso Zinov’ev, a trasferirsi dall’Hotel Lux di Mosca, dove alloggia la delegazione, a trascorrere un periodo di riposo nel sanatorio della Foresta d’Argento (Serebriani Bor), dove ottiene una sistemazione individuale dopo un breve periodo di condivisione di una dacia con Clara Zetkin, la rivoluzionaria tedesca convinta che la liberazione delle donne fosse parte fondamentale dell’emancipazione del proletariato, a suo tempo contraria alla scissione di Livorno e ora favorevole alla politica del Fronte Unico.
Noemi Ghetti osserva che nell’esperienza russa Gramsci ebbe modo di conoscere dall’interno il dibattito politico-culturale sovietico anche grazie al proprio rapporto con le donne. Forse ci sarà anche qualcosa di più. Bisognerebbe mettersi nei panni di un uomo in età giovanile che ha modo, in un ambiente molto diverso da quello sardo e italiano, di intrecciare due delle pulsioni più intense che possono marcare quel preciso periodo della propria maturazione individuale, l’amore e la rivoluzione, e di conoscere più profondamente sé stesso attraverso le relazioni sentimentali.
È tra Serebriani Bor, il sanatorio sulle rive della Moskova, Ivanovo Vosznesensk, la città industriale teatro di un duro confronto fra due linee politiche e di nuovo l’Hotel Lux di Mosca che si dipana la parte fondamentale di un complesso triangolo sentimentale.
Gramsci conosce nel luogo di cura Eugenia Schucht, già segretaria della moglie di Lenin, Nadezna Krupskaja. Di Eugenia, “Genia”, si innamorerà tentando di farla uscire dall’astenia e dalla paralisi anoressica che la donna aveva sviluppato forse anche come strategia per affermare una propria egocentrica aspirazione al controllo e alla repressione dei sentimenti, quelli propri e quelli di chi la circondava. Il giovane italiano, quasi coetaneo, impiegherà in questo tentativo di remissione molte delle sue energie persuasive, attingendo spesso a forme di affabulazione ricavate dalla sua infanzia e adolescenza sarde.
A Serebriani Bor arriverà tempo dopo anche la bella Giulia Schucht, “Julka”, di cinque anni più giovane di lui. Educata anche lei a Roma, come la sorella, nei primi anni del ‘900, diplomata violinista nel 1915 al Conservatorio di Santa Cecilia come Eugenia lo era stata nel 1911 all’Accademia delle Belle Arti. Attivista durante la rivoluzione di Ottobre, il 1 gennaio 1918, primo Capodanno dopo la Rivoluzione, si esibirà a Mosca in un memorabile concerto di fronte a migliaia di persone. Nel 1924 diverrà funzionaria della polizia di sicurezza sovietica, la Cêka. Julka condividerà con Gramsci i tentativi di curare con l’affetto la sorella, ne subirà, come Gramsci, l’indole inquieta e per qualche aspetto tirannica e nel frattempo si innamorerà, ricambiata, del giovane “professore”. Diventerà la sua compagna, sua moglie, gli darà due figli, Delio e Giuliano, dei quali Gramsci conoscerà solo il primo: ma a capo della famiglia in Russia, anche nella cura dei nipoti e della sorella, ammalatasi a sua volta durante la prigionia di Gramsci, tornerà, fisicamente guarita, ma ancora parossisticamente votata al dominio, Eugenia.
Gramsci avrà il destino di essere protagonista, nella sua vita, di alcune particolari triangolazioni, umane e politiche, connotate anche da profondi risvolti psicologici. Il libro di Noemi Ghetti affronta quella che ho descritto, ma a me non mancano di sovvenirne altre due, non meno intrise di aspetti tipici della drammaturgia.
Vi sarà quella che intreccerà la vicenda di Gramsci, da una parte, con quella di Mussolini, intenzionato, più che a usare il prigioniero come oggetto di uno scambio, a distruggerlo sul piano morale prima ancora che politico, nell’esercizio crudele di una ritorsione verso una mente tanto potente e con quella di Stalin, a sua volta intenzionato, più che a uno scambio liberatorio, al confinamento e al controllo di un dirigente comunista alle cui posizioni era burocraticamente indifferente, se non fosse stato per il sospetto che potesse rivelarsi un critico radicale non meno pericoloso di Trotzkji.
Vi sarà poi quella tra Gramsci, da una parte, e dall’altra Togliatti e Tania Schucht, sorella anch’essa di Eugenia e di Giulia, durante la carcerazione di Gramsci, fino alla sua morte e ancora oltre. Entrambi legati a Gramsci sul piano personale, se ne contenderanno giorno per giorno i pensieri e gli scritti, in un complesso gioco nel quale condivideranno sia le preoccupazioni per la sua protezione, sia le esigenze di controllo, cui non saranno estranee motivazioni di appartenenza, ciascuno, a precise istanze politiche, di partito e di Stato. Un intrigo sul quale Gramsci stesso avrà modo di esternare duramente anche fastidio e sospetto. Non mancheranno, nella stessa prima relazione ternaria descritta da Noemi Ghetti, i prodromi di tensioni derivanti anche dalle relazioni ambientali, di natura politica, esterne, alle quali ciascuno dei protagonisti, l’uomo e le due donne, erano in vario modo legati.
Due “oggetti” sono particolarmente al centro dell’indagine. Il primo è la cartolina, o meglio il dittico di cartoline che da un albergo di Ivanovo Vosznesensk la coppia indirizza a Eugenia e dal quale emerge il bisogno di preparare in qualche modo Eugenia alla novità costituita dall’inizio della loro relazione.
E’ lei, Eugenia, sul retro a fumetti disegnato da Gramsci, la figura femminile dalle lunghe braccia che cerca di trattenere il letto di ospedale in fuga, raffigurante lo stesso Gramsci, gridando: “Prendetelo, è un controrivoluzionario!” E’ lei la “Croce di Julka”, che si affligge per le condizioni della sorella. Julka vi è a sua volta raffigurata scherzosamente come la Sfinge tra le Piramidi, presa forse dall’enigma dell’intricato nodo sentimentale.
Nel verso principale di una delle cartoline appaiate è vergato un messaggio affettuoso, con riferimento sia agli impegni politici di Gramsci e di Giulia a Ivanovo Voznesensk, sia alla permanenza a Serebriani Bor e persino al carretto sardo che Gramsci aveva intagliato per Eugenia nonchè ai buoi che avrebbero dovuto dargli il movimento e che Eugenia aveva l’impegno di realizzare a sua volta. Ogni verso e ogni disegno evocano insieme riferimenti personali, culturali e politici sui quali Noemi Ghetti esercita un accurato esame filologico.
L’altro oggetto è il libro che Gramsci propone a Giulia di tradurre in italiano, offrendosi di editarlo assieme. Qui entriamo in un campo ancora più stupefacente.
È davvero significativo del suo modo di intendere il rapporto con la compagna, che Gramsci le proponga di lavorare assieme nella realizzazione di un lavoro non privo di rischi. Si tratta infatti di dare alle stampe per un pubblico internazionale, tradotto dal russo, il libro di fantascienza “La Stella Rossa”, di Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov, pseudonimo del medico, ricercatore ed epistemologo Aleksandr Malinovskij.
Il romanzo racconta il viaggio interplanetario del rivoluzionario Leonid su Marte, pianeta nel quale si è sviluppata un’evoluta società comunista, fondata su principi di uguaglianza, di solidarietà e nel contempo di libertà individuale, assai differente da quella che aveva cominciato a realizzarsi nella Russia sovietica. Un romanzo scritto nel 1906 e ristampato nel 1918 che, prima di essere progressivamente censurato, aveva venduto in Russia diciotto milioni di copie.
Bogdanov non è uno qualsiasi. È stato uno dei principali animatori marxisti della rivoluzione del 1905 ed uno dei massimi teorici del marxismo contemporaneo a Lenin. Era stato il primo traduttore in russo de Il Capitale e il primo editore della Pravda. Bucharin definì Bogdanov “l’uomo più colto della rivoluzione”. Tra Lenin e Bogdanov il conflitto cova fin dai tempi dell’esilio. Convinto edificatore del marxismo come sistema dottrinario compiuto, Lenin era accusato di dogmatismo da Bogdanov, fautore di un radicalismo antidogmatico e antimetafisico più fedelmente marxiano.
Le divergenze erano insorte soprattutto sul campo culturale. Lenin propugnava il ruolo del partito come strumento della trasmissione della formazione culturale al proletariato. Bogdanov era fautore dell’appropriazione diretta da parte del proletariato di tutti gli strumenti messi a disposizione dalla libera creatività umana, al fine di dar vita a una forma culturale nuova, originale, più evoluta.
Nel 1908, a Capri, un tentativo di trovare un’intesa, con la mediazione dello scrittore Gorkji, era andato malissimo. Persino una sfida a scacchi era stata fonte di irritazione. Lenin perse due partite di seguito con Bogdanov e rifiutò di giocarne una terza. Bogdanov aveva dato vita già ai tempi dell’esilio a un’organizzazione culturale-educativa molto diffusa, all’estero e in Russia, il Proletkul’t, alla quale l’Ordine Nuovo, diretto da Gramsci, aveva prestato molta attenzione durante il biennio rosso italiano. Lenin aveva reagito dopo la rivoluzione dando al Narkompròs, il Commissariato del popolo per la cultura, la direttiva di soppiantare il Proletkul’t. Il conflitto vede le sue fasi finali nel 1920. Bogdanov, definito ormai da Lenin un “bolscevico di sinistra” viene estromesso in quell’anno dal Comitato centrale. Nel 1921 Lenin reprime la rivolta del soviet di Kronstadt, nel quale erano ancora forti le resistenze a quella che appariva una svolta autoritaria impressa dal partito alla Rivoluzione. Nel 1923 Bogdanov abbandona la vita politica definitivamente, dedicandosi alla ricerca nell’Istituto per le trasfusioni di sangue, a Mosca, dove nel 1929 morirà proprio in conseguenza della sperimentazione su se stesso di un protocollo sanitario. Progressivamente il suo nome scompare dalle menzioni ufficiali, ma ancora nel 1922 acute tensioni tra le due concezioni della rivoluzione si manifestano nei nuclei operai di Ivanovo Vosznesensk proprio durante la permanenza in quella città, con Julka, di Gramsci, che ne sarà testimone diretto.
Non mi addentrerò oltre nella descrizione del contesto e delle vicende in cui si dipana l’avvincente ricostruzione di Noemi Ghetti. Rinvio alla lettura del libro, che, si sarà capito, consiglio vivamente. Sono infatti arrivato a quello che mi pare il nucleo centrale del saggio.
Durante l’anno e mezzo di permanenza di Gramsci a Mosca il crogiuolo incandescente del Big Bang rivoluzionario contiene ancora tutte le dimensioni potenziali originate dalla sua esplosione. Sono presenti tutte le alternative a quella che poi sarà la direttrice da noi conosciuta, cioè quella della costruzione dello Stato socialista sotto la dittatura del Partito, del marxismo-leninismo e del « diamat » come sistema teoretico chiuso e definito, della NEP e dell’industrializzazione forzata, del ripristino di rapporti sociali fondati sulla divisione del lavoro e di rapporti tra generi ancora incentrati sulla supremazia maschile. Rispetto a quella direttrice se n’erano prospettate altre. Sul piano culturale una lettura del marxismo come metodo aperto di scomposizione delle culture preesistenti e contemporanee, finalizzato a combattere ogni dogmatismo e soprattutto a individuare nell’affrancamento della persona da ogni alienazione indotta dai rapporti di produzione e di potere l’obiettivo permanente di ogni prassi di liberazione; sul piano dei rapporti sociali la ricerca, anch’essa permanente, dell’uguaglianza, a partire dal riconoscimento della differenza di genere come motore fecondo dell’organizzazione delle relazioni umane; sul piano economico una diffusione dell’auto-organizzazione delle iniziative collettive e individuali di produzione e di distribuzione-redistribuzione, non soffocata dalle esigenze di una pianificazione centrale destinata ineluttabilmente all’entropia; sul piano dell’organizzazione politica, lo sviluppo di un processo consiliare diffuso e capillare in luogo della burocratizzazione di partito, inevitabilmente antagonista dell’originaria dinamica rivoluzionaria dei soviet. Quelle dimensioni c’erano ancora tutte, ma la temperatura del Big Bang era ormai scesa di qualche milione di gradi e una dimensione di quell’universo andava cristallizzandosi.
Consumata la rottura con Bogdanov sul piano teorico, con Rosa Luxembourg sul piano dell’organizzazione del partito e del suo rapporto con le classi sociali, con Aleksandra Kollontaji sul terreno dei rapporti tra i generi e su quello della sessualità, della coppia e della famiglia, Lenin, insieme alla maggioranza del gruppo dirigente del partito, aveva imposto un ripiegamento, spinto certamente dalle condizioni di accerchiamento ostile in cui veniva trovandosi la giovanissima esperienza socialista, ma anche da una lettura di Marx che a parere di molti avrebbe ammesso alternative.
Non c’era scritto da nessuna parte, nelle opere di Marx, che la rivoluzione dovesse a tutti i costi far ripercorrere a una società, a tappe forzate, gli stessi stadi, anche ideologici e culturali, di sviluppo che in altra contingenza storica la borghesia capitalistica aveva imposto al resto dell’Occidente. Gramsci lo scriverà anni dopo, del resto, con una delle sue più lucide intuizioni: la rivoluzione d’Ottobre era stata una “rivoluzione contro Il Capitale”, perché insorta, diversamente da quanto Marx aveva preconizzato e auspicato, in una realtà che per lungo tempo era rimasta fuori proprio dalla maturità dello sviluppo capitalistico.
La ricerca gramsciana si orienterà successivamente su una linea di attenta e originale osservazione della realtà europea contemporanea, applicata anche alla complessa società italiana, dopo che, andando via da Mosca, passando per Vienna, avrebbe preso la via del rientro, per diventare, sostituendo Bordiga, il Capo del PCd’I. Nella Capitale sovietica « non serviva più », « era un uomo bruciato », come ebbe a confidare Julka a Tania, riferendosi al nuovo contesto di scontri interni che caratterizzò la successione a Lenin.
Il suo rientro in patria destinava Gramsci a una drammatica vicenda di lotta, di prigionia, ma anche di maturazione d’una elaborazione che ne avrebbe fatto il teorico politico italiano più studiato nel mondo. Noemi Ghetti sostiene che una parte fondamentale dell’approccio critico di Gramsci alle questioni teoriche e politiche sia maturata – sviluppando una sua propensione individuale già marcata – grazie alla piena immersione in quegli istanti e in quel luogo cruciali della storia contemporanea e non posso che convenirne con lei dopo la lettura del suo bel libro.
Antonio Dessì
L’Autrice: Noemi Ghetti, laureata in Storia greca all’Università di Padova, ha compiuto studi filosofici all’Università di Firenze, città dove ha a lungo insegnato nei licei. Studiosa di storia, di letteratura e di linguistica, collabora con numerose riviste ed è autrice di trasposizioni di classici per reading e drammi musicali. Saggista, ha pubblicato vari volumi tra cui, con le edizioni dell’Asino d’oro, L’ombra di Cavalcanti e Dante (2011) e Gramsci nel cieco carcere degli eretici (2014).