Per Missione Poesia. Dal manifesto del “Realismo Terminale” al “Reliquiario della grande tribolazione. Via Crucis in tempo di guerra” Giuseppe Langella ci offre uno spaccato di poetiche e suoni che propongono visioni innovative di contemporaneità (nel primo) e attingono alla memoria dei nostri autori maggiori che furono al fronte (nel secondo) e che già ne narrarono gli orrori: da Rebora a Sbarbaro, da Slataper a Ungaretti, un grido unanime di disperazione che ritorna oggi, nel movimento fatto di frammenti dei testi e che non trova nessuna redenzione nel perpetuarsi delle nuove guerre fratricide.
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Giuseppe Langella è nato a Loreto, nelle Marche. È professore ordinario di “Letteratura italiana moderna e contemporanea” presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, dove dirige anche il Centro di ricerca “Letteratura e cultura dell’Italia unita”, con l’annesso “Archivio della letteratura cattolica e degli scrittori in ricerca”. È stato inoltre, per più mandati, membro del Consiglio Direttivo della “Società italiana per lo studio della modernità letteraria” (MOD).
Studioso di Manzoni e di Svevo, ha perlustrato altresì ampie zone della poesia, della prosa e della cultura militante dall’età del Risorgimento agli anni Duemila.
Principali pubblicazioni scientifiche: Il secolo delle riviste. Dal “Baretti” a “Primato” (Vita e Pensiero, Milano 1982); Da Firenze all’Europa. Studi sul Novecento letterario (ibid., 1989); Italo Svevo (Morano, Napoli 1992); Il tempo cristallizzato. Introduzione al testamento letterario di Svevo (Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1995); Poesia come ontologia. Dai vociani agli ermetici (Studium, Roma 1997); Le ‘favole’ della “Ronda” (Bulzoni, Roma 1998); L’utopia nella storia. Uomini e riviste del Novecento (Studium, Roma 2003); Cronache letterarie italiane. Dal “Convito” all’“Esame”(Carocci, Roma 2004); Amor di patria. Manzoni e altra letteratura del Risorgimento (Interlinea, Novara 2005); Manzoni poeta teologo (1809-1819) (ETS, Pisa 2009). Cura, insieme al collega prof. Pierantonio Frare, lo Schedario manzoniano internazionale per la rivista «Testo».
Poeta di parca vena, ha esordito con otto Escursioni (nell’opera collettanea Ascensioni umane, Grafo, Brescia 2002), pubblicando a seguire Giorno e notte. Piccolo cantico d’amore (San Marco dei Giustiniani, Genova 2003) e Quasi una trenodia («Poesia», marzo 2007). Con la raccolta Il moto perpetuo (Aragno, Torino 2008), finalista al Dessì e al PontedilegnoPoesia, ha vinto il Premio Metauro. Nel 2013 ha dato alle stampe, nella “Lyra” di Interlinea, La bottega dei cammei. 39 profili di donna dalla A alla Z, Premio Casentino 2015 (ndr. Recensione a firma di R. Bussi per Altritaliani QUI). Di recente è uscito un suo Reliquiario della grande tribolazione. Via Crucis in tempo di guerra (Interlinea, collana « Passio »), ispirato al calvario della cosiddetta ‘guerra bianca’, combattuta sul fronte alpino in alta quota (secondo classificato al Premio Alpi Apuane 2015, sez. poesia edita). A Ponte di Legno, “paese della poesia”, gli è stato dedicato un totem con incisa una sua lirica. Con Guido Oldani è tra i fondatori del “Realismo terminale”.
Conosco Giuseppe Langella da qualche tempo e apprezzo molto l’eleganza stilistica e la pulizia di contenuti e forme delle sue raccolte. Ho ascoltato con interesse anche le riflessioni intorno alle proposte del Manifesto del “Realismo Terminale” e – se pure non rientri nelle mie corde, una relazione tra il sentimento e l’artificiale – ne ho condiviso senz’altro la possibilità e la veridicità di presenze nel mondo contemporaneo. Apprezzo molto anche la sua vena religiosa, il suo uso del linguaggio sacro anche in poesia, in specie nella raccolta che andiamo a esaminare, non dopo aver accennato all’Antologia sulle intenzioni del Manifesto programmatico della nuova corrente letterario-artistica di cui Langella è uno degli ideatori.
Luci di Posizione – Poesie per il nuovo millennio
Antologia del Realismo Terminale
Parlare della poetica di Giuseppe Langella equivale a parlare del “Realismo Terminale” ovvero della nuova corrente letteraria e artistica per la quale egli stesso, insieme a Guido Oldani e Elena Salibra (almeno in prima battuta), ha redatto nel 2010 il manifesto programmatico, costituendo una vera scuola di pensiero alla quale hanno poi aderito molti altri autori il cui lavoro è sfociato, tra le tante iniziative, anche in un’antologia edita da Mursia nel 2017 e dal titolo “Luci di posizione. Poesie per il nuovo millennio” (ndr. Recensione a firma di R. Bussi per Altritaliani QUI).
L’antologia, di cui fanno parte oltre a Langella e Oldani anche Giusy Càfari Panìco, Frando Dionesalvi, Marco Pellegrini, Valentina Neri, oltre a voler documentare geograficamente l’espansione del movimento (in quanto i poeti provengono da varie parti d’Italia), ne riproduce le maggiori pulsazioni contenutistiche andando a indagare sulle mutate percezioni del mondo, rispetto al contesto ambientale dell’uomo, nella società metropolitana del nuovo secolo. Infatti, la dimensione dell’accatastamento delle genti migranti che non sfocia in un’interazione per fondare nuove realtà, si interseca con quella dell’accatastamento degli oggetti che vanno a incrementare le discariche paesaggistiche come vuoti a perdere, elementi che non saranno mai riutilizzati, destinati solo ad aumentare a dismisura fino a occupare tutti gli spazi vivibili. Inoltre, l’aspetto rilevante che si lega al comportamento umano non più naturale ma artefatto tanto da rasentare l’artificiale, è evidenziato da una componente stilistica che nei testi assume la forma retorica della “similitudine rovesciata”, dove il confronto lirico del sentimento con l’elemento naturale viene sostituito da un paragone con un oggetto, con un elemento appunto artificiale, magari negativo, creato dall’uomo e non esistente nella natura stessa. Infine è anche la lingua della poesia a risentire di questo stato di cose, andando a utilizzare termini poveri e rubati al mondo economico, in cui è di gran voga il vocabolario inglese: una vera mutazione antropologica, testimonianza che racconta quanto l’umano sia ormai più vicino a una macchina che a un essere fatto anche di anima.
Reliquiario della grande tribolazione
Via Crucis in tempo di guerra
L’idea di questo libro si sviluppa già a partire dal disegno di copertina che riproduce un particolare del lavoro scultoreo dedicato alla Croce dallo scultore Edoardo Nonelli, realizzato con reperti bellici recuperati sul fronte dell’Adamello mentre, al contempo, i testi di Langella sono la narrazione della vita quotidiana dei soldati di quello stesso fronte, sullo sfondo della Grande Guerra, di cui siamo ancora oggi in pieno anniversario (2015-2018).
Le impronte dei resti di quelle zone sono tuttora fucina di possibili drammaturgie poetiche e iconografiche perché è da quei resti, fatti di ferro e pietra, che maturano i contesti letterari dove ambientare non solo ricordi e vicende ma anche rinverdire i passaggi e i percorsi che diventano – come nel caso del libro in questione – inaspettate Vie Crucis collettive, ascese al Gòlgota dove le Croci di sofferenza portate dai soldati si trasformano, nel ritorno alla Terra che ha generato quei corpi, nell’humus che tutto accoglie nel suo grembo. La vita nel suo essere sacra viene rappresentata come pagine di Vangelo che mettono in scena “L’ultima cena”, la morte che tradisce, il Calvario e la fine degli uomini di cui resta solo il nome inciso sulle Croci, e una preghiera – la poesia – che nomina tutte le reliquie di quel luogo che è già assunto a sacrario. Infine, canterà l’ “addio ai monti” – in un recupero di memoria manzoniana – chi potrà ridiscendere a valle dopo il conflitto, chi potrà cercare di trovare pace dopo tanto furore, ma che inutilmente tenterà quella via: impossibile dimenticare anche un solo colpo inflitto, un solo compagno visto cadere.
Se Langella usa in questo lavoro la chiave del linguaggio religioso, quasi mistico in certi versi, non è tuttavia questo che permette di archiviare l’angoscia profonda che suscitano le immagini e i sentimenti dei fatti descritti in un attento e laborioso alternarsi di rime, che sottolineano ancora di più lo scorrere carsico delle situazioni belliche, l’insinuarsi della “fatal quiete” che ricoprirà quei monti di giovani vite spezzate da entrambi i lati del fronte.
Un libro di senso compiuto questo di Langella che attinge alla memoria dei nostri autori maggiori che furono al fronte e che già ne narrarono gli orrori: da Rebora a Sbarbaro, da Slataper a Ungaretti, un grido unanime di disperazione che ritorna oggi, nel movimento di frammenti di quest’altro autore e che non trova nessuna redenzione nel perpetuarsi delle nuove guerre fratricide.
Alcuni testi da: Reliquiario della grande tribolazione
Elegia sopra una scatoletta arrugginita
Fu l’ultima cena in compagnia.
Disse il cappellano la preghiera,
rispondemmo in coro «Così sia».
Confitto in cuore un presentimento:
che per molti di noi quella sera
fosse giunto il momento.
Cibo mangiato in fretta,
seduti ma pronti per partire:
tutto il rancio in una scatoletta.
Con in corpo quella carne rossa
ci lanciammo incontro al dies irae,
uscendo dalla fossa.
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Reticolati
Sterminate matasse di filo
come enormi corone di spine,
a difesa di un fragile asilo
un reticolato avvolge le chine.
Ogni punta di ferro uno stilo,
tra quei rovi un assalto è la fine.
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Legno dei dolori
Le spalle larghe aveva
e la forza mansueta dei pazienti
il volontario che, stringendo i denti,
ti ha portato fin qui dal fondovalle,
salendo con la croce al suo calvario.
De docili cristi tutta una leva.
O legno centenario,
arso dal sole, scavato dai venti,
tutto costole e solchi, schegge e fori;
midollo che si spacca dai dolori,
fosti fasciame che scalda e ripara,
buono per la baracca e la bara.
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Pietra diaccia
Tetra imago della grande avversaria
che ci opprime e ci schiaccia, avara d’aria,
sotto il suo peso opaco, pietra diaccia,
a ogni passo hai un’insidia, una minaccia.
Pietra, pietra diaccia, dovunque batta,
sei talmente compatta, che il piccone
appena ti scolpisce. Massa inerte,
soltanto il terremoti ti sconquassa.
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Cunicoli
Giorni e giorni a scavare cunicoli,
ad aprir gallerie nella roccia;
star sepolti in oscuri follicoli,
dove il seme marcisce e non sboccia.
Come insetti nell’ambra sospesi,
tante larve nel ghiaccio per mesi.
Cinzia Demi
Bologna, settembre 2017