1914-2014. Raccontare la Grande Guerra: La voce dello scrittore Giani Stuparich (Trieste, 4 aprile 1891 – Roma, 7 aprile 1961). Opera antologica di riferimento: “Guerra del ’15 (Dal taccuino d’un volontario)”, Milano, Treves, 1931. Presentazione di Francesca Bottero (Università degli Studi di Genova) con ulteriori indicazioni bibliografiche.
L’identità triestina di Giani Stuparich (1891-1961) è contraddistinta dalla suggestione propria del crogiuolo, connotata da un duplice aspetto, lo svantaggio di essere a margine dell’impero asburgico e al di fuori delle linee di confine di uno stato ancora in fieri come l’Italia e, al contempo, l’opportunità di dover spostare il proprio baricentro altrove, per sanare le carenze culturali della città natale, dove l’impossibilità di un’università italiana impedisce di sviluppare in loco le proprie esigenze intellettuali. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, dunque, Giani Stuparich è uno studente che si muove tra l’università di Praga e quella di Firenze, che frequenta le redazioni delle più note riviste fiorentine e i loro collaboratori e che muove i primi passi di scrittore nel mondo della carta stampata. Attraverso la mediazione del concittadino Scipio Slataper – conosciuto al suo arrivo a Firenze, nel 1911 – il giovane viene accolto tra le firme della «Voce» prezzoliniana come corrispondente da Praga; di questa approfondita conoscenza delle vicende ceche sarà il frutto la pubblicazione del libro La nazione czeca (1915), presso l’editore Battiato di Catania.
In quest’ottica Stuparich si dimostra attivo sostenitore della ricostruzione dell’Europa e non della sua distruzione: la strada intrapresa a monte dal giovane e dall’amico Scipio Slataper – fin dall’epoca dei polemici Caratteri triestini all’inchiesta sull’irredentismo – si è rivolta in tutt’altra direzione rispetto alle istanze nazionali che sono andate via via sfociando negli eccessi del radicalismo. Lo spirito, dunque, con il quale il ragazzo, insieme al fratello minore Carlo, parteciperà alla guerra è quello di fatale ineluttabilità del volontario triestino, che coglie nell’intervento italiano l’occasione per vedere Trieste finalmente ricongiunta alla sua patria elettiva.
Dall’arruolamento a Roma nel I Reggimento Granatieri di Sardegna e alla partenza verso il fronte di Monfalcone, fino alle ultime propaggini della seconda battaglia dell’Isonzo, Stuparich affiderà a un insieme disorganico di note vergate su un piccolo taccuino la sua esperienza di guerra dell’anno 1915, interrotta all’altezza dei primi giorni di agosto, per l’inizio dell’istruzione come sottotenente nella milizia territoriale, nei pressi di Vicenza. Giani riprenderà nuovamente la via verso il fronte nel febbraio 1916, nel goriziano, tra i monti Sabotino e Podgora, e poi nella zona degli altipiani, vicino ad Asiago, dove il 31 maggio 1916 verrà fatto prigioniero dagli austriaci e deportato a Sigmundsherberg. Sorte peggiore toccherà al fratello, che negli stessi giorni, accerchiato con la propria compagnia sul monte Cengio, si darà la morte con un colpo di pistola per evitare di finire in mano nemica.
Seguendo la traccia degli appunti compresi tra le date del 2 giugno e dell’8 agosto 1915, Stuparich ricostruirà, a distanza di quindici anni, la tela del suo diario di guerra che, con il titolo di Guerra del ’15 (Dal taccuino di un volontario), apparirà prima a puntate sulla «Nuova Antologia», tra luglio e ottobre 1930 e poi ancora tra maggio e luglio 1931, e infine in volume, nel medesimo anno, presso la casa editrice Treves di Milano.
Nel libro l’atmosfera conviviale che il volontario Giovanni Sartori – questo lo pseudonimo utilizzato dal giovane triestino per evitare di incorrere nella giustizia austriaca in caso di cattura − si trova a condividere con il fratello Carlo e con l’amico Scipio Slataper, nella dimensione cameratesca della caserma e nel clima goliardico del viaggio in treno verso la linea isontina, fa presto a cedere il passo all’impatto con la vita militare, con i suoi morti e le sue attese tra il fango della trincea, con la caduta delle illusioni che quella partenza hanno ispirato e la realistica presa di coscienza sulle reali condizioni dell’esercito italiano.
Da questa esperienza Stuparich non può che uscire segnato e la produzione letteraria che fiorirà al ritorno a casa porterà il marchio di questo trapasso, nonostante la fine della guerra porti alla auspicata redenzione di Trieste. Ne sono un esempio la raccolta dei testi del fratello, Cose e ombre di uno, pubblicata come 31° Quaderno della Voce il 30 giugno 1919 e il riordino delle pagine slataperiane a partire dall’edizione del 1920 degli Scritti letterari e critici. Il voler ritornare a parlare con Carlo si concreta nei Colloqui con mio fratello (Milano,Treves, 1925), un lungo dialogo sulla propria fragilità che, attraverso il dolore del singolo di fronte all’inesorabilità della morte, apre uno squarcio sulla condizione universale dell’essere umano.
Lo scenario della guerra assume, però, contorni più definiti solo con la riscrittura del taccuino del 1915 e l’osservazione acuta di questa triste realtà porterà Guerra del ’15, nell’edizione in rivista, a una sospensione della pubblicazione tra la fine del 1930 e l’inizio del 1931, dovuta a una rappresentazione dell’evento bellico non consona ai canoni del regime, che in particolare Carlo Emilio Gadda non dimenticherà di sottolineare nella recensione fatta al libro su «Solaria» nel febbraio 1932.
La scelta del brano qui antologizzato vuole mettere in rilievo proprio questa attitudine alla chiarezza, all’impietosa rappresentazione che Stuparich fa del conflitto, ben lontana dall’immagine falsata e altisonante proposta dai giornali dell’epoca e ripresa dal fascismo negli anni della sua politica bellicista. Il brano, datato 21 giugno 1915, si colloca a margine della prima battaglia dell’Isonzo e descrive l’alternanza tra momenti di inerzia e di azione, che caratterizzano la vita dei granatieri sulla Rocca di Monfalcone. La staticità della scena è rotta a tratti dalla violenza degli scoppi, riportando il lettore alla dimensione angosciante della guerra e a una disincantata presa di coscienza sulla fatalità sovrastante la sorte del soldato, sospeso tra la vita e la morte come per gioco, in attesa del manifestarsi di una battaglia che pare non giungere mai. La percezione stessa del tempo, al di là del succedersi ritmico delle giornate scandite nella forma del diario, è dilatata, bergsoniana, dominata dalla durata interna della coscienza, occhio vigile e disingannato sullo squallore circostante. Unica nota confortante, la città di Trieste, visione irreale e sfumata tra la nebbia dell’orizzonte, un amor de lohn che riporta costantemente alla mente i ricordi più cari, gli affetti e le speranze riposte in quella marcia faticosa e tragica lungo la strada di casa.
Nella realtà impoetica della trincea si disegna un nuovo ritratto della guerra moderna, che da un punto di vista eminentemente letterario viene a perdere definitivamente il contatto con la tradizione classica e con quella risorgimentale. Il ricorrente sentore della fine attribuisce al soldato lo status di morituro e porta l’autore a chiedersi in quanti realmente usciranno indenni da quella drammatica esperienza, domanda che anticipa il tema centrale del più vasto romanzo sulla Prima Guerra Mondiale, dato alle stampe da Stuparich nel 1941, dall’emblematico titolo di Ritorneranno.
ANTOLOGIA
Giani Stuparich, Guerra del ’15 (Dal taccuino d’un volontario), Milano, Treves, 1931, pp. 80-83. (Il testo non è più in commercio).
21 giugno. Rocca di Monfalcone. La mattina con l’alba ci si leva indolenziti: forse ci pesa nelle vene l’inerzia del giorno prima. Il caffè, buono, mi rianima un poco. Andiamo agli avamposti, questa volta a destra della Rocca. La linea è fuori del bosco, sul ciglio, dietro un muricciolo a secco, rafforzato da sacchetti a terra; pochi metri avanti, sul pendìo, son gettati alla rinfusa dei cavalli di Frisia. In linea, seminati a distanza, non ci stanno che pochi granatieri di guardia, tutti gli altri sono di qua, sulla pendice boscosa, nei ricoveri, pronti ad accorrere. La nostra squadra è, col capitano, al centro. Secondo il turno, l’uno o l’altro di noi porta gli ordini ai vari plotoni o serve di collegamento. Gli austriaci battono le nostre posizioni, ma ormai ci siamo abituati. Mi addormento sotto il mio ricovero: tre grosse pietre ad angolo, tronchi di pino intrecciati, di sopra, e coperti da altri sassi più piccoli e da sacchetti a terra. Mi sveglia lo schianto pauroso d’una granata e faccio giusto a tempo a uscire, ché una lavina di sassi e di schegge s’abbatte sul mio ricovero e lo fa in parte crollare. Bisogna ricostruirlo al più presto. Carlo, uscito dal suo, vistomi illeso, m’aiuta. Andiamo poi a prendere delle altre pietre per rafforzarlo. Ma è umiliante aggirarsi intorno ai ricoveri, per cercar qualche cosa: da per tutto si pesta nella merda, che sprigiona un puzzo insopportabile. Non ci sono latrine, ognuno evacua all’aperto, quanto può più vicino al suo o al ricovero degli altri; la fretta, per la paura d’esser colpiti, elimina ogni altro riguardo. E così questa collina rivestita di teneri pini e profumata d’erbe e di resina, questa collina su cui si viene a morire, si spoglia a poco a poco e diventa un letamaio.
Nel pomeriggio gli austriaci ci lasciano in pace. Possiamo persino allontanarci dalle nostre tane. C’è da vedere, poco distante, un grosso proiettile inesploso, adagiato sulla china, sopra un cespuglio, come un enorme sigaro nero e lucido. Tutti, a uno a uno, andiamo ad ammirarlo. Fa ancora paura; pur verrebbe la voglia di passarci sopra, leggermente, una mano, ma non ci si arrischia: il più piccolo impulso datogli può farlo sdrucciolare e scoppiare. Il capitano lo farà circondare da filo spinato, perché nessuno lo tocchi. Sono puerili forse, ma istintive ed umane codeste precauzioni da parte di morituri. Quanti di noi torneranno?
Più che la visita alla granata inesplosa, m’ha fatto piacere la passeggiata al varco. Il capitano ritorna da un giro d’esplorazione; lo vedo fermarsi davanti al suo ricovero; ansima un poco, appoggiandosi con tutto il corpo grosso al suo bastone, mi chiama con un cenno della mano e mi dice che a duecento passi c’è un varco nella pineta, da cui si vede benissimo Trieste. Mi sento sussultare il cuore, e il desiderio è tanto grande che mi faccio coraggio: gli domando se mi permette di andarci. Me lo permette e m’indica bene la posizione. Caro Capitano! M’affretto, giro, ritorno sui miei passi, temo di non trovarla, ma improvvisamente s’apre ai miei occhi il golfo di Trieste. Duino, Miramare, Trieste. La città si confonde con l’azzurro delle colline, ma ne riconosco ogni segno; vorrei esserle ancora più vicino, solo un attimo, per distinguerne le case e le vie. Nel palpito dell’aria che le sta sopra, immagino il respiro di mia madre. Sento con un senso misterioso che non è la vista e non è il tatto, ma è un complesso dei due, la presenza della nostra casa che ci aspetta. Non mi sazierei mai di guardare. A destra, sotto di me, la pianura friulana violacea nella nebbia. Il mio orologio segna le quattro.
Francesca Bottero
Università degli Studi di Genova
Bibliografia essenziale:
- Guerra del ’15 (Dal taccuino di un volontario), in «Nuova Antologia», LXV, fasc. 1400, 16 luglio 1930, pp. 209-228; LXV, fasc. 1402, 16 agosto 1930, pp. 447-459; LXV, fasc. 1403, 1° settembre 1930, pp. 75-88; LXV, fasc. 1405, 1° ottobre 1930, pp. 366-381;
- Dal taccuino d’un volontario, in «Nuova Antologia», LXVI, fasc. 1420, 16 maggio 1931, pp. 226-250; LXVI, fasc. 1422, 16 giugno 1931, pp. 488-502; LXVI, fasc. 1423, 1° luglio 1931, pp. 76-96.
- Taccuino di un volontario nella guerra del 1915 [edizione parziale], in «Carlino della Sera», 24 luglio (p. 3), 30 luglio (pp. 3-4), 5 agosto (p. 3), 22 agosto (p. 2), 27 agosto (p. 2), 29 agosto 1930 (p. 2).
- Guerra del ’15 (Dal taccuino d’un volontario), Milano, Treves, 1931.
- Guerra del ’15 (Dal taccuino d’un volontario), Milano, Garzanti, 1940.
- Guerra del ’15 (Dal taccuino d’un volontario), Milano, Garzanti, 1943.
- Guerra del ’15, in Il ritorno del padre, Torino, Einaudi, 1961, pp. 197-343.
- Guerra del ’15 (Dal taccuino d’un volontario), in L’isola e altri racconti, Torino, Einaudi, 1969, pp. 91-219 [edizione parziale].
- Guerra del ’15, Torino, Einaudi, 1978.
- Guerra del’15: riedizione 2015, a cura di Giuseppe Sandrini (Ed Quodlibet).
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