Il primo articolo di Missione Poesia del 2024 è rivolto a Il moto delle cose (Mondadori, Lo specchio, 2017) di Giancarlo Pontiggia, ovvero a quello che lui stesso definisce “il mio vero libro”: qui, la poetica che nelle opere precedenti era intuibile, diventa evidente, si fa sentire come un pensiero che prova a orientarsi nuovamente e costantemente nel mondo. Cominciamo così, dunque, il percorso di questo nuovo anno intorno alla poesia italiana contemporanea.
Giancarlo Pontiggia, milanese, ha pubblicato due raccolte poetiche (Con parole remote, Guanda 1998; Bosco del tempo, Guanda 2005), un testo teatrale (Stazioni, Nuove Edizioni Magenta 2010), tre volumi di saggi (Esercizi di resistenza e di passione, Medusa 2002; Selve letterarie, Moretti & Vitali 2006; Lo stadio di Nemea, Moretti & Vitali 2013) e una raccolta di interviste (Undici dialoghi sulla poesia, La Vita Felice 2014). Traduce dal francese (Sade, Céline, Mallarmé, Valéry, Supervielle, Bonnefoy) e dalle lingue classiche (Pindaro, Sallustio, Rutilio Namaziano, Disticha Catonis). È redattore di varie riviste, fra le quali «Poesia», e critico letterario per il quotidiano nazionale «Avvenire». La sua opera poetica è stata tradotta nelle maggiori lingue, e in particolare nei volumi Selected Poems (translated by Luigi Bonaffini, Gradiva Publications, Stony Brook, New York 2008) e Orígenes (traducción de Emilio Coco, Pigmalión, Madrid 2013). L’intera produzione poetica è stata pubblicata nel 2015 per l’editore Interlinea con il titolo Origini. Successivamente è uscita la raccolta Il moto delle cose (Mondadori, 2017). Nel 2017 per Neos Edizioni è uscita anche Ades. Tetralogia del sottosuolo, un’opera composta da quattro pièce teatrali.
Per un approfondimento sulla poetica precedente dell’autore collegarsi all’articolo a lui dedicato, consultabile al link: https://altritaliani.net/le-origini-della-poetica-di-giancarlo-pontiggia/
Il moto delle cose
Dopo aver analizzato l’opera omnia di Giancarlo Pontiggia, raccolta nel prezioso volume dal titolo Origini (Interlinea, 2015), ci sembra necessario doversi occupare anche di quello che l’autore stesso definisce “il mio vero libro”, ovvero il lavoro successivo nel quale, con molta probabilità, egli sente accadere fortemente una sorta di stimolo alla rinascita della sua poesia, se pure non mancano segni di continuità con il percorso precedente.
Infatti, ne Il moto delle cose nessun lettore, attento alla poesia di Pontiggia, potrà sentirsi spaesato o sorpreso, ritrovandosi immediatamente immerso nei versi pacati, quasi sussurrati nei quali, seguendo il filo di un discorso già iniziato nei tempi passati ed ora portato a compimento, il poeta intende condividere maggiormente la sua intimità più profonda, il suo sentire che si avvicina sempre più alla soglia della vita, laddove le parole, o meglio le nominazioni delle cose, sembrano diventare insufficienti, inadeguate, fors’anche inutili: […]che i nomi si sgretolano, uno per uno, ostinati,/ in polvere di suoni e di niente/[…]. E, sempre il lettore attento, noterà come il linguaggio utilizzato per la nuova raccolta richiami alla mente le traduzioni di stampo più scientifico, quasi profetico di Lucrezio: un linguaggio filosofico e assoluto, dove l’uomo è posto al centro del pensiero nella sua stratificazione fossile, nella sua evoluzione quale essere pensante che tende alla conoscenza, e nella rappresentazione poetica che ne racchiude l’essenza, inoltrandosi nell’arcaico e nel mito delle origini.
Pontiggia ci racconta che la mente ha l’identica conformazione di un’antica e stratificata roccia dove aleggiano i pensieri imprevedibili, irrazionali: Restano solo metafore cieche,/inesplicabili – barbagli/di gemme/nella roccia della mente… e che quella stessa mente si confronta, rimanendone coinvolta, con tutte le presenze che vogliono essere ricomprese dentro di lei, proprio perché ne fanno parte, tanto da risultare necessario immergersi nel moto delle cose, nel suo linguaggio, nella sua visione, nel suo arcano primordiale: Quando, dal niente/– è inverno, è notte, sei solo, senti/il pullulare della vita che dilaga/per le vie del mondo – sorgono/all’improvviso, ombre (numi della memoria, oh quanto/trapassati) […].
L’arcano che ritorna anche nell’episodio che si fa sogno e diventa esperienza, nel bellissimo testo Ho sognato il Tour, dove riaffiora la memoria delle “parole prime che ancora oscillano/tra le cose” perché, come dice lo stesso Pontiggia, è così che “in fondo continuano ad apparirmi le parole della poesia”.
Ma, per compiere questa sorta di viaggio alle origini della motivazione dell’esistenza del cosmo stesso, e dei suoi riflessi sulla mente umana, dobbiamo anche indagare lo stile utilizzato in questo libro dall’autore, uno stile che può definirsi poematico, ovvero scaturito dalla fusione di una lingua lirica e scientifica al tempo stesso. Forse questa sua inclinazione la ritroviamo già anche nel Bosco del tempo dove il tentativo di trovare una quadra, tra la liricità della poesia e la scoppiettante vivacità degli spazi al di fuori di questa, viene accennato in alcuni passaggi. Ma è ne Il moto delle cose che, se pure permane la preponderanza lirica, la materia desiderata dall’autore, ovvero quella cosmologica, irrompe incontrandosi con i moti dell’animo in una variazione di versi che vogliono dare conto delle forze che si contrastano nel mondo, sia di quelle distruttive che rigenerative. Si tratta di un’operazione che porta all’unicità del libro, in un continuo alternarsi di sezioni dove alberga la spiritualità, e di altre dove scopriamo il precipizio nello spazio introspettivo delle domande essenziali che indagano il cosmo stesso. Innegabile l’emergere delle letture e degli studi che mischiano i classici e i testi delle discipline scientifiche, entrambi con le rispettive potenzialità di fascinazione intorno alle origini dell’uomo e della vita stessa se pure, alla fine, ha prevalso per l’autore il dedicarsi alla letteratura nella quale, possiamo dire, si forgiano tutti i linguaggi con le proprie energie: quello poetico, quello scientifico, quello filosofico, quello archeologico. E ancora, ha prevalso, lo scrivere in poesia, in una poesia che tenda a risolvere l’ansia e il dolore dell’uomo, entrando nella conoscenza profonda di quest’ultimo, andando sino in fondo e oltre l’atto creativo fine a sé stesso. Ma anche una poesia che chiede all’autore di dire una cosa ben precisa, ovvero: dì, se sai, qualcosa/che valga […] una poesia alla quale egli risponde dicendo: Pochi versi, ma veri./Valgano per te, come per me […] Pochi versi dunque – e la poesia di Pontiggia è davvero breve, con qualche rara eccezione – e vuole sicuramente dare un senso al tempo, alla vita, alla morte pur non attribuendo a quest’arte alcun potere, se non quello di cantare il divenire e il contemporaneo permanere, il cambiamento e il ritorno, il perdersi e il salvarsi nel respiro del mondo : Una linea infinita di tempo/ci precede; un’altra/ci segue: attoniti le contempliamo,/ sospesi tra due mondi/indifferenti, lontani. Eppure, niente li separa//se non te, che guardi.
Eppure, le poesie delle ultime pagine del libro sembrano immergere il lettore in un’atmosfera tutt’altro che chiarificatrice, quasi offuscata dalle tenebre, nelle cantine del mondo, dove tutto rimane oscuro come in una discesa nell’oltretomba, nella consapevolezza che l’esistenza è destinata a un continuo sprofondare: una luce stellare che è un presente remoto; il buio cosmico che si ritira su sé stesso, sgomento del proprio movimento; il pensiero del tuffatore (testo ispirato al celebre affresco del tuffatore di Paestum) che giunto al termine della sua vita si avvolge nei suoi rammarichi, nelle sue paure, nelle sue speranze se pure, non ancora tuffatosi, dona l’illusione e l’invenzione del sublime umano, forse la vera forza della poesia stessa.
C’è, tuttavia, proprio in quest’ultima immagine del tuffatore esitante un valore aggiunto e quasi conoscitivo della vita e dell’arte che essa genera, che dona al lettore una metafora che sembra approdare a una qualche forma di felicità: Il moto delle cose che in apertura aveva prospettato solo un susseguirsi di figure che emanavano gemiti e sospiri, provate dal conto che la vita presenta, vuole lasciare un ricordo di speranza, luminoso, catartico e di rinascita.
Alcuni testi da: Il moto delle cose
Una linea infinita di tempo
Una linea infinita di tempo
ci precede; un’altra
ci segue: attoniti le contempliamo,
sospesi fra due mondi
indifferenti, lontani. Eppure, niente li separa
se non te, che guardi.
***
Si sforzano, le cose
Si sforzano, le cose,
di risalire la corrente, ma un dopo
incessante le sospinge, di era
in era
***
E lo vedemmo, infine
E lo vedemmo, infine, stremato-stremante, il buio
non buio – opaco, torpido, molle – che retrocedeva
nella sua teca di tempo ultimo,
grembale: era,
in quella stiva estrema, fermentante, come
un agitìo di corpi, forme, ombre
di una vita che si sfaceva: falle
di essere che si rintana
nelle cantine del mondo.
***
Come chi, ferito
Come chi, ferito
a morte dalla vita, dalla storia, all’improvviso
si sveglia, è un mattino di luce che tripudia
nell’anfora – scura, severa –
delle stanze, vede
il celeste del tempo che spiove
da un pertugio di persiana, è la polvere
del mondo che si accende, si sperpera
in baluginii di ambra
com’è dolce, pensa, il fiore
neghittoso dell’esistere, e si siede,
contempla
la teoria semplice delle cose, le sue,
che furono, una per una – lumi ombre disfatte –
sospese
nella loro formula di caso
e di ordine,
e ride
***
Il tuffatore
(Prima di ogni epilogo)
Una svolta, fine, poi.
È quel poi che lo assilla.
Come ferve, dietro di sé, l’antico
bulicame delle cose. Buttarsi non
buttarsi. Un ramo oscilla
sul ciglio dell’occhio che precipita
in un’ardesia di fuoco,
immane
Bologna, gennaio 2023
Cinzia Demi
P.S.:
“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani.
https://altritaliani.net/category/libri-e-letteratura/missione-poesia/